Non sono un esperto di comunicazione politica ma soprattutto nei paesi “emergenti”, di campagne elettorali ne ho viste parecchie.
Ricordo, in un Kosovo provato dalla guerra e unilateralmente indipendente, la campagna elettorale in occasione delle prime elezioni per scegliere il premier. Era il 2008.
Alle enclave serbe fu garantita l’elezione di uno o più rappresentanti che assicurassero la possibilità dei cittadini serbi di accedere alla vita politica.
Il resto della popolazione albanese sceglieva i candidati in base ai quartieri di appartenenza. Poi, nella rosa dei candidati premier, veniva votato quello che avrebbe traghettato il paese verso l’occidente evoluto. Ovviamente ai media internazionali a cui mandavo il lavoro interessavano questi ultimi.
Le strategie di comunicazione dei due principali aspiranti al premierato si rifacevano alle moderne tecniche di comunicazione.
Hashim Taqi era coadiuvato da un team di esperti americani, mentre Behjet Pacolli si avvaleva dei suoi esperti svizzeri. Altri due candidati erano in carcere in attesa di essere rilasciati e rappresentavano trafficanti di droga, di armi e contrabbandieri di qualsiasi cosa. Le strategie occidentali ben presto si rivelarono inefficaci.
I candidati locali, francamente impresentabili con i loro visi rubizzi e le scarpe a punta, raccoglievano consensi distribuendo, udite, udite, pizza come se non ci fosse un domani.
E per gente che non aveva gli occhi per piangere, mangiare pizza in compagnia della famiglia, sembrava un salto nell’improvviso benessere. Quando gli esperti, laureati ad Harvard, si resero conto che la mozzarella li stava battendo corsero ai ripari.
Hashim Taqi ricordò a tutti che la sua militanza nell’UCK li aveva liberati dal giogo serbo e contemporaneamente distribuiva dollari e posti di lavoro. Pacolli si fece ristrutturare la sua villa gigantesca occupando e pagando tutti i muratori di Pristina. Non soddisfatto, riunì quello che rimaneva dei capetti dei condomini e proponeva la ristrutturazione del palazzo.
A Mitrovica, città al confine nord tra serbi e kosovari, si poteva capire benissimo chi votava per lui e chi ancora doveva essere convinto.
Vinse Taqi, con pochissimo scarto, questa è la cronaca. Nella realtà credo che i brogli siano stati il vero ago della bilancia. Nel versante serbo, l’ultranazionalista Nicolic, da sempre contrapposto a Tadic vinse a man bassa facendo una campagna improntata su “prima i serbi”.
Da noi le cose vanno diversamente. Siamo un paese dell’occidente, dove non esistono enclave e dove moltissimi non mangerebbero la pizza offerta da un politico. Genova è policentrica e non esistono le periferie come a Pristina o a Pec. E poi, spesso, la povertà non ha scarpe a punta e visi rubizzi, ma la esponiamo ben identificata intorno alle stazioni. In Kosovo non parlavano di povertà ma parlavano con i poveri. Qui i benestanti organizzano convegni parlando di poveri senza che in platea se ne veda uno. Io credo che sia arrivato il momento di tirare giù l’ancora e capire dove andarli a prendere questi voti. Il tempo stringe.
fp
Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.