L’orologio non è un dettaglio

Ieri sera, a tarda sera, mi sono preso reiteratamente del Gad Lerner. E va be’ può persino non sembrare male essere accomunati a un professionista che a suo tempo, tal Giorgio Bocca, scrittore, giornalista, partigiano ormai scomparso aveva segnalato come un giornalista dal futuro assicurato. Che poi mi si dirà anche che quel tal Bocca, morto a 91 anni, nella sua vita ne aveva viste e combinate di ogni. Prima di diventare giornalista era stato partigiano. Ma ancora prima era iscritto al Guf, la gioventù universitaria fascista, ed era stato in guerra nel regio esercito, corpo degli Alpini, insieme a Rigoni Stern. Durante la sua vita, oltre a fondare “La Repubblica” insieme a Eugenio Scalfari ha lavorato per “La Provincia grande”, “Sentinella d’Italia”, alla fine della guerra, riprese l’attività giornalistica, scrivendo per il giornale di Giustizia e Libertà finché fu chiamato a lavorare per la Gazzetta del Popolo di Torino, assunto dal liberale Massimo Caputo, quindi per L’Europeo. Negli anni sessanta incominciò a lavorare al Giorno di Milano a seguito della nomina a direttore di Italo Pietra, qui si affermò definitivamente come inviato speciale, sia all’estero (Guerra dei Sei Giorni), sia con inchieste sulla realtà italiana.
Ha battibeccato con un altro illustre del giornalismo italiano, Giampaolo Pansa, accusandolo di revisionismo strisciante nei confronti del fascismo. Il rischio era quello di arrivare ad una assoluzione omettendo di ricordare la correità del fascismo con il nazismo.
Intervistato dall’Espresso, nel 2007, dichiarò: «Sono certo che morirò avendo fallito il mio programma di vita: non vedrò l’emancipazione civile dell’Italia. Sono passato per alcuni innamoramenti, la Resistenza, Mattei, il miracolo economico, il centro-sinistra. Non è che allora la politica fosse entusiasmante, però c’erano principi riconosciuti: «i giudici fanno giustizia, gli imprenditori impresa. Invece mi trovo un paese in condominio con la mafia. È il successo di chi elogia i vizi, i tipi alla Briatore».

Ma torniamo a Gad, o meglio al nuovo modello di Rolex  che porta il suo nome recentemente propagandato con tanto di locandina, ovviamente falsa dal tal Matteo Brandi, satirico influencer di area centrodestra. Perché mi va persino bene che di certa sinistra salottiera si possa ridere anche un po’, ma mi piace meno essere accomunato per storia a gruppi politici e di potere ai quali non intendo appartenere. Distogliendo persino un po’ l’attenzione dal discorso principale.

Insomma si è usato un dettaglio per deviare il significato di un mio post. Eppure era del tutto evidente che l’elemento principale fosse il cerotto sulla bocca. Cioè il bavaglio. In un periodo delicato per la libertà di espressione e di critica, forse i social sono sfuggiti di mano,  a parte le nefandezze che ci vengono postate e i difficili esercizi di democrazia che vengono affossati regolarmente da orde di troll o di analfabeti funzionali. E allora meglio fare di tutto per limitarli e per chiuderli o farli chiudere. Magari terrorizzando un po’ i malcapitati dispensatori della loro verità. E, comunque, non sarebbe nemmeno troppo difficile risalire alla causa scatenante del post di ieri sera.
Però ci sono le sentinelle sempre all’erta. E pronte a rintuzzare qualsiasi esercizio o forma di protesta. Perciò faccio pubblica autocritica. Non ho mai portato Rolex. Costano troppo e fanno troppo esibizione di status. Se l’orologio non è un dettaglio preferisco laboratori di orologeria meno conosciuti, pubblicizzati e forse più costosi. Mi limito a guardare, comunque. Infine trovo una boiata pazzesca la battuta sugli antagonisti che spaccavano le vetrine con il Rolex al polso. E mi domando… siete mai stati in un centro sociale? Perché in questo modo si rischia di fare lo stesso errore di quelli dei salotti bene citati sopra, e ridurre tutto ad un cliché arcaico e ritrito senza mai andare a fondo nelle cose. Inquadrando e disquisendo solo sul soggetto che ci viene più comodo e tralasciando quello principale su cui è incentrato il messaggio. Che poi diventa una vera distorsione, più o meno volontaria della realtà. O un modo subdolo per sviare il confronto.

Paolo De Totero

Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *