Ventimiglia (IM) – Nella pantomima dei funerali mafiosi riecheggia un rumore graffiante come, a volte, fa il gesso sulla lavagna. Perfetta metafora drammatica di una società dove basta un nome per aprire tutte le porte, anche quelle del paradiso.
Non esiste altro. E chissenefrega della scomunica del Papa di turno.
È così che entra in scena ieri, nella cattedrale di Ventimiglia Alta, Antonio Palamara. Per l’ultima volta. Tra corone di fiori che puzzano di menzogna e con l’ipocrisia del padrino cui tutto è dovuto, anche la devozione.
Ripetete con me: Amen.
Non c’è tanta gente al funerale del presunto boss [1], solo un centinaio di persone e per lo più parenti. Forse perché l’operazione Mandamento della DDA di Reggio Calabria, la notte precedente, ha bastonato le cosche della cosiddetta Provincia jonica inchiodando 116 ‘ndranghetisti.
Ripetete con me: Amen.
Chi era Antonio Palamara
Per aver favorito la fuga di Franco Freda, il responsabile di Ordine Nuovo imputato per la strage di piazza Fontana che, secondo le rivelazioni dei pentiti Giacomo Lauro e Filippo Barreca, era stato a lungo ospite in Calabria, Palamara venne colpito da mandato di cattura internazionale.
Indicato dai collaboratori di giustizia, del calibro di Francesco Oliverio, come il capo dei capi della ‘ndrangheta di Ventimiglia, Palamara era stato condannato a 14 anni di reclusione per 416-bis nel processo La Svolta. Assolto in secondo grado, era in attesa di un pronunciamento della Corte di Cassazione che non arriverà mai.
Non resta che la giustizia divina. Per chi ci crede.
Ripete con me: Amen.
Simona Tarzia
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Note:
[1]Dalla II Semestrale della DIA per il 2017: “La struttura di Ventimiglia sarebbe controllata dalle famiglie MARCIANÒ di Delianuova (RC) – referente delle cosche PIROMALLI e MAZ- ZAFERRO della Piana di Gioia Tauro – e PALAMARA, quest’ultima legata da vincoli parentali alla ‘ndrina ALVARO egemone a Sinopoli (RC)”.
Con una sentenza storica, la Cassazione conferma le condanne del procedimento “La Svolta”
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.
Eh già …. Una volta l’importante era chiamarsi “Ernesto” ….. O forse non è cambiato molto il mondo, vero sig. Wilde?