Comunicare e informarsi sono due esigenze vitali per l’uomo.
Fin dalla notte dei tempi, quando la comunicazione e l’informazione gli hanno permesso di instaurare legami e relazioni, l’uomo ha cercato di condizionarle: dapprima attraverso l’esclusione, relegando le notizie a circoli ristretti come le corti e i monasteri, di cui erano privilegio, e poi, quando i mass-media hanno allargato la partecipazione, manipolando le informazioni.
La rete ha fatto il resto e attraverso la persuasione della sua stessa presenza, così continua nella nostra vita da sembrarci innocua, ha cominciato a esercitare una forte influenza, orientando le simpatie politiche, gli interessi e i gusti degli utenti-spettatori.
“Il medium è il messaggio”, scrive Marshall McLuhan, e di certo quello del web è un messaggio forte, violento, che tende a suscitare comportamenti attraverso le immagini piuttosto che con la parola, che quando usa la parola spesso la vuole aggressiva e manesca, che stimola a pensare di meno e non richiede né particolare impegno né un grande sforzo culturale.
Un medium che crea una massa di webeti, direbbe Enrico Mentana.
Lo stesso vale per la tivvù.
Alla portata di tutti, fin dal suo esordio ha penetrato le case degli italiani con tempestività e suggestione, offrendo notizie prêt-à–porter, spesso confezionate violentando l’italiano con slogan e frasi fatte.
Comunicare e informarsi sono due esigenze vitali per l’uomo e i media soddisfano queste urgenze, esaudiscono il desiderio di partecipazione che ognuno ha, danno l’illusione di poter guardare con i propri occhi ma impongono a chi guarda le immagini, una dopo l’altra, confondono lo show con il notiziario confezionando articoli facili e soprattutto vendibili.
Perché il giornalismo non è solo un prodotto culturale ma è anche un bene di consumo, in vendita sul mercato.
È così che, tra sensazionalismo e fake news, il giornalismo muore.
Poco importa se parliamo dell’on line, della tivvù o della carta stampata perché tutti ormai sono accomunati dall’utopia della scorciatoia, della notizia raccolta sui social, redatta con leggerezza o spirito partigiano. Un peccato capitale questo, che deriva dalle ingerenze della politica e che in Italia inquina l’informazione fin dal monopolio di regime.
La soluzione? Si potrebbe partire col sottrarre agli editori le nomine dei giornalisti. Sarebbe già qualcosa.
Anche di questo si è parlato ieri, al convegno “Quei bugiardi di giornalisti”, organizzato a Palazzo Ducale da Ge9si, e che ha visto come relatori Filippo Paganini, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti ligure, Bruno Minciotti, responsabile delle edizioni locali del Gruppo l’Espresso, e Paolo De Totero, direttore di Fivedabliu.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.