Gli italiani non sono patriottici

Citare Caporetto e la rivincita sul Piave. L’8 settembre e Alberto Sordi: “Signor colonnello, i tedeschi si sono alleati agli americani e ci stanno sparando addosso”.

In Italia il concetto di patria, valore indiscusso e anche un po’ ingombrante per altri paesi europei come Francia e Gran Bretagna, ha avuto percorsi tortuosi e tormentati, difficili e mai del tutto entrati nel pathos del paese.
Il luogo comune è, in effetti, una verità.
Rispetto a altri paesi europei gli italiani sono più disposti a infiammarsi per le vicende sportive delle rappresentative italiane come nel calcio, ma anche nel volley o nel tennis, ma assai tiepidi quando si parla di cultura unitaria del paese. Perché?

Bisogna fare alcuni passi indietro e risalire a quando, geograficamente, la penisola italiana era un puzzle di piccoli e meno piccoli ducati, repubbliche, stati e regni. Le influenze delle altre potenze europee già strutturate come la Spagna, l’Austria, la Francia, l’Inghilterra erano importanti e influenzavano le diverse politiche.
Dopo la definitiva sconfitta di Napoleone, a Waterloo nel 1815, il congresso di Vienna procede con una riorganizzazione europea conosciuta come “Restaurazione” affinchè idee come quella della rivoluzione francese possano essere prevenute e eventualmente soppresse in un sistema bilanciato di alleanza e legami tra le diverse monarchie.
In “nuce”, l’idea dell’Italia nasce da qui e, considerato chi ne ipotizza la nascita (inglesi e francesi), l’auspicio non è il massimo.
L’idea, soprattutto per gli inglesi, è quella di uno stato unitario che consenta politicamente di essere un elemento di pressione nei confronti dello Stato Pontificio e che nello stesso tempo abbia un’estensione di territorio tale da consentire investimenti industriali di grande valore nelle infrastrutture industriali e ferroviarie. Il soggetto ideale per compiere tale impresa viene individuato nel piccolo ma combattivo Regno di Sardegna. Qui c’è un punto nodale.
La famiglia Savoia è fortemente connotata in una cultura bellica di espansione territoriale, il Regno di Sardegna viene definito la “piccola Prussia” per sua vocazione militare e interpreta la sua “mission” come una vera e propria espansione territoriale, di colonizzazione e di conquista. I padri della patria di cui oggi glorifichiamo la memoria uniformemente alle gesta della monarchia, come Mazzini e Garibaldi erano all’epoca figure antitetiche e c considerate ostili. Quello che oggi viene definito Risorgimento metteva insieme istanze diverse, ma anche logiche diverse.
Per Risorgimento si intendeva la liberazione dei popoli dalla tirannide e l’acquisizione di diritti di indipendenza e autodeterminazione, istanza più affine al pensiero di Mazzini e Garibaldi: per i Savoia si trattava di conquiste e espansionismo in linea con le più consolidate concezioni delle monarchie ottocentesche. I bersaglieri, per lungo tempo, furono l’immagine del pugno di ferro della monarchia in tutti i territori che non accettavano la nuova monarchia e si macchiarono di gravi delitti (anche a Genova) ricordati dalla popolazione per lungo tempo.
In Italia, quindi, i processi di unificazione non furono pacificanti e l’esercito non liberava territori afflitti dalla tirannide, in alcuni casi (proprio a Genova) ne imponeva una.
La prima guerra mondiale, a cui l’Italia partecipò cambiando alleanze all’ultimo momento per un cinico calcolo delle convenienze, seguiva questa linea. Secondo gli accordi ‘segreti’ nel fronte alleato, in caso di vittoria, all’Italia spettavano i territori slavi sull’Adriatico.
Le sfortunate vicende del fronte alleato dopo Caporetto e la necessità dell’intervento degli USA cambiarono però i giochi: gli americani sarebbero entrati nel conflitto solo se la guerra avesse avuto uno scopo di liberazione e di autodeterminazione dei popoli e non di assoggettamento da un vincitore all’altro. Questo elemento segnò uno dei passaggi più importanti nell’immediato periodo post bellico: la cosiddetta “vittoria mutilata” ovvero il non ottenimento da parte dell’Italia dei territori considerati bottino di guerra.

Altro punto nodale fu il fascismo.
Mentre l’Italia liberale e giolittiana per il processo di unificazione aveva puntato sulla cultura (alfabetizzazione e scolarizzazione), Mussolini, non soddisfatto dei risultati, puntò alla militarizzazione del paese. Dai bambini agli adulti tutti facevano parte di “corpi” e associazioni di tipo paramilitare o di ispirazione marziale. In più per forgiare il “carattere” degli italiani intraprese una serie di avventure belliche che avrebbero dovuto forgiare una figura nuova di italiano. Gli esiti sono noti.

In sostanza, nello specifico italiano, il patriottismo, male interpretato e distorto, ha voluto più spesso significare sciagure e tragedie che libertà e pace: la fortissima connotazione che ne diede la propaganda fascista, la tragedia dell’8 settembre con l’armistizio e la sostanziale secessione tra l’italia monarchica e quella fascista che per una fraintesa questione di onore continuò a rimanere alleata ai tedeschi. Un periodo che contrappose ferocemente italiani a italiani con interpretazioni diverse e agli antipodi dei significati di patria, invasore e alleato. Una gran confusione mai del tutto dipanata nonostante il tempo.

Un luogo comune che trattiene malcelata una nostalgia di tempi che però non sono stati migliori…

Giovanni Giaccone

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