Mi ricordo

Che cos’è un ricordo? Un ammasso di neuroni che qualche malattia può cancellare dando un colpo di spugna a tutta la nostra vita?
O un frammento dell’anima sparpagliato tra molecole e sinapsi?
Forse entrambe le cose.

Quello che è certo è che nella memoria di ognuno di noi ci sono questi piccoli tasselli, come selfie del cervello, pezzettini di vita, dolorosi o piacevoli, comunque unici. Solo nostri.
Tempo fa ho letto un libro lieve, Mi ricordo di Joe Brainard.
Oggi ci provo anch’io a scrivere la stenografia della mia vita seguendo i ricordi posati sugli scaffali del mio cervello. Naturalmente in ordine sparso.

Mi ricordo
Mi ricordo d’essermi svegliata senza sapere più dove fossero i piedi e dove la testa.
Mi ricordo i 7 re di Roma.
Mi ricordo quando spogliavo la Barbie e Ken per capire i misteri del sesso.
Mi ricordo l’odore di fritto tornando da scuola. Usciva dalle finestre aperte che davano sulla crosa, in primavera.
Mi ricordo di aver sperato che il fritto fosse a casa mia, al posto degli spinaci.
Mi ricordo che l’autoradio di mia mamma suonava Pensami di Julio Iglesias.
Mi ricordo di aver pensato che I Promessi Sposi fossero un polpettone ignobile.
Mi ricordo lo sgomento per due pesci rossi risucchiati dal lavandino.
Mi ricordo il cadavere di Aldo Moro.
Mi ricordo la domenica mattina, i vassoi dei pasticcini portati con due dita nell’occhiello del nastrino.
Mi ricordo il profumo di una cartella nuova, che sembrava di jeans ma dentro era di cartone.
Mi ricordo quando arrivò l’incubo dell’AIDS.
Mi ricordo che avevo una cotta per Simon Le Bon.
Mi ricordo il muro di Berlino.
Mi ricordo che quando hanno ammazzato Falcone ero sulla cremagliera di Granarolo e l’ho saputo dalla radiolina dell’autista.
Mi ricordo che non avevo mai la risposta pronta e le cose da dire mi venivano in mente quando ormai se n’erano andati tutti.
Mi ricordo mio nonno che mi raccontava l’Odissea, cambiando il tono di voce per ogni personaggio meglio di Vittorio Gassman.
Mi ricordo il profumo dei miei figli neonati.
Mi ricordo che guardavo “Telefono giallo” di Corrado Augias.
Mi ricordo mia nonna mentre cucina gli ossibuchi.
Mi ricordo quando non c’era niente di peggio che un’interrogazione di matematica.
Mi ricordo le giacche con le spalline che ti facevano sembrare un giocatore di rugby.
Mi ricordo l’attesa di un ago aspirato. C’era il sole e a me non sembrava un buon giorno per morire.
Mi ricordo i libretti con i testi delle canzoni di San Remo che si compravano in edicola.
Mi ricordo il latte confezionato nella piramide di tetra pac.
Mi ricordo le torri gemelle.
Mi ricordo che a guardie a ladri mi piaceva fare il ladro.
Mi ricordo che correvo più veloce di tutti. Anche dei maschi.
Mi ricordo i colpi di kalashnikov su Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Mi ricordo in campagna un dito rotto e la suora dell’ospedale di Ovada che ci mandava via perché era domenica.
Mi ricordo il viaggio fino a Genova, sulla Fiat 1100 r bianca di mio nonno, e il dito che pulsava come una stella di neutroni.
Mi ricordo la settimana bianca con i miei cugini e le granite fatte con la neve. Mi piaceva il gusto all’orzata ma c’era sempre la menta. Forse l’orzata la volevano tutti e finiva subito.
Mi ricordo che scappavo dopo aver schiacciato tutti i citofoni.
Mi ricordo di aver pensato di essere troppo magra o troppo grassa.
Mi ricordo di aver cantato a perdifiato Avrai di Claudio Baglioni chiedendomi cosa diavolo fosse un legnetto di cremino.

Simona Tarzia

I miei nonni

Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.

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