Cara vecchia Rollei

Vi sembrerà un articolo nostalgico. Avete proprio ragione, lo è. Faccio il fotografo da quando avevo le braghe corte e posso dire di aver usato di tutto.

Sinar Norma

Banco ottico, macchine medio formato a telemetro o con caricamento a scamotaggio. Alcuni marchi?

Kowa Six

A parte i soliti noti in uso ancora oggi, ho usato con gusto fotocamere come la Kowa Six, la Mamiya super 23, la Koni Omega, o la Plaubel Makina 6×7. Sono persino arrivato alla distorsione mentale di acquistare una 4”x5” grandangolare, la GIL 45 costruita da Gilardoni con pezzi Horseman. Ci vollero mesi per metterla a punto. Erano tempi in cui si passava a salutare Andrea Fighetti per parlare un linguaggio incomprensibile ai più o prendere un caffè con Bruno Palazzi grande esperto di Canon con un debole segreto per Nikon. Memorabili le battaglie con Tito Giansoldati per avere 5000 lire di sconto.  Un giorno pur di vendermi una Sinar Norma 4”x5” mi raccontò che l’aveva direttamente ritirata a Gianni Berengo Gardin. Io ero consapevole della balla colossale ma ho sempre provato piacere nel credere che fosse vero.

Rolleiflex

Conservo ancora la Rolleiflex biottica di mio padre, una Tessar 3,5 da sempre preferita alla Planar 2,8, il motivo mi è ancora oggi sconosciuto. Ma in fatto di Rollei, l’unica persona veramente esperta, appassionata e competente è Angelo Derqui, a cui ho chiesto di scrivere qualche riga su questa famosa biottica tedesca.

Buona lettura

fp

LA ROLLEIFLEX BIOTTICA

La Rolleiflex, leggendaria fotocamera biottica, strumento indispensabile utilizzato per circa un quarantennio dalla schiera dei fotografi professionisti, nacque quasi 90 anni fa; ne consegue che le sue qualità devono essere giudicate innanzitutto in chiave sentimentale inquadrandole poi nel “momento” tecnologico di quasi un secolo fa quando la manualità era preponderante. Oggi la messa a fuoco, i valori di esposizione, l’inquadratura e la profondità di campo sono elementi che non preoccupano perchè garantiti dalle incredibili tecnologie automatizzate del digitale.

Heidoscop

La leggenda racconta che la biottica sia nata quasi per caso: pare che l’Ingegner Heidecke, appoggiando su un fianco la sua fotocamera stereo Heidoscop, venisse ispirato dalla disposizione delle due ottiche allineate verticalmente. La realtà è un po’ diversa: già nel 1881 la Marion & Co. Aveva realizzato una biottica. Lo stesso Heidecke, quando lavorava in Voigtlander, progettò una biottica non apprezzata dall’azienda che percepì troppo tardi l’enorme potenziale contenuto in quell’idea. Heidecke, lasciata la Voigtlander, riprogettò la Rolleiflex biottica, una fotocamera fuori dai canoni tecnico/estetici dell’epoca risolvendo due problemi fondamentali per la ripresa fotografica: messa a fuoco e inquadratura, due preziosi pilastri della fotografia ottenuti grazie a un semplice schermo di vetro smerigliato che trasformava la fotocamera in un piccolo e maneggevole banco ottico col vantaggio dell’istantaneità della ripresa e del controllo dell’immagine sino al momento dello scatto. La certezza della messa a fuoco e dell’inquadratura offerte dalla biottica furono conquiste fondamentali in un periodo in cui la messa a fuoco era incerta perché la distanza del soggetto veniva stimata e trasferita   sulla ghiera metrica dell’ottica. Ne derivava una messa a fuoco approssimativa, peggiorata sia dai lunghi fuochi delle ottiche di quei tempi, sia dalla bassa sensibilità delle pellicole che richiedevano diaframmi molto aperti. Come noto la profondità di campo nitida è inversamente proporzionale sia alla lunghezza focale sia all’apertura del diaframma. La fondamentale importanza di una precisa messa a fuoco fu subito recepita da Leitz e Zeiss che nei primi anni ’30 incorporarono nelle loro fotocamere un telemetro accoppiato alle ottiche (Leica II Contax I).
 L’inquadratura, invece, era legata a minuscoli mirini a riflessione o a traguardo con i quali era facile “decapitare” teste o piedi nelle foto di gruppo o “tagliare” monti e alberi o “inclinare” paurosamente pianure e oceani nelle foto di paesaggio. Con la Rollei anche l’inquadratura era garantita: non solo tutto ciò che si vedeva nel vetro smerigliato lo si ritrovava nel negativo, ma la dimensione di questo mirino era tale da consentire un preciso controllo della ripresa con l’evidenza degli eventuali elementi di disturbo.

angelo-con-la-plaubel-4x5
Angelo Derqui con la Plaubel 4″x5″

La Rolleiflex produceva negativi quadrati con il lato di quasi 6 centimetri. Per questo formato sono stati versati fiumi d’inchiostro per esaltarne il fascino, la razionalità e la praticità creando addirittura una “filosofia del quadrato”. E’ però abbastanza agevole demolire il “mito del quadrato” perchè tale formato non è stato certamente il frutto di una scelta estetica, tanto meno filosofica, ma una soluzione obbligata per chi volesse realizzare una fotocamera reflex che, come noto, non poteva essere ruotata di 90 gradi. Il pentaprisma era ancora lontano! Rimane comunque incancellabile il fascino della Rollei biottica, di questo monolito nero dalla linea semplice e essenziale, di questa fotocamera a “due occhi” che, negli anni, pur evolvendosi non ha modificato il proprio concetto rimanendo, sostanzialmente, fedele a se stessa. E’ stata incontrastata regina della scena fotografica sino agli anni ’60. Poi si ritirò silenziosamente messa fuori gioco dalle possibilità operative delle fotocamere reflex 35 mm. a ottica intercambiabile il cui successo fu anche esaltato dal contemporaneo enorme miglioramento della qualità dell’emulsione sensibile che quasi annullò il gap che il 24x 36 aveva rispetto al medio formato.
Quanto sin qui brevemente raccontato vuol essere soltanto il pretesto per ricordare la geniale Rollei biottica e per celebrare la poliedrica figura dell’ingegner Heidecke nato nell’800, la cui fotocamera del 900 è ancora strumento affidabilissimo in questo già avanzato terzo millennio divorato dai megapixel.

James Dean

Mia cara, nobile e affascinante Rollei biottica, oggi sei ancora in grado sia di produrre superbe immagini, sia di riuscire ancora a emozionarmi con il suggestivo colpo di “manovella” per trascinare pellicola e caricare l’otturatore. Purtroppo ti hanno brutalmente dimenticata forse perché sei poco razionale con le tue impegnative operazioni necessarie per caricare il rullo e predisporre tutti i comandi per lo scatto. Come in navigazione è oggi più razionale più sicuro e comodo fare “il punto in mare” con il GPS anziché con l’aristocratico sestante, è altrettanto più agevole fotografare spensieratamente con i sofisticati automatismi delle odierne tecnologie digitali piuttosto che impazzire per preparare lo scatto.

Angelo Derqui

Fabio Palli

Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *