È molto difficile valutare l’influenza delle attività antropiche sull’ambiente.
Spesso gli impatti non si verificano solo a livello locale e nel tempo presente, ma vengono delocalizzati verso altri territori e altri tempi.
E così lasciamo in eredità alle generazioni future un mondo d’amianto, di piombo, di diossina. Residui di una società industriale spregiudicata che macina tutto, anche la salute.
Il problema non si è posto solo di recente.
Già nel 1661 il pubblicista John Evelyn denunciava gli inconvenienti del fumo di Londra che, circondata da nubi di carbone che oscuravano il sole, pativa un’alta incidenza di rachitismo.
Sotto l’ebrezza dell’industrializzazione, il suo Fumifugium fu tenuto in scarsa considerazione dalla politica.
Tutto il mondo è paese.
La percezione del rischio industriale è latente in chi lo subisce come la smania della ricchezza lo è in chi lo procura. Ancora di più in un paese come l’Italia, dove la logica dell’emergenza è imposta come fosse un dato strutturale, insormontabile, “quasi una filosofia complessiva d’intervento, con un forte peso inerziale sul piano amministrativo e speculativo”.[1]
I limiti di questo approccio post mortem sono evidenti soprattutto quando esso si scontra con la complessità delle relazioni tra gruppi sociali.
Abbiamo tutti ben presente il conflitto tra il diritto alla salute e il diritto al lavoro che si è creato, per esempio, all’ILVA di Taranto. Due obiettivi sacrosanti per i quali, invece, è stata imposta una scelta.
Per cercare di superare questa necessità di decidere tra “salute o lavoro”, tra “prevenzione o disinquinamento” che, a fronte delle risorse irrisorie destinate all’ambiente, della mancanza di una disciplina specifica e delle infiltrazioni della criminalità organizzata, si è posta troppo spesso, nel 2015 nasce la nuova legge sugli ecoreati: “Una battaglia di diritto penale ma anche una battaglia culturale e di applicazione della Costituzione”.
A due anni dall’entrata in vigore, abbiamo chiesto a Stefano Bigliazzi, Valentina Antonini, e Marco Grondacci di analizzarne i punti di forza e le criticità.
Simona Tarzia
Ecoreati, un bilancio a due anni dall’approvazione della nuova legge
I problemi applicativi della nuova normativa sugli ecoreati
Gli ecoreati e la Pubblica Amministrazione: gestione delle istruttorie e dei permessi
[1]Bagliani – Dansero, Politiche per l’ambiente, UTET, Torino, 2015.
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.