“Oggi abbiamo incassato l’ennesima bastonata. Eppure torno a casa con l’anima serena perché so che insieme a me ci sono colleghi, amici che non chinano il capo e riescono a scindere ciò che è giusto fare da ciò che converrebbe fare. Vedere persone come Turi, ormai prossimo alla pensione, che da solo blocca via Assarotti o vedere Canepa “Canepin”, in pensione da anni, oggi al nostro fianco, mi fa sentire orgoglioso di appartenere a questa gente, quelli che vogliono e soprattutto possono guardarsi allo specchio con lo sguardo alto. Non è vero che bisogna lottare per guadagnare qualcosa. Bisogna lottare quando è giusto farlo”.[1]
[1] Tratto da una lettera inviata all’Unione Lavoratori AMIU da “uno dei milleseicento”.
Solo un’attenta analisi ci può chiarire quello che sta avvenendo in Italia in questi mesi nel mercato del lavoro. Il primo passo necessario per arrivare a questa comprensione è guardare ai fatti del passato, tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta. L’azione del governo di Matteo Renzi, politico liberista senza tema di smentita, sta aiutando la poco dotata imprenditoria italiana a riprendersi tutto quello che era stata costretta a concedere su pressione delle lotte operaie di quegli anni. E lo fa in un contesto economico e sociale che non lascia spazio a possibili accordi di classe. Come si è passati dallo Statuto dei lavoratori al Jobs Act di Renzi, alle filosofie aziendali di Marchionne? Come si è evoluto, o involuto – dipende dai punti di vista – il ruolo della sinistra riformista da Landini alla Camusso, da Civati a Cuperlo? Nei dibattiti televisivi o nei sempre più rari comizi pubblici, tutte queste componenti di una sinistra ormai impalpabile gridavano allo scandalo perché la riforma del lavoro di Matteo Renzi stava demolendo la legge 300 del 10 maggio 1970, nota ai più come Statuto dei Lavoratori.
Proteste di facciata, nel mentre la riforma arrivava all’approvazione definitiva!
È probabile che i quasi due anni di durissimi scioperi dei lavoratori di Fiat Mirafiori, dal primo semestre del 1968 alla fine del 1969, siano solo un ricordo scomodo, preferibilmente da cancellare. Il sindacato e i lavoratori dovrebbero riappropriarsi dei meriti di quegli scioperi e di quei risultati. Lo Statuto non fu una concessione della grande imprenditoria che in un contesto di crescita economica fece una “cortesia”. Anzi, il tentativo di golpe di Valerio Borghese nel 1970 racconta un’altra storia: piuttosto di fare concessioni, una parte della borghesia industriale preferiva la svolta autoritaria.
Ma veniamo al Jobs Act che non ha bisogno di slogan ma di numeri verificati.
I dati diffusi dall’Osservatorio Inps attestano una situazione piuttosto differente rispetto a quelli ministeriali. L’Inps fotografa un mercato del lavoro preoccupante nel quale aumentano i licenziamenti e il ricorso ai voucher e diminuiscono le assunzioni. Vi è, inoltre, una dicotomia netta in caso di licenziamento: il Jobs Act, infatti, prevede che per gli assunti dopo il 7 marzo 2015 la reintegrazione a seguito di licenziamento illegittimo sia limitata solo ai casi in cui per via giudiziale venga accertata la natura discriminatoria del provvedimento. Per i lavoratori assunti prima di tale data troverà applicazione la Legge Fornero, che già rappresentava il superamento del precedente regime normativo a favore di una maggiore flessibilità.
Di seguito alcune slide – ci adattiamo alla moda – dell’Osservatorio sul Precariato.
Non abbiamo ancora gli strumenti per poter affermare con certezza che il Jobs Act sia un provvedimento che fabbrica precariato ma, a quanto pare, finiti gli incentivi il meccanismo si è inceppato. Probabilmente non si crea lavoro con un decreto. Vedremo se i numeri cambieranno in seguito.
Sindacato in difficoltà alla Magneti Marelli di Bologna, fabbrica del gruppo Fiat
Il 22 giugno 2016 il conteggio dei voti per eleggere i rappresentanti per la Sicurezza ha mostrato una schiacciante vittoria della FIOM con un risultato che non può passare inosservato: l’80% ha scelto i delegati del sindacato di Landini. Il primo eletto FIOM è stato votato più di FIM e UILM messi insieme. FIM-CISL e UILM-UIL, cioè le organizzazioni firmatarie del Contratto Specifico Fiat (quello di Pomigliano, per intenderci), complessivamente non hanno raggiunto un quarto dei voti presi dai meccanici della CGIL. Eppure la FIM-CISL le ha provate proprio tutte per influenzare il risultato, persino convocare un’assemblea a urne aperte, mentre erano in corso le operazioni di voto. Non è servito.
