La misura tra la vita e la morte è il semplice spessore di un cartone ripiegato

È una minaccia costante di questi tempi e facciamo finta di non vederla.
Si chiama povertà.
Molti italiani camminano sull’orlo del precipizio e sono in procinto di finire nel vortice degli invisibili, quelli che, zainetto in spalla, vagano nelle stazioni in attesa dei volontari che gli portino un pasto caldo o un panino.

Il 7,6% per cento della popolazione italiana vive sotto la soglia minima: quattro milioni e 598mila persone in condizione di povertà assoluta. Secondo i dati del report Istat, uscito il 6 dicembre di quest’anno e relativo al 2015, è il numero più alto dal 2005.
Questo drammatico fenomeno è in aumento al Nord e diminuisce man mano che si alza l’età della persona di riferimento e il titolo di studio.
La percentuale minima di incidenza, il 4,0%, riguarda le famiglie dove la persona di riferimento ha più di 64 anni ed è diplomata, poco più di un terzo di quella rilevata per chi ha al massimo la licenza elementare.
Quanto all’area geografica, per un adulto single la soglia di povertà assoluta è pari a circa 819 euro se risiede in un’area metropolitana del Nord, a 734 euro se risiede in un piccolo comune sempre del Nord e a 550 euro se vive in un comune del Mezzogiorno.

Aumenta la povertà per le famiglie, dove chi lavora, fa l’operaio.
La povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata sale dal 5,2 del 2014 al 6,1% e, se operaio, dal 9,7 a 11,7%. Rimane contenuta tra le famiglie dove la persona occupata è dirigente o quadro o impiegato.

Cosa significano povertà assoluta e povertà relativa
Le stime diffuse dall’Istat provengono dall’Indagine sulle spese delle famiglie. Sono considerate tutte le spese sostenute dalle famiglie per acquistare beni e servizi come generi alimentari, utenze, medicinali e altri servizi sanitari, elettrodomestici, abbigliamento e calzature, trasporti, comunicazioni, spettacoli, vacanze e così via. Non rientrano in questa statistica le spese non destinate al consumo.
La povertà assoluta riguarda, quindi, le famiglie in base all’incapacità di accedere a determinati beni e servizi che vengono considerati essenziali per vivere in modo accettabile. L’ipotesi di partenza è che i beni e i servizi che hanno a che fare con i bisogni primari siano omogenei su tutto il territorio nazionale, tenendo in considerazione che i prezzi variano in base alle zone geografiche della penisola. L’unità di misura della statistica è la famiglia e i suoi membri.
I bisogni primari sono divisi in tre aree che comprendono l’alimentazione, che deve essere adeguata, l’abitazione che deve corrispondere alle dimensioni della famiglia, avere il riscaldamento e i servizi principali e infine il reddito che deve permettere di comunicare, informarsi, muoversi, mantenersi in buona salute e istruirsiLa spesa minima necessaria per acquisire i beni e i servizi essenziali, rappresenta la soglia minima di povertà assoluta che varia in base alle dimensioni della famiglia, all’età dei suoi componenti, alla posizione geografica e alle dimensioni del comune di appartenenza.
 La misura di povertà relativa dà invece una valutazione “della disuguaglianza nella distribuzione della spesa per consumi e individua le famiglie povere tra quelle che presentano una condizione di svantaggio rispetto alle altre. Viene definita povera una famiglia di due componenti con una spesa per consumi inferiore o pari alla spesa media per consumi pro-capite”.

Le statistiche rendono un’idea solo parziale di quella che è la realtà, non perché siano inattendibili ma perché non tengono conto delle emozioni, dei sentimenti e della paura. La chiusura di questo articolo è la testimonianza di una vita che si è improvvisamente mutata in un incubo.

Buona lettura.

Parte Prima

“Ci entrai a testa bassa un po’ intimorito, vinto dal freddo edall’umidità, oltre che dal bisogno. Sentii subito gli occhi addosso. Occhi diffidenti e curiosi, ma nessuno osò chiedere nulla. Mi sedetti sulla panca di legno, fingendo un’indifferenza che non provavo e accesi una sigaretta. Non sapevo neppure io cosa fare lì. La domanda arrivò, secca come una fucilata: 

« Hai mangiato?»
Un paio di quegli occhi, prima indagatori e diffidenti, avevano capito chi ero: solo un altro della stessa tribù. Una tribù numerosa che dopo aver imboccato qualche crocevia sbagliato, si ritrova lì, nella sala d’aspetto di una stazione cercando di passare indenni la notte e affrontare il giorno dopo col freddo nelle ossa e pochi spiccioli in tasca. 
Qui al
Gran Hotel delle Palme, non si fanno troppe cerimonie, non ci sono tessere da esibire. Basta lo sguardo per capire chi fa parte del Club.

«
Si, grazie. Non ti preoccupare » Fu la mia risposta. Quella faccia scolpita dal vento e dalla natura mi rispose con un mezzo sorriso.
« Ci sono ancora dei panini, senza complimenti ».  E aprì una busta per la spesa, offrendomi il contenuto.
« Beh, allora grazie».
« Se c’è da mangiare, ce n’è per tutti. Quando ne avrai lo dividerai anche tu».

 Iniziai a mangiare il panino che mi aveva offerto scoprendo di avere più appetito di quanto ammettessi a me stesso. Mi sentii rinfrancato, più da quel semplice gesto che da quel povero cibo. Ringraziai ancora e mi accesi un’altra sigaretta.

«Non hai niente?» mi chiese ancora.
«Cosa, scusa? Non capisco ».
«Non hai niente per passare la notte? Mica puoi stare lì seduto! C’è freddo e se ti ammali sei fottuto.»
«No. Non ho niente. Appena potrò mi compro un sacco a pelo come il tuo».

Rise forte e di gola.

«Novellino eh? Non si compra nulla. Vai alla parrocchia di San Siro a Santa Margherita. Chiedilo e te ne danno uno. I soldi tienili per altre cose».
Così dicendo, si sfilò dal suo improvvisato giaciglio, calzò le scarpe, un paio di vecchi anfibi militari, e andò a frugare in un angolo nascosto. Ne tirò fuori un largo cartone ripiegato e una coperta militare.
«Ti faccio vedere»
Stese il cartone in un angolo di quella sala, e vi pose sopra la coperta ripiegata in due. Un sacco a pelo improvvisato ma funzionale.
«Le scarpe mettile sotto il cartone. Ti serviranno da cuscino e non te le possono fregare».
«Grazie, nuovamente».

Feci come mi disse e, a parte la durezza, quella piccola tana era calda e neppure troppo scomoda.

Sorprendente dover prendere atto che la misura tra la vita e la morte, sia il semplice spessore di un cartone ripiegato.

CONTINUA

Fabio Palli

Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.

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