Savona – Italiana Coke continua a far parlare di sé. Tarda la pubblicazione dell’indagine epidemiologica per l’area dei comuni di Cairo Montenotte, Cosseria, Carcare, Altare e Dego.
In attesa di scoprire i dati sulle cause di mortalità dal 1998 al 2010 e i ricoveri ospedalieri dal 2000 al 2013, vi proponiamo la nostra inchiesta pubblicata sul numero di gennaio 2013 della Nuova Ecologia dove Federico Valerio, allora responsabile del servizio di chimica ambientale dell’Ist, ci spiegava come fosse stata condotta l’indagine e i risultati dello studio sulla qualità dell’aria.
Rispetto del territorio, tutela della salute, salvaguardia dell’occupazione. Sono i temi che alimentano il braccio di ferro tra l’Italiana Coke e le associazioni ambientaliste della Valbormida, in provincia di Savona. «Nessuno chiede la chiusura di un’industria che assicura oltre 200 posti di lavoro diretti più l’indotto – precisa Armando Chinazzo, presidente del circolo Legambiente di Cairo Montenotte e Valbormida – Vogliamo solo che le emissioni siano tenute sotto controllo in modo serio e riportate entro i limiti di legge in caso di superamenti».
Controlli non obbligatori
A destare preoccupazione è l’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata nel 2010 dalla Provincia di Savona: l’Aia non pone prescrizioni di monitoraggio a camino per l’impianto di produzione di coke e derivati che distilla circa 600mila tonnellate l’anno di carbone. «Abbiamo fatto ricorso al Tar ligure per impugnare l’autorizzazione – continua Armando Chinazzo – ma l’istanza è stata respinta». In base alla sentenza del febbraio 2012, l’attività dell’Italiana Coke non deve essere soggetta a valutazione di impatto ambientale obbligatoria perché non si tratta né di nuova opera, né di stabilimento all’interno di area protetta. In una delle motivazioni del rigetto si cita anche la gravosità, in termini economici per lo stabilimento, del controllo in continuo ai camini.
«Il costo – puntualizza l’azienda – rappresenta solo uno degli aspetti alla base del respingimento dei ricorsi presentati dalle associazioni ambientaliste. Come evidenziato nello stesso pronunciamento, tale modalità di rilevazione assume carattere non particolarmente indicativo. La cokeria è in processo discontinuo e i dati emergenti da un’eventuale monitoraggio continuo risulterebbero sostanzialmente inattendibili». Il circolo di Legambiente ricorda, però, che un’ordinanza del sindaco di Cairo Montenotte (la 41 del 2011) ordina alla società i controlli in continuo.
Camini al vento
«Le cokerie lavorano in continuo 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, feste comprese aggiunge Nadia Bertetto, componente dell’Associazione Vita e Ambiente – Se si effettuano rilevazioni non a camino è probabile che il valore medio rientri nei parametri perché quando si abbassa la produzione diminuiscono le emissioni».
Per capirne di più il Comune ha commissionato all’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro (Ist) di Genova una ricerca epidemiologica ancora in fase di pubblicazione, e uno studio sulla qualità dell’aria completato nell’aprile 2012. «Abbiamo focalizzato l’analisi in particolare sul benzene, cancerogeno appartenente alla classe degli idrocarburi aromatici, per il quale la normativa nazionale prevede un obiettivo di qualità a tutela della salute pubblica di cinque microgrammi per metro cubo – spiega Federico Valerio, responsabile del servizio chimica ambientale dell’Ist – Alle spalle della cokeria, in corrispondenza della torcia, la soglia è stata superata e il valore riscontrato è di 10 microgrammi per metro cubo. Le emissioni, per la loro composizione, sono attribuibili all’impianto. I risultati delle analisi – aggiunge il professore – evidenziano che le colline intorno alla fabbrica possano proteggere l’abitato di Cairo Montenotte dalle emissioni diffuse della cokeria e che i venti dominanti nella stagione invernale, soffiando da nord, allontanano i fumi dalle abitazioni. Insomma, l’articolata orografia del territorio richiederebbe altre indagini anche per i comuni confinanti, ma non ci sono i fondi necessari per continuare gli studi».
Impianti obsoleti
Intanto l’italiana Coke ricorda di aver investito 30 milioni di euro nel periodo 2010-2012. «Abbiamo impiegato questi fondi sia per adempiere agli obiettivi concordati con le istituzioni in sede autorizzativa che per progetti volontari come due nuove stazioni di monitoraggio, esterne allo stabilimento, inserite nella rete di rilevamento della qualità dell’aria di Arpal. L’Aia rilasciata all’Italiana Coke – conclude l’azienda – contempla anche quattro campionamenti annuali in autocontrollo». Critico il circolo di Legambiente. «Quanto alle due stazioni di monitoraggio inserite nella rete Arpal – replica Armando Chinazzo – misurano Pm10 e ossidi di azoto, non rilevano il benzene e il benzopirene, che sono molto più pericolosi per i loro effetti cancerogeni. Dei quattro rilevamenti annuali eseguiti in autocontrollo, poi, non sappiamo cosa rilevino né come siano gestiti i dati. Quello dell’Italiana Coke è uno stabilimento obsoleto, le camere di combustione non subiscono interventi di ristrutturazione risolutivi dal 1936, data di costruzione. La realtà è che gli investimenti dell’azienda sono solo palliativi che intervengono in modo non definitivo sugli aspetti critici che denunciamo da anni. Se lo stabilimento è così attento all’ambiente – chiosa Chinazzo – perché il mondo intorno all’Italiana Coke è nero?».
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.