




Intervistato dall’Espresso, nel 2007, dichiarò: «Sono certo che morirò avendo fallito il mio programma di vita: non vedrò l’emancipazione civile dell’Italia. Sono passato per alcuni innamoramenti, la Resistenza, Mattei, il miracolo economico, il centro-sinistra. Non è che allora la politica fosse entusiasmante, però c’erano principi riconosciuti: «i giudici fanno giustizia, gli imprenditori impresa. Invece mi trovo un paese in condominio