Jeans, che Passione!

Genova non smette mai di stupirci. Sospesa com’è tra passato e futuro, luogo di contaminazioni e incontri, crocevia di culture e di merci.
“Gh’è de tùtto comme a Zena!” diceva mio nonno… ma non divaghiamo.

Dunque, i Genovesi. Grandi navigatori, affaristi e accumulatori, nel corso dei secoli hanno fatto affari d’oro comprando merci qua e rivendendole là, per esempio nella Londra del Seicento che amava molto i tessuti che arrivavano da Genova.
Si racconta che già dal Medioevo qui si producesse il fustagno. Tela di cotone e lino, il fustagno era molto più conveniente della lana ed evitava di ricorrere all’allevamento delle pecore che non veniva considerato adatto né al territorio, né a un’economia basata sul commercio marittimo, tanto più che non avrebbe garantito guadagni in caso di carestie, all’epoca molto frequenti.

Dunque, i Genovesi. Accorti, risparmiatori, calcolatori, avevano le loro idee e il remo facile.
Il cotone, infatti, lo prendevano in Nord Africa o in Oriente ma lo lavoravano in patria, contenendo i costi.
Va bene, penserete voi, ma cosa c’entrano i jeans?
I tessuti genovesi, tinti per la maggior parte in azzurro, erano molto resistenti, adatti ai lavoratori del porto, e avevano un prezzo davvero concorrenziale che ne fece i preferiti degli inglesi.
E fu proprio nel porto di Londra che nacque il mito del Blu di Genova. Le balle di fustagno arrivavano contrassegnate con il termine francese Jeane, che ne indicava la provenienza e che, con il passare dei secoli, si è andato ad associare al tessuto.

L’albero genealogico dei jeans, quindi, nasce a Genova e solo a Genova si trovano i suoi illustri antenati: i “jeans della Passione”,   esempio unico e straordinario per qualità e originalità.
Si tratta di quattordici teli di lino indaco, dipinti a monocromo e commissionati dai monaci dell’Abbazia Benedettina di San Nicolò del Boschetto, in Valpocevera, come apparato effimero per la Settimana Santa. I teli riportano scene della Passione di Cristo e sono databili intorno al 1538.

Oggi si possono ammirare nelle sale del Museo Diocesano

Il Museo Diocesano di Genova

Incontriamo Paola Martini, conservatore del museo, nel Chiostro dei Canonici di San Lorenzo, stretto tra il Palazzetto Criminale, la Cattedrale di San Lorenzo e Palazzo Ducale, nel cuore politico e religioso della città vecchia.
L’edificio, che ospita il museo, conserva nei fondi due stanze di una domus romana del I secolo a.C. rinvenute durante gli scavi archeologici effettuati all’avvio dei lavori di restauro, nel 1987.

Non solo. “Abbiamo la fortuna di vedere un museo allestito in un complesso monumentale che mantiene intatte le caratteristiche della sua storia – ci spiega Paola Martini – Un chiostro del XII secolo, solai lignei decorati secondo lo stile medievale, affreschi di fine 1200 nelle stanze private dei canonici e un percorso ad affresco nell’ambulacro superiore che riproduce le scene dei Fasti dei Canonici”.

È conservato qui anche il monumento funebre del Cardinale Luca Fieschi, la più cospicua testimonianza della Genova trecentesca che ci sia pervenuta.

Una traccia davvero importante perché di questo periodo resta ben poco, in parte per gli interventi urbanistici e in parte a causa dei bombardamenti patiti a più riprese dalla città, primo quello del 1684.
Nel maggio di quell’anno il Re Sole, per reprimere una volta per tutte le ambizioni della potente oligarchia che governava la Repubblica di Genova, sferrò un attacco dal mare e scaricò sulla città circa 13.500 bombe.
Accanto ai tradizionali cannoni, le navi di Luigi XIV erano dotate di mortai che lanciavano proiettili cavi riempiti di esplosivo, con un effetto distruttivo mai visto.
Il principale obiettivo dei francesi era Palazzo Ducale, residenza del Doge e sede del potere, che venne raggiunto, però, solo dopo progressivi aggiustamenti e dopo aver colpito tutto quello che si trovava sulla sua traiettoria. Le Mura delle Grazie, piazza San Giorgio, la Cattedrale di San Lorenzo, il chiostro dei Canonici…
Di quei giorni drammatici restano due bombe incendiarie inesplose in Santa Maria di Castello e tre proiettili in pietra rinvenuti all’interno del chiostro di San Lorenzo, in un’area adiacente al Palazzetto Criminale.

Insomma, un museo davvero sorprendente, che abbraccia la Storia dell’arte e la storia della città.
Un percorso originale e insolito dove le opere sono anche uno strumento per relazionarsi con lo spazio architettonico che le custodisce.

A noi ha regalato le emozioni di una poesia, una poesia viva che qui si è fatta spazio e colore.

Simona Tarzia

Con l’iniziativa “La bellezza è un dono. La Sua bellezza è un Tuo dono” il Museo Diocesano ha promosso una raccolta fondi per il restauro di alcune opere della collezione museale.
Se volete saperne di più: http://www.museodiocesanogenova.it/13-luglio-la-bellezza-e-un-dono-inizio-restauri/

Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.

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