“Fabiè lascia sempre le cose come stanno, nessuno si deve accorgere che sei passato da lì”.
Raffaele non l’ho più visto dopo quella volta, è stato ucciso a Ramallah da un tank che, dopo averlo mirato, lo ha sottratto a tutti noi. Era il 2002.
Quando sono entrato la prima volta a Pratozanino avevo in testa un titolo: “Il giardino del Mago” ma ancora non sapevo cosa avrei trovato.
L’impatto fu sconvolgente, tracce di vita sotto un cumulo di ricordi, registri, vestiti, letti, porte, buio. Nessun animale o insetto. Tutto fermo e congelato.
È in quel momento che mi sono tornate in mente le parole di Raffaele. E forse solo in quel momento ho capito il loro vero significato.
Poi è uscita arrogante la “professione”, l’approccio tecnico, il racconto, l’editing, i volumi, le accelerazioni prospettiche e tutti gli inutili orpelli della comunicazione verso gli altri.
La stolta partenza fu portare l’Hasselblad SWC, un mezzo di ripresa straordinario, con ottiche perfette, incise e di rara acutanza.
Un po’ di mestiere e una fotocamera da privilegiati mi restituirono un mondo che con Pratozanino non aveva nulla a che fare.
Immagini sterili, un puro e inutile esercizio estetizzante, che presto vide sparire la bellissima macchina svedese per una meno performante Agfa Billy 6×6 ma che mi restituiva qualche emozione in più. Decisi, a quel punto, di comunicare con me, solo con me, immergermi in quella solitudine e in quel dolore così forti da riceverne i brividi ancora adesso.
La questione stava prendendo una piega strana, quel mondo era immobile ma respirava, non mi abbandonava mai, pensavo alle panchine, alle porte, ai vestiti nell’armadio.
Al registro mosso dal vento con le date d’ingresso, la durata e l’uscita, mai da vivi.
A un vestito nero di paillettes, testimone di un mondo “altro”, che raccontava una storia fatta di menzogne. “Vedrai come ti troverai bene. Portati il vestito nero, ci sarà da ballare”.
E poi un giorno, su un muro, una scritta… Alda, e su un tavolaccio pacchi di vestiti ben fasciati e mai riutilizzati. Nomi, date, vite.
Pratozanino mi aveva piegato, e scattare immagini aveva perso senso. L’ultima volta che varcai quel cancello avevo un “plasticone” russo che distorceva tutto. Uno schifo. Come in fondo era la mia vita e quella di chi era passato lì dentro e non ne era mai uscito.
Da quell’esperienza scaturì la mostra, invero dal tono un po’ dimesso, “Diavoli zero”, titolo che ricavai da una scritta senza senso su un quaderno immerso nel caos.
“…io dirigo il tempo,il mio tempo là negli spazi dove morte non ha domini, dove l’amore varca i confinie il servo balla con il re…”
Da “Il Giardino del Mago” Banco del Mutuo Soccorso 1972
Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.
Non so con quale delle fotocamere citate sono stati effettuati gli scatti e non so commentarli tecnicamente, ma so che mi hanno emozionato!
Il ricordo non sarà “tutto” ma a mio modo di vedere è “molto”; se non ricordiamo che cosa siamo stati capiremo ancora meno di dove stiamo andando.
Grazie.
Alla fine, quello che conta è che arrivino un po’ di emozioni. Il resto sono ingranaggi, leve e soluzioni chimiche.