Anni e anni di accordi discutibili firmati senza consultare i lavoratori hanno sancito una sconfitta che punisce il modello autoritario, responsabile di aver leso non solo la democrazia in fabbrica ma anche tutele, retribuzioni e diritti. A punire l’atteggiamento dei sindacati confederati non sono stati solo gli operai ma anche quelli che un tempo venivano definiti “colletti bianchi”, probabilmente stufi di anni di salari ridotti, carriere bloccate e scarso coinvolgimento nei processi decisionali. Il risultato della Magneti Marelli di Bologna ci rivela un dato importante: la concezione del lavoro di Marchionne e Renzi ha il fiato corto e non può certo costituire il modello delle relazioni industriali di questo paese.
“L’esigua minoranza” di AMIU Genova
Il 3 ottobre 2016 alla Sala chiamata del porto si è verificata la prevedibile spaccatura tra la maggioranza dei lavoratori Amiu e i sindacati Cgil,Uil e Fiadel. Cisl assente per grande intuito, ma firmataria comunque del contratto.
Massimo Cenciotti, Segretario Nazionale della Funzione Pubblica Cgil era pronto a ribadire il grande successo raggiunto con la stesura di questo contratto ma non ha attentamente valutato gli umori dei lavoratori. Ancora una volta il sindacato ha ragionato come un’entità a sé, completamente avulsa dalla realtà.
La risposta di chi ha deciso di non abbassare la testa è stata dura: “Ci chiedete di esprimere un giudizio su un contratto dove su sciopero, malattia e altri argomenti non c’è scritto nulla. Ma un assegno in bianco non siamo più disposti a firmarvelo. Due anni fa bisognava fare muro contro le richieste delle aziende e invece si è scelto di firmare un contratto dove per i lavoratori non c’è quasi nulla di buono e con la prospettiva che fra 3 anni il contratto nazionale venga cancellati. Parte dei nostri aumenti contrattuali vengono trattenuti e immessi in enti bilaterali nei cui consigli d’amministrazione siedono Cenciotti e altri sindacalisti. Secondo noi c’è un conflitto d’interessi e in ogni caso se volete finanziare questi enti con i nostri soldi, ce lo dovete chiedere”.
Sulla carta il contratto prevede un aumento di 120 euro lordi, di questi: 70 euro lordi in busta, 20 euro su una specifica voce indennitaria non parametrata, 30 euro agli enti bilaterali Previambiente , Fasda e Rubes Triva. Questo a fronte di 2 ore in più di lavoro settimanali, dalle attuali 36 a 38. A prima vista e a una lettura poco attenta, 120 euro di aumento per due ore in più la settimana parrebbero un buon affare.
Nella realtà le due ore in più sono un perdita diretta di potenziali nuovi posti di lavoro e i 70 euro lordi in busta neanche coprono il costo orario.
All’apertura delle urne il risultato è stato questo: i lavoratori dell’AMSA di Milano hanno bocciato il contratto con mille voti contrari e 500 a favore. A Roma il NO ha stravinto e il contratto è stato bocciato anche nelle aziende di Udine, Monza, Vicenza, Trento, Empoli, Torino, Viareggio. A Genova il risultato più clamoroso dove i NO sono stati 958 e i SI 275 e gli astenuti (?) 12.
Le segreterie dei sindacati, che sono usciti dalle assemblee con le ossa decisamente rotte, piuttosto che rivedere quali aspetti del contratto modificare, magari insieme ai lavoratori che sono in balia di un mercato feroce e senza regole, hanno pensato di produrre un comunicato stampa ipocrita. Per i sindacati le proteste (gazzarra) sono nate da un’esigua minoranza che avrebbe impedito alla maggioranza dei lavoratori di continuare l’assemblea. Di fatto la maggioranza era contraria al contratto e lo ha espresso chiaramente con il voto. Forse uno sforzo del sindacato verso maggiori tutele dei lavoratori sarebbe stato gradito.
