“Non sarà questo il testo finale della riforma delle intercettazioni”.
Si difende così il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che dalla sua vacanza newyorkese cerca di buttare acqua sul fuoco della polemica, divampata dopo le prime anticipazioni sul testo del ddl intercettazioni.
Una bozza che non convince neppure Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, che, ospite al Festival della Comunicazione di Camogli insieme a Gherardo Colombo, ci offre il suo punto di vista: “Durante i lavori della Commissione da me presieduta – nel luglio 2014 Gratteri era stato nominato dal Governo Renzi Presidente della Commissione per l’elaborazione di proposte normative in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità – ci eravamo interessati anche di intercettazioni e avevamo previsto di dare maggiore forza alle procure bilanciando questo provvedimento con il divieto di pubblicare intercettazioni che non riguardassero il corpo del capo d’imputazione”.
Come dire, la vita privata di un indagato doveva rimanerne fuori.
Un esercizio difficile per certi media italiani e, infatti, Gratteri lancia una frecciata ai giornalisti: “Ovviamente chi vive di gossip non era d’accordo. I giornali non si vendono se la notizia riguarda un sequestro di duemila chili di cocaina nel porto di Amsterdam, Rotterdam, Genova o Gioia Tauro. I giornali si vendono se si parla di corna e queste emergono dalle intercettazioni telefoniche. A me pare gogna mediatica”.
Certo, stralciare la vita privata dai verbali è un conto, vietare la riproduzione integrale delle intercettazioni e permettere solo un richiamo al contenuto, cioè un riassunto, è un altro. E, in effetti, entrando nel merito della bozza di ddl, Gratteri precisa: “In questo caso si dice di fare un sunto dell’intercettazione e si complica la vita sia dal punto di vista probatorio, sia a chi si deve difendere”.
Ogni trascrizione dovrebbe essere inserita integralmente nella richiesta di custodia cautelare: “Immaginate una persona arrestata e portata all’udienza di convalida che non ricorda nulla perché l’intercettazione è avvenuta due anni prima, come fa a difendersi se non legge la trascrizione? In questo caso si ha un maggior potere discrezionale per il Pubblico Ministero sul quale io non sono d’accordo”, conclude Gratteri.
Di diverso avviso l’ex magistrato di Mani Pulite, Gherardo Colombo che, prima, pone l’accento sull’eccessiva lunghezza delle ordinanze di custodia cautelare basate sulle intercettazioni: “Sono dei volumi di qualche centinaio di pagine, impossibili da leggere sia per l’indagato che per il suo difensore”, poi denuncia come, a suo dire, l’ambiguità delle intercettazioni non dipenda da un decreto ma si tratti di uno strumento equivocabile in sé: “Io temo moltissimo la trasformazione del parlato in scritto! Quando appiattisci su un foglio di carta quanto è stato detto per telefono, perdi il sarcasmo, perdi l’ironia, perdi le risate”.
Quindi non si lascia scappare l’occasione per rilanciare un ritorno alle istruttorie vecchio stampo: “È facile mettere una microspia e poi scrivere quello che si registra, però così si perde capacità investigativa, si perde la capacità di cercare la prova in altro modo, magari attraverso un’indagine patrimoniale”.
Il ricorso alle intercettazioni “è un trend molto diffuso” che non entusiasma Colombo, orientato verso lo sviluppo di altri metodi di indagine, ma che convince Gratteri, almeno dal punto di vista economico: “Mancano gli investigatori e l’intercettazione è il mezzo più economico e garantista che esista per la ricerca della prova. Oggi si usa tantissimo il telefono, è un mezzo con cui si commettono i reati, e quindi mi devo concentrare su questo mezzo per cercare di acquisire le notizie nel modo più economico possibile.
Poi inizio il riscontro sul campo. Non posso più partire dal pedinamento, non ci sono i soldi per pagare gli straordinari alla polizia giudiziaria. Intercettare un telefono costa un euro al giorno e mi fa risparmiare milioni di euro. Pensare all’economia non vuol dire abbassare il livello di garanzie per l’indagato perché è molto meglio specializzarsi sull’informatica che non, per esempio, favorire le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che possono dire dieci cose vere e una falsa. E se in quella falsa incappate voi? Avete bisogno di tre anni per dimostrare che eravate innocenti”.
Questo non placa le perplessità di Colombo che si rifà al suo passato in Cassazione e confessa le sue paure quando si trovava a decidere di un caso di droga parlata: “Droga parlata significa che al telefono sembra parlino di droga ma, in tutto il processo, non è stato sequestrato un grammo di droga. Sono tante le persone che vengono condannate per droga parlata. E poi, ogni tanto, salta fuori che quando parlavano di televisioni volevano davvero dire televisioni. E magari hanno scontato un custodia cautelare di mesi o anni prima che si accerti che le televisioni erano davvero televisioni”.
Il dibattito è aperto.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.