Mi ricordo. Il mio cane era velocissimo.
Nulla lo fermava, né la pioggia, né il vento, neanche le galline infastidite dal nostro giocare dinanzi alla masseria di Pieve Ottovile. Correvamo per ore lungo le stradine polverose che attraversavano i campi di pomodori e barbabietole. Ogni tanto dietro al frumento compariva qualche bellissimo fagiano maschio con il suo piumaggio degno di un uccello del paradiso.
Al nostro passaggio le galline acquaiole buttavano la testa sott’acqua per nascondersi. Le lepri, allora numerose, facevano spuntare le loro orecchie fuori dall’erba appena tagliata dalle motoseghe.
In lontananza sentivi parlare e scherzare i raccoglitori di pomodori. Il lavoro più brutto era quello delle dieci, quando dovevo portare a chi lavorava acqua fresca nelle bottiglie di vetro che si appannavano al caldo estivo d’agosto.
Niente spaventava me e il mio cane, non sapevamo cosa fosse la stanchezza e non ci tradivamo mai. Sono convinto che mi sorridesse quando mi aspettava fuori dell’uscio di prima mattina o dopo pranzo.
Una volta aiutai la gente della stalla a fare partorire una mucca tirando per i piedi legati con una corda il vitellino che nasceva. Dopo qualche ora andai a carezzarlo e gli misi la mano sul musetto. Lui la prese in bocca ed iniziò a ciucciarla. Una bocca senza denti, proprio come quella dei bimbi appena nati.
La sera era un momento molto bello. Ci si lavava con acqua calda attinta da una tinozza e scaldata con legna da ardere. L’acqua era ferruginosa e lasciava addosso uno strano odore, ma dopo ti sentivi rigenerato. Dopo cena i contadini delle vicine fattorie venivano a trovarci con i loro bambini e si riiniziava a giocare.
Anche il momento del sonno era speciale: avevo un letto con ben tre materassi. Era morbidissimo e mi sentivo al settimo cielo. Aspettando un altro mattino, quando la mia nonna mi preparava lo zabaione con le uova appena covate.
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