Sembra passato un secolo dal discorso col quale Luciano Lama si congedava dal mondo sindacale nel 1986:
“Un vero grande sindacato come il nostro ha sempre assolto in tutta la sua storia una funzione nobile di educazione politica e classista, ma anche morale delle masse. Abbiamo sempre cercato di parlare ai lavoratori come a degli uomini, di parlare al loro cervello e al loro cuore, alla loro coscienza. In questo modo il sindacato è diventato scuola di giustizia, ma anche di democrazia, di libertà e ha contribuito a elevare virtù civili dei lavoratori e del popolo”.
Oggi c’è l’azienda sindacato che può contare su circa due miliardi di fatturato l’anno e 25mila dipendenti, sommando l’attività delle tre più importanti confederazioni, Cgil, Cisl e Uil. Numeri che ricordano il bilancio di un grande gruppo industriale. E’ la metamorfosi Kafkiana di un soggetto che si trasforma in società di servizi e perde il ruolo sociale per cui è nato. Spesso si ha la sensazione che il sindacato sia concentrato al raggiungimento del risultato senza considerare i danni collaterali che provoca e di cui sono vittime i lavoratori.
Gli enti bilaterali: cosa sono? A cosa servono? A chi servono?
Per carità è tutto chiaro, tutto legale fino a prova contraria, ma l’olezzo si sente. Non avvelena, ma non sa di buono.
Sindacalisti che fanno parte di enti che prendono denari dai lavoratori e che sono nei CdA insieme agli imprenditori. Non è normale, sarà legale, ma non normale.
Il fondo integrativo FASDA, ad esempio, vede alla presidenza Paolo Pioppini (FIT CISL) e come Vice Presidente Gianfranco Grandaliano (UTILITALIA), poi tanti altri, sempre di Utilitalia e Fise Assoambiente. Massimo Cenciotti (FP CGIL), Stefano Ovani (FP CGIL), Angelo Curcio (FIT CISL), Paolo Modi (UIL TRASPORTI), Maurizio Giacomo Venuto (FIADEL), Luigi Verzicco (FIADEL).
Nel CdA di Previambiente troviamo nuovamente Massimo cenciotti (CGIL), Angelo Curcio (FIT-CISL) e in qualità di Vice Presidente Gianfranco Grandaliano (UTILITALIA). Nella Fondazione RUBES TRIVA, nata per fare formazione sulla sicurezza, Massimo Cenciotti è il Presidente, nel CdA Angelo Curcio (FIT-CISL), Luigi Verzicco (FIADEL).
E’ encomiabile l’impegno di questi sindacalisti che, gratuitamente, impiegano il loro tempo tra mille carte da firmare e riunioni a cui presenziare, ma ci piacerebbe vedere i rimborsi spesa.
Non ci sarebbe da meravigliarsi se, alla luce di questi fatti, tornassero al mittente molte tessere del sindacato.
fp
Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.
Bellissimo articolo in poche righe la transformazione del sindacato da sindacato di classe alla classe del sindacato nel senso di mantenimento dei diritti dei sindacalisti e dei loro stipendi sulla pelle dei lavoratori
Purtroppo è così. Grazie e continua a leggerci.
Analisi critica e reale ,in questa Italia che si divide tra grande fratello e crisi economica,tra fasullo e reale tra finta politica e finta democrazia…penso al mio vecchio quasi novantenne, che con gli occhi increduli mi dice volevamo darvi un mondo migliore, ma abbiamo sbagliato qualcosa qualcosa ci ha preso la mano.
Leggo con piacere il tuo articolo e a te va tutto il mio apprezzamento perché anche il giornalismo difficilmente riesce a parlare di cose scomode…meglio annunciare il grande fratello al TG della sera.
Grazie
Grazie per il tuo commento. Il nostro è un esercizio di libertà, scrivere senza padroni. Seguici in questa avventura.
Devo dire che è un bell’ articolo racconta di un passato che per la mia giovane età non ho vissuto ma che grazie al quel vecchio modo di fare dei miei nonni mi è stato tramandato e con quello stesso spirito con cui veniva raccontato a me vorrei raccontarlo ai miei figli e ai miei nipoti, vorrei lasciare a loro un mondo migliore di come l’ho trovato e questo articolo ci fa capire cHe forse ad un certo punto della storia si é presa una strada sbagliata e ora è arrivato il momento di tornare indietro se vogliamo lasciare un futuro alle prossime generazioni…
Grazie Christian.