Genova – Se gli abitanti di un quartiere come il Diamante sono costretti a esprimere una resilienza per sopravvivere, qualcosa è andato storto.
Possiamo chiamarla cattiva progettazione, mala gestione oppure, con il linguaggio oscurato della burocrazia, “requisiti minimi di abitabilità”. Vale a dire altezze minime consentite, materiali scadenti e chi più ne ha più ne metta.
Per certo, qualsiasi definizione inventiamo servirà solo a favorire un’altra giustificazione per le follie metaboliche di una politica che ha fagocitato le nostre colline per farne delle enclave autoescludenti, luoghi dove confinare il numero maggiore possibile di persone e “risolvere” così l’emergenza casa.
Si è trattato di un meccanismo simile a quello della “democrazia da esportazione”: la Pubblica Amministrazione ha deciso che fosse quello il modo di abitare, e ha agito di conseguenza. E chi se ne frega dei danni collaterali.
Del resto l’Italia è un paese dove in emergenza si può fare tutto, anche dividere le città rigorosamente per classi sociali contrapposte, o dilatarle in modo accidentale, senza alcuna visione urbana, seguendo in modo ferreo le logiche della speculazione edilizia.
Il tutto a norma di legge.
Pensate, infatti, che il Piano Regolatore Generale del 1959 prevedeva un’edificabilità sul territorio comunale genovese di 23.477 ettari, con una capacità insediativa di 6 milioni di abitanti. Un uso a dir poco smodato del territorio.
Non solo. Quando le scelte urbanistiche si subiscono, quando la politica ragiona per stereotipi e convenienze, quando le intenzioni e le logiche sono ognuna all’estremità opposta del discorso, si determina quella identità negata che ritroviamo in tutti i quartieri di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP).
È così che alle scelte architettoniche e urbanistiche infelici, si sono sommate a quelle disastrose che hanno riguardato le dinamiche sociali.
Al Diamante, però, una piccola rivincita gli abitanti se la sono presa e hanno convinto il Sindaco Bucci, con un appello sulla pagina social del documentario #DigaVox al quale abbiamo partecipato anche noi come coautori, a prendere un caffè in collina per dare un’occhiata alla vita notturna delle dighe.
Il Primo Cittadino ha fatto un giro turistico delle criticità visitando un appartamento occupato abusivamente e poi incendiato, al diciottesimo piano della diga rossa.
Qui gli amministratori hanno toccato con mano quanto possa essere democratico il degrado: il neo assessore alla casa, Pietro Piciocchi, è rimasto bloccato qualche minuto nell’unico ascensore funzionante di un super condominio da 23 piani.
La serata si è conclusa alla “Casetta Ambientale” con due promesse interessanti.
La prima quella di tornare a settembre con dei risultati concreti contro l’abusivismo, la seconda, e più complessa, quella di cambiare i modi di gestione del patrimonio ERP esautorando l’operatore pubblico dell’edilizia, cioè A.R.T.E, per il quale la convenzione con il Comune è in scadenza proprio a fine giugno.
Ci chiediamo: a chi si rivolgeranno gli inquilini nel periodo di transizione visto che occorreranno mesi e mesi al Comune per rientrare nei meccanismi? Non sarebbe meglio far funzionare A.R.T.E?
Simona Tarzia
Simona Tarzia e Fabio Palli hanno collaborato alla realizzazione di DigaVox , il docu-film sull’emergenza abitativa alle Dighe di Begato.
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.
Io costringerei gli abitanti a tenere puliti e ordinati i giardinetti fuori casa. Hanno la fortuna di avere una casa con un giardinetto e non lo curano affatto dando un senso di negligenza e trascuratezza a chi passa di là
Sig Pina, non so dove lei abiti, quali siano le sue condizioni economiche, se lei abbia un tessuto sociale a cui far riferimento. Alcuni abitanti per mancanza di senso del bene comune sono come dice lei. Moltissimi altri non hanno le risorse per mettere insieme il pranzo con la cena. E forse, la pulizia del giardinetto davanti a casa è l’ultimo pensiero. Cordialmente.