Jean Monnet diceva che l’Europa non è un territorio, non è una nazionalità, è una questione di volontà
La volontà in questo caso fu determinata dalla lotta contro il nazionalismo che aveva insanguinato l’Europa e dalla consapevolezza che si doveva superare il concetto di sovranità nazionale per aspirare a qualcosa di più grande. Uomini come Altiero Spinelli, fondatore nel 1943 del Movimento Federalista Europeo, si ispiravano agli scontri disperati che impegnavano i partigiani di paesi diversi uniti nella lotta per pulire il continente dai criminali. Fu così che dall’orrore per la guerra nacque l’idea di abbattere le frontiere.
Dunque, l’Europa, esiste?
Il tentativo decisivo per costruirla è quello di un grande protagonista della storia contemporanea: Winston Churchill.
Quali propositi animavano il grande statista britannico? Lo preoccupava il vuoto lasciato dalla Germania nel cuore dell’Europa: ridotta in macerie anche nell’anima, occupata militarmente da quattro grandi potenze – Unione Sovietica, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia – avrebbe potuto attirare gli appetiti dell’Unione Sovietica e forse anche degli Stati Uniti. Del resto la nuova struttura data dai russi all’Europa Orientale occupata, allarmava tutti gli occidentali e dava loro la sensazione di una politica di aggressione.
Animato da questi timori Churchill voleva gettare le basi per una riappacificazione franco-tedesca che, al di là dei trattati, rappresentasse un legame permanente e duraturo e mettesse al sicuro da nuovi sussulti nazionalisti e guerrafondai. Aveva capito che, dopo l’ondata di violenza che aveva squartato l’Europa, i tempi erano maturi e nel 1946, davanti alla gioventù accademica di Zurigo, lanciò la sua proposta di ricostruire “la famiglia dei popoli europei in una struttura regionale che potremmo chiamare Stati Uniti d’Europa, e il primo passo pratico consisterà nella creazione di un Consiglio d’Europa”. Precisando subito che la Gran Bretagna era legata ai paesi del Commonwealth e non ne avrebbe fatto parte.
Non dovrebbe stupirci più di tanto, dunque, il divorzio britannico.
E noi continentali, perché dobbiamo fare l’Europa?
Persino il nome, Europa, fu abbandonato dopo le invasioni barbariche e sostituito dal termine “cristianità”. C’è voluta la minaccia turca per rispolverarlo.
Persino geograficamente siamo solo un’appendice del grande continente asiatico.
E neppure sul piano economico riusciamo ad essere un interlocutore valido e ci pieghiamo all’accordo transatlantico di libero scambio, il TTIP.
Da sempre divisa sul piano ideologico e su quello religioso dalla Riforma, l’Europa si è proiettata senza sosta al di fuori di sé stessa in una continua diaspora sull’intero pianeta. Il futuro dell’Europa sarà ancora l’esilio? E soprattutto: l’Europa potrà sopportare la risposta?
L’Europa è giovane e piena di fragilità.
Gli europei sono scontenti, preoccupati, alla ricerca di qualcosa che non trovano. I giovani sono disorientati e non sanno cosa fare del loro futuro. Eppure la dimensione europea può essere la forma nuova in cui colare le esperienze e i talenti delle nazioni d’Europa, alla ricerca di un contenuto che risponda alle necessità della gente.
È una ricerca che dobbiamo fare insieme. È una questione di volontà.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.