Quello dei luoghi comuni è un gioco al quale stare molto attenti: spesso ci si sofferma su quelli che seppur con una roboante struttura, nascondono falsità e banalità, questa volta, invece, andiamo ad approfondire un luogo comune che contiene molte più verità di quante ce ne possiamo aspettare oltre a molti elementi di riflessione. “L’erba del vicino è sempre più verde” rimanda ad atmosfere aristocratiche, praticelli verdi curati di fresco, aiuole ordinate e momenti di relax dedicati al giardinaggio. Se poi aggiungiamo che questo luogo comune fu il titolo di una divertente commedia con Cary Grant, il gioco è fatto.
Quante verità, però, al di là degli svolazzi romantici di Cary Grant, nasconde questo luogo comune?
Per capirlo dobbiamo fare un lungo passo indietro.
Siamo nel 1250 a.C. e il popolo ebraico guidato da Mosè, fuggendo dall’Egitto attraversa il deserto verso la terra promessa. Arrivati al monte Sinai, Dio “convoca” Mosè sul monte e gli detta i dieci comandamenti. In ultimo, “last but not least”, un comandamento che dovrebbe farci riflettere, almeno per quello che riguarda il nostro tema.
“Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo”.
Il Creatore, insomma, interviene nel destino dell’umanità con una serie di avvertimenti o suggerimenti che sembrano cercare di andare a correggere un prodotto già di per sé difettoso e non potendolo ritirare, visto che un tentativo era già avvenuto ai tempi di Noè, indica quelle dieci cose che proprio bisogna evitare volontariamente, visto che, a quanto pare sono un difetto di origine.
Insomma, questo luogo comune contiene un’insondabile verità, una pulsione irrefrenabile talmente potente, tanto che Dio, più o meno in persona, è intervenuto per dire di starci attenti.
Ma perché “l‘erba del vicino è sempre più verde”? In effetti, a rigor di logica, ognuno di noi potrebbe, salvo casi di estrema indigenza, starsene di quello che ha, invece, anche a costo di stare male, desideriamo strenuamente, pervicacemente, l’erba del vicino perché (forse solo apparentemente) è più verde.
A ben vedere, se riuscissimo a disinnescare questo insondabile e prepotente desiderio staremmo meglio tutti e non è detto che qualcuno, magari, ci riesca pure.
Guardando meglio, però, tutto il nostro sistema economico e sociale, tutta la sua dinamica fondamentale si fonda proprio sul desiderio di avere e ottenere qualcosa che non abbiamo. Sempre.
Corriamo, ci arrabbiamo, lavoriamo come dei pazzi in nome di questa divinità sottaciuta, “il verde più brillante dell’erba del vicino” che si rappresenta in molteplici immagini e desideri: l’auto nuova, il vestito nuovo, le vacanze, la carriera. Segno particolare: non basta mai. C’è sempre un praticello migliore a cui occhieggiare con invidia.
Alla fin fine, questo luogo comune è una constatazione precisa di qualcosa che appartiene all’insondabilità del nostro essere sin dalle origini, una specie di difetto di produzione che ci portiamo dietro, l’illusione ottica che ciò che non possediamo sia meglio di ciò che abbiamo. Una fame atavica, una spinta irrefrenabile sapientemente gestita per non farci smettere mai di correre. Occorrerebbe lavorare su una precisa constatazione: che l’erba del vicino è esattamente come la nostra. Lo sappiamo già, però che non ci riusciremo mai a convincerci del tutto.
Giovanni Giaccone