Arrivai al Grand Hotel delle Palme nel dicembre del 2005. Come già accennato, quell’inverno fu tra i più rigidi degli ultimi 80 anni.
Eravamo pochi “clienti” fissi.
Sandro, il milanese che mi offrì sostegno e panino al primo incontro aveva 57 anni, 16 di strada sulla carriera, detestava l’etichetta di barbone, preferendo il titolo di vagabondo. Una scelta di vita deliberata, la sua. Al pari di Lorenzo, detto “Il Conte”, ormai quasi ottantenne. Di lui si racconta che, dopo aver gestito per anni uno dei migliori alberghi di Genova Nervi, una volta in pensione nei primi anni ’80, si presentò davanti al Grand Hotel a bordo di una Alfa Romeo fiammante. Ne contrattò la vendita sul posto per la somma di 3 milioni e mezzo dell’epoca, e da allora non si sia più mosso da lì. E, a quanto si “sente”, neppure più lavato. Poi Raffaele, un polacco logorroico sulla trentina, da 5 in strada.
Capitò in Italia pensando che, per intercessione divina e conterraneità con Papa Woityla, fosse facile qui avere una vita meno grama che nel suo paese.
L’ultimo degli habitué, ma non ultimo nella mia memoria, era un ragazzo algerino. Una trentina di anni e una laurea in legge, che qui vale poco più di un fiammifero già usato.
Cresciuto tra la guerra civile del suo paese per l’ottenimento dell’indipendenza dalla Francia e tra i rastrellamenti sanguinosi della Légion Etrangére, arrivò in Italia alla fine degli anni ’90, con un visto turistico. Come quasi tutti.
Scaduto il visto divenne clandestino. Per comodità lo chiamerò Massoud. Vendeva cianfrusaglie e aveva una ragazza a Milano.
Rientrai una sera al Grand Hotel. Aveva nevicato quel giorno, nonostante il marzo inoltrato. Il freddo tagliava la pelle del viso, come un rasoio affilato male.
Trovai Massoud rannicchiato sul suo cartone, sepolto da una valanga di coperte.
Era conciato male.
«Cos’hai Massoud? Stai male?»
«Nulla. Solo freddo. Poi passa, non ti preoccupare.»
«Sei sicuro, Massoud? Vuoi che chiami un’ambulanza?»
«Sei matto? Appena scoprono che sono un clandestino, quelli mi sbattono in galera! Lasciami perdere, per favore!»
Poco convinto, me ne andai nel mio angolo.
Al mattino le condizioni di Massoud erano molto peggiorate. Respirava a fatica e non dava segni di coscienza.
Unico fortunato possessore di telefonino, chiamai il 118 e in breve vennero a prenderlo con un’ambulanza.
Passarono una ventina di giorni, prima di vederlo riapparire. Era Pallido e dimagrito. Mi guardò torvo, e dopo aver esclamato “Stronzo!”, si aprì in un sorriso e mi abbracciò. Raccontò di essersela cavata per un pelo, aveva la polmonite. Un’altra notte al freddo gli sarebbe stata fatale.
«Appena dimesso, mi hanno portato in questura. E da lì m’è stato consegnato il foglio di via. Entro 15 giorni debbo andarmene al mio paese. Se mi fermano ancora, vado dritto in galera. Comunque, ti ringrazio fratello!»
«E ora che fai?»
«Vado a Milano dalla mia ragazza. Magari finisce che ci sposiamo e nessuno potrà mandarmi via!»
«Auguri Massoud! E Inchallah!»
Queste cose capitano abbastanza di frequente. Non sempre finisce bene come per Massoud.
E dedico questo frammento di memoria a Pietro Magliocco.
Dormiva nella stazione di Genova Sampierdarena.
Da vari giorni malato di polmonite, moriva la notte stessa del suo ricovero in ospedale.
Aveva 57 anni.
Con lui voglio ricordare chi in questi anni è morto per strada.
Buon anno nuovo!
fp
Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.