La guerra tra noi ha tanti sinonimi.
A volte si fa chiamare xenofobia, altre populismo, altre ancora indifferenza.
La guerra tra noi è un processo di codificazione dell’altro dove valgono solo le nostre categorie di pensiero, dove non ci si mette mai in discussione perché l’odio ha bisogno di certezze, le stesse che ci consentono di chiudere gli occhi davanti ai morti in mare. Perché le categorie ci permettono di evitare il contatto con gli uomini: cosa ci importa di aiutare i migranti se sono tutti terroristi?
È così che si finisce col sospendere i diritti, alimentando nella popolazione un sordo rancore e la considerazione dell’altro come qualcosa di avverso, necessariamente contrapposto non fosse altro che per lingua e religione, del quale si deve diffidare per principio.
Di questo abbiamo parlato con Cecilia Strada, figlia del fondatore di Emergency ed ex presidente della stessa ONG, durante l’incontro di presentazione del suo primo libro, La guerra tra noi, ieri sera ai Giardini Luzzati.
Di questo e degli errori di un’Europa che, prostrata da una malattia che si chiama nazionalismo, si nasconde dietro a slogan come quello dell’invasione: “L’anno scorso – precisa Cecilia Strada – sono arrivate 50.000 persone. Noi europei siamo 500.000. Non siamo invasi”, e poi rivolge le sue considerazioni alle politiche migratorie: “L’Europa sta sbagliando perché non riesce ad affrontare questo tema come tema europeo. Molti Stati, come l’Italia o la Grecia, si sono sentiti abbandonati. Non ci si può limitare a dire di rimandarli nell’inferno da cui sono venuti. L’Europa dovrebbe ripensare i propri valori. Siamo l’Europa dei diritti o delle merci?”
Di certo siamo l’Europa, e l’Italia, dell’ipocrisia.
Consideriamo un punto d’onore pagare la guardia costiera libica perché se li riporti indietro, verso prigionia e tortura, e non ci curiamo minimamente del fatto che le guerre, dalle quali i migranti scappano, le abbiamo create noi con la nostra sudditanza all’idea folle che la democrazia si possa imporre con la forza e le armi intelligenti.
È notizia del 2015 passata inosservata ai più, ad esempio, il via libera di Washington all’armamento dei droni in servizio all’Aeronautica Militare italiana.
Si tratta dei Reaper, nome che significa “mietitore”, impiegati in Iraq, in Afghanistan, in Libia e in Kuwait.
Ma guerra “democratica” e armi intelligenti non sono le sole colpe dell’occidente umanitario.
“I Paesi occidentali sono i maggiori commercianti d’armi – puntualizza Cecilia Strada – Riempiamo il mondo di armi e poi ci stupiamo che, quando vengono usate, la gente scappi dalla guerra per venire qua. Potremmo aiutarli a casa loro smettendo di riempire i loro paesi di armi”.
Guerre, terrorismo, emergenza immigrazione, soccorso in mare, ONG. Cecilia Strada non perde l’occasione per mettere in chiaro alcuni concetti sul tema chiave dello scandalo ONG-trafficanti, scoppiato nel marzo scorso dopo le accuse dell’agenzia europea Frontex: “Il dibattito sulle ONG è stato una sorta di delirio in cui si sono sfogati il razzismo e la xenofobia. Un discorso teso a scaricare addosso dell’odio e non a capire di cosa si stesse parlando veramente. Fare un discorso pubblico sano, invece, significa dire che ci sono state indicazioni che Tizio e Caio hanno commesso un reato e parlare di questo, perché se qualcuno ha commesso un reato deve pagare”.
Quindi rilancia la palla: “C’è gente che sta morendo in mare e i governi, se non vogliono che siano le ONG a tirarli su perché non si fidano, mandino le navi delle marine militari e li salvino loro”.
Poi, sui possibili legami tra ONG e scafisti puntualizza: “Di fatto, ancora non è venuto fuori niente. In compenso tante organizzazioni hanno dovuto ridurre o sospendere la loro attività”.
Un’intervista lunga poco più di cinque minuti, dove Cecilia Strada ci racconta anche perché il suo libro inizi proprio dal G8 di Genova: “Genova è stata un punto importante nella mia vita e ancora oggi, se riguardo gli appunti del Social Forum, vedo che le questioni erano già tutte lì. La forbice tra ricchi e poveri che si stava allargando, l’aumento della violenza, della povertà e delle diseguaglianze che avrebbero costretto la gente a migrare. A queste “banalità” non abbiamo avuto risposte. Anzi, la risposta che abbiamo avuto a Genova è stata manganellate su manganellate”.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.