Quando la terra trema, si porta dietro uno sciame di luoghi comuni. Il primo? Quella certezza nelle capacità divinatorie dei sismologi che innesca tutta la sfilza dei “si poteva prevedere”.
Ma un terremoto, si può prevedere per davvero?
E la magnitudo, di cui si è tanto parlato per il caso di Ischia, è un parametro realmente esaustivo della complessità del fenomeno sismico?
Daniele Spallarossa, professore di sismologia dell’Università di Genova, ci chiarisce i cliché che circolano sui terremoti e ci spiega la mappa di rischio della nostra penisola e la situazione della Liguria.
“Noi sismologi conosciamo bene la storia sismica della penisola e siamo in grado di anticipare le zone dove è più probabile che si verifichi un terremoto” dice Spallarossa e subito dopo precisa: “Questo non vuol dire che possiamo prevederlo perché significherebbe saperne l’intensità, la magnitudo, e il momento esatto del verificarsi del fenomeno. Oggi, siamo ben lontani da questa possibilità”.
Quello che è possibile fare, al momento, è l’elaborazione delle mappe di rischio e lo studio delle serie storiche.
Le serie storiche aiutano il sismologo a determinare, su basi probabilistiche, la severità dei terremoti avvenuti e il tempo di ritorno di un evento sismico. Questo perché essi si verificano sempre nelle stesse aree, cioè lungo quelle linee di faglia che sono le zone deboli della crosta terrestre.
Il centro di elaborazione del DISTAV, il Dipartimento di Scienze della terra, dell’ambiente e della vita dell’Università di Genova, è uno dei più importanti in Italia e svolge attività di monitoraggio e raccolta dati della sismicità storica dell’Italia Nord-Occidentale dal 1960.
Qual è la pericolosità sismica del nostro Paese?
“La maggior parte del territorio italiano è classificato sismico – puntualizza Spallarossa – “come si può vedere dalla mappa della pericolosità sismica nazionale che illustra, su scala cromatica, la probabilità che in una certa zona avvenga uno scuotimento sismico di una certa intensità”.
Redatta nel 2005 dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in base a un progetto al quale ha partecipato anche il DISTAV, la mappa fornisce un quadro delle zone più pericolose in Italia.
“Si noti – chiarisce Spallarossa – che tutto l’arco appenninico, fino alla zona dell’Etna, ha un colore viola e dunque una pericolosità molto elevata. La Liguria, invece, mostra una pericolosità sismica più bassa”.
“La Mappa della pericolosità sismica nazionale – continua Spallarossa – è importante perché, per attuare la classificazione sismica dei territori, si parte proprio da questi valori probabilistici”.
Il territorio italiano prevede quattro zone di rischio:
– la zona 1 con elevata probabilità di forti terremoti;
– le zone 2 e 3 con eventi forti e mediamente poco frequenti, oppure moderati ma frequenti;
– la zona 4 con scarsa probabilità che si verifichino terremoti forti e rari eventi di energia moderata.
La zonazione sismica del territorio è di competenza regionale.
La classificazione vigente oggi in Liguria, e che risale al 2012, è in corso di revisione perché viziata da errori: “La novità – dichiara Spallarossa – riguarda l’introduzione di nuove zone in categoria 2, cioè a pericolosità sismica più elevata, nella parte occidentale della nostra regione e nello spezzino. Si tratta di aree che risentono dell’attività sismica del Mar Ligure, per quanto riguarda Imperia, e di quella dell’Appennino per La Spezia“.
Per Genova, invece, la modifica è già arrivata e il 19 luglio scorso è stato approvato il passaggio da zona 4 a zona 3.
Le suddivisioni del territorio per categorie di rischio sismico hanno ricadute importanti in ambito edilizio, sia dal punto di vista degli iter progettuali di recupero degli edifici esistenti che per le nuove costruzioni. O almeno dovrebbero…
Al di là della polemica sulle 27.000 pratiche di condono presentate dagli ischitani in occasione delle tre leggi nazionali e al di là della sorpresa che l’Italia crolli per scosse di magnitudo molto bassa, abbiamo chiesto a Spallarossa se la magnitudo sia un parametro davvero indicativo.
“Ogni volta che avviene un terremoto c’è questa polemica” commenta Spallarossa e chiarisce: “La magnitudo è un parametro indicativo. Oggi non siamo in grado di misurare l’energia sprigionata da un terremoto alla sorgente e lo scuotimento sismico che sentiamo, e che è legato al danno, non dipende solo dalla magnitudo. Nel caso specifico di Ischia è stata la profondità dell’evento a giocare un ruolo importante. In zone vulcaniche, infatti, i terremoti sono molto superficiali e possono generare scuotimenti notevoli anche con magnitudo molto bassa”.
Chi volesse farsi un’idea approfondita della sismicità recente della Liguria e del suo intorno, QUI può leggere “Seismicity of Northwestern Italy during the last 30 years”, un articolo scientifico sulla storia della sismicità recente registrata dalla Rete Sismica dell’Italia Nord-Occidentale.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.