La privacy al tempo del web

Un miliardo e settecentododicimila utenti attivi ogni mese usano Facebook. Neppure la Cina, popolosa com’è, può competere con l’ambiente affollatissimo dei social!
Ognuno di noi è presente sul web e ospita nel proprio mondo il popolo della rete. Ogni storia viene condivisa, diffusa e messa in mostra.

A quali rischi?

Il rapporto tra la comunicazione sul web e il sistema della legalità si presenta sotto un segno incerto. La rete è irrinunciabile tuttavia spesso ha il volto perverso del bullismo, della pedopornografia, del terrorismo.
Si tratta di fenomeni che esigono misure di protezione dei diritti e, se è vero che la legge è concepita per un mondo analogico, è anche vero che il sistema legale deve entrare in gioco e agire in una logica di reazione svolgendo un ruolo positivo.
Eppure anche l’azione pubblica si presenta minacciosa per i diritti dei cittadini, proprio quando agisce per proteggere i diritti dei cittadini stessi.
Occorre mediare tra gli imperativi della sicurezza e l’esigenza di tutelare la privacy, ma non è facile.

Il caso Apple-FBI

Febbraio 2016: nell’ambito delle indagini sugli attentati di San Bernardino, in California, l’FBI chiede aiuto ad Apple per leggere i dati contenuti nell’iPhone di uno degli attentatori, protetto dal codice di sicurezza.
Apple, per tutelare la privacy del suo cliente e non dar luogo a un precedente pericoloso, si rifiuta di fornire un accesso secondario. Il Dipartimento di Giustizia (DOJ) emette una mozione contro Apple. Alla fine l’FBI sblocca il cellulare grazie a un’azienda di sicurezza israeliana.
Al di là del fatto concreto, uno degli aspetti più interessanti della vicenda è che in questa guerra per la privacy si scontrano un’agenzia governativa e un’azienda privata, mentre un problema globale come quello delle ingerenze che un governo si può permettere per obbligare le aziende a invadere la privacy dei loro utenti andrebbe gestito attraverso un percorso politico, lontano dalle banali ragioni del marketing che muovono i colossi del web e lontano dalle smanie da Grande Fratello dei governi.

E la Costituzione Italiana cosa dice?

Quando è nata, la nostra Costituzione non si preoccupava certo del web. A dirla tutta, nel 1948 non pensava neppure alla tivvù come mezzo di comunicazione di massa.
Tuttavia non si può dire che non se ne occupi: l’articolo 14 sull’inviolabilità del domicilio, e l’articolo 15, sulla libertà e segretezza della corrispondenza, trattano direttamente di privacy. In particolare l’articolo 15 stabilisce che anche “ogni altra forma di comunicazione” è inviolabile.
Non solo, laddove la Costituzione riconosce e garantisce il diritto di “manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (articolo 21), certamente comprende anche il web.
Tra i principi fondamentali, l’articolo 3 ci viene in aiuto perché influisce sulla valutazione della parzialità della rete. Rete che può essere gestita per compiere discriminazioni tra i cittadini, anche sotto il profilo del marketing!
Il web è un potentissimo mezzo di persuasione che ci convince a fare nostri i modi di pensare e i comportamenti che diffonde, che crea idoli da imitare. È un mezzo che soddisfa il desiderio che ognuno di noi ha di poter guardare con i propri occhi nella vita degli altri, di partecipare ai fatti anche più lontani.
Quello di cui abbiamo bisogno, dunque, non è solo l’adeguamento delle norme giuridiche alle nuove esigenze della privacy. Abbiamo bisogno di fermarci un attimo a pensare prima di accogliere tutto quello che la rete ci vomita addosso, di meditare sulla violenza che entra in famiglia attraverso lo schermo e che noi accettiamo come fosse una realtà necessaria del mondo, spettatori passivi di una commedia tragica.

Simona Tarzia
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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.

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