Per i cittadini, il trasporto pubblico è arrivare alla fermata, biglietto in mano o abbonamento nel portafogli, aspettare il bus e sperare che il nostro vicino di turno si sia lavato.
In realtà c’è molto di più e spesso questo “di più” è complicato. Il nostro vecchio autista Barnaba ci parla di Norvegia, di autobus cinesi, di innovazione e tecnologia. A volte basterebbe copiare le eccellenze straniere in fatto di trasporto per offrire un servizio adeguato, ma quasi sempre le operazioni italiane non hanno come obiettivo primario il benessere dei cittadini.
Se è vero che in Svezia è allo studio un sistema di elettrificazione delle autostrade per far viaggiare camion elettrici, e che in Norvegia circolano già i primi due BUS elettrici articolati (prodotti dalla cinese BYD) in grado di trasportare circa 50.000 passeggeri al giorno per un totale annuo che dovrebbe sfiorare i quindici milioni di utenti, e in grado di compiere percorrenze giornaliere di 200/300 Km con la sola ricarica serale in rimessa invece della classica a pantografo, è pur vero che anche nella nostra ridente Italia qualcosa sta cambiando.
A livello locale Amt e Atp si stanno muovendo, con colpevole ritardo, verso i mezzi a trazione eco, privilegiando elettrico, metano e idrogeno.
A livello nazionale, l’onnipresente AD di Ferrovie dello Stato Renato Mazzoncini, ha definito una mega operazione di integrazione fra ANAS (l’Ente nazionale per le strade) e il Gruppo FS Italiane, con il patrocinio del MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze) che garantisce l’aumento di capitale di 2,86 miliardi di euro di freschissimi investimenti pubblici (come è nello stile del privato più pubblico del mondo), completando di fatto l’iter per la nascita del primo polo europeo integrato che gestirà una rete complessiva di 44mila chilometri tra strade e binari, un capitale investito di 50 miliardi, un fatturato stimato per il 2018 di 11,2 miliardi e una prospettiva di investimenti di 108 miliardi in dieci anni, che garantirà (ovviamente il termine è da leggersi in tono sarcastico) un risparmio di ben 400 milioni in dieci anni.
Il sontuoso progetto prevede l’elettrificazione delle strade e dunque l’alimentazione potrà arrivare da linea di contatto, o da sistemi di induzione da terra.
Stupisce che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) abbia accordato il parere positivo a questa operazione che sa tanto di monopolio statale.
Mi chiedo una volta di più come mai si abbia tutta questa volontà di privatizzare le aziende di Tpl, per poi magari darle in pasto a BusItalia, partecipata di FS.
Trovo ci sia molta confusione nella gestione nazionale del Tpl, cosa che è risaltata anche in un recente convegno di Asstra (una delle maggiori associazioni datoriali del trasporto pubblico) dove sono stati presentati i risultati degli studi e delle ricerche promosse in collaborazione con partner del calibro di Fondazione Ifel Anci, Banca Intesa San Paolo e Cassa Depositi e Prestiti, dai quali si evince che ci vuole una grande capacità imprenditoriale per sviluppare un campo dalle infinite possibilità come quello dei trasporti. Il settore, infatti, è strutturalmente connesso con la crescita urbana e, pertanto, esso stesso destinato a crescere.
Questo non sta accadendo: se le città crescono, non succede altrettanto con la quota di mercato del trasporto pubblico che, sebbene manifesti un tendenziale miglioramento dal punto di vista economico e produttivo (anche e soprattutto grazie ai sacrifici dei lavoratori, che si sono dovuti confrontare con tagli e sacrifici sul piano dei diritti, dovuti a scelte scellerate a livello nazionale), persistono comunque delle criticità, ad esempio nella capacità di investimento, che dipendono dalla sostanziale incapacità dirigenziale, ma anche dal sistema di finanziamento stesso, che ogni anno si vede sempre più esiguo.
Nonostante un cambio di strategia da parte del Governo che è arrivato a introdurre la Centrale unica acquisti, nonostante la revisione della Legge Obiettivo e l’ultima Legge di Bilancio 2017 (che attraverso il Piano Strategico della Mobilità e il Fondo per gli investimenti e Sviluppo Infrastrutturale hanno messo sul piatto circa 5,8 miliardi di euro più le quote di autofinanziamento delle imprese per il rinnovo dei mezzi), resta di fondamentale importanza garantire gli interventi statali per il rilancio di un settore che negli ultimi vent’anni ha visto un processo di impoverimento delle aziende che le sta traghettando agevolmente verso i privati (o pseudo tali).
Rilancio che dovrà necessariamente passare da una seria regolamentazione del settore e da nuove norme anche per la definizione e la distribuzione delle risorse da destinare alle amministrazioni locali.
Si deve essere chiari: mantenere le aziende pubbliche ma gestirle con criteri di serietà e preparazione, oppure continuare sulla via distruttiva dell’introduzione del concetto di concorrenza. Anche perché, se si vuole davvero aprire il Tpl alla concorrenza, è contraddittorio sponsorizzare l’espansione sempre più ampia nel settore di un colosso nazionale come il gruppo Ferrovie dello Stato, che ragiona in regime di monopolio.
Nel frattempo un abbraccio a tutti Voi dal Vostro autista Barnaba
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