Pubblichiamo l’analisi di Federico Fornaro (Articolo Uno Mdp) perché in maniera ineccepibile spiega il voto genovese dell’11 giugno.
La spia rossa dell’astensionismo lampeggia. Soprattutto a Genova, soprattutto per noi
Come da copione il giorno dopo il primo turno delle elezioni comunali di domenica scorsa si sono sprecati i commenti sui voti ottenuti dai candidati sindaci, dalle coalizioni e dalle liste, con elaborazioni e confronti dei dati assai estrose quando non addirittura fantasiose. Bisognerà, infatti, attendere il turno di ballottaggio del prossimo 25 giugno per dare un giudizio finale sul messaggio politico che arriva dalle urne, anche se appare chiara una ripresa del centro-destra unito a trazione leghista, una difficoltà diffusa del centro-sinistra e uno stop, parzialmente inatteso, della cavalcata elettorale del Movimento 5 Stelle, oltre a una proliferazione crescente delle liste civiche.
Rispetto alle precedenti elezioni, nei 25 comuni capoluogo di provincia (le realtà in cui vi è una maggiore valenza politica del voto) i sindaci già eletti al primo turno si sono dimezzati: da 6 (2 centro sinistra; 3 centrodestra e 1 Lega -Tosi) a 3 (2 cs e 1 cd). Nei 22 comuni in cui si svolgerà il secondo turno il centrodestra partirà in vantaggio in 15 (erano solo 2 nelle precedenti elezioni) ed è secondo in 5 (erano 8). Il centrosinistra, invece, nel 2017 è arrivato al primo posto nel primo turno solamente in 4 comuni (contro 13 del passato) e dovrà rincorrere in 16 (contro 5 delle ultime comunali). In buona sostanza i ruoli tra la “lepre” e chi rincorre tra centrodestra e centrosinistra si sono invertiti.
Come sempre, appena sono iniziati ad arrivare dai seggi i dati dei voti, è stato silenziato dai media l’allarme astensionismo che, dopo la “pausa” del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, è tornato a suonare molto chiaro e netto, come una sorta di spia rossa di malfunzionamento della democrazia e di perdita di autorevolezza e credibilità delle istituzioni rappresentative. Nei 1005 comuni chiamati al voto, infatti, la percentuale di votanti è stata del 60,07% contro il 66,85% delle precedenti elezioni. Tendenza all’incremento dell’astensionismo che si rileva anche nei 25 comuni capoluogo di provincia che passano da una media del 64,96% al 58,68% del 2017.
La maglia nera tra i centri maggiori spetta a Genova (48,38%), seguita da Como (49,13%) e Lucca (49,35%). Le differenze maggiori in negativo nei votanti rispetto alle ultime elezioni si sono verificate a Como (- 11,18%), Parma (- 10,90%), Verona (- 10,72%) e Palermo (- 10,60%). In nessun comune capoluogo c’è un dato in incremento. Le migliori performance della partecipazione al voto si sono registrate a Catanzaro (72,50%), Frosinone (72,47%) e Rieti (72,45%). Sono tassi di astensionismo che colpiscono perché nel passato le elezioni comunali erano considerate dagli italiani, nella scala della partecipazione, al secondo posto dopo le politiche, con percentuali di votanti superiori all’80%.
Per lo storico e straordinario radicamento della sinistra nella città, Genova merita un’attenzione particolare e una riflessione che vada oltre le dichiarazioni di circostanza. Se si allarga l’analisi ad un arco temporale di dieci anni ricomprendendo anche le comunali del 2007, i dati indicano chiaramente un “terremoto” di prima grandezza nel tessuto sociale e politico genovese che ha colpito in primo luogo il centro-sinistra. Tra il 2017 e il 2007, infatti, mentre il numero degli aventi diritto al voto passa da 523.000 a 491.000 con un decremento del 7,1%, quello dei votanti crolla da 323.000 a 238.000: meno 26,5%.
Il candidato del centro-sinistra, in dieci anni, perde per strada 82.000 voti, ovvero la metà del suo tradizionale bacino di consenso (meno 51,7%). Sul fronte del centro-destra il calo è rilevante, ma più contenuto: 53.000 voti (meno 37,5%). Questi 135.000 voti in uscita dalle due maggiori coalizioni sono intercettati solo in piccola parte dal Movimento 5 Stelle che nel 2017 ottiene 41.000 consensi, pari al 18,1% del totale dei voti validi e da un candidato della sinistra-sinistra (11.000 voti con il 4,9%). A Genova quindi il declino della identificazione partitica e la smobilitazione organizzativa dei partiti, sommandosi agli effetti della crisi economica e dei processi di deindustrializzazione che hanno investito il capoluogo ligure, ha prodotto con tutta evidenza un deficit di rappresentanza che penalizza la sinistra più di altri, in ragione proprio della sua forza e del suo legame con la storia e la cultura della città.
Semmai ce ne fosse ancora bisogno, quindi, quando si analizzano i dati bisognerebbe avere l’umiltà di ascoltare la “spia rossa” della democrazia rappresentata dall’astensionismo: un grido di aiuto a cui la sinistra non può rimanere sorda pena la sua progressiva marginalizzazione, senza fermare l’analisi del voto alle percentuali, spesso falsamente consolatorie.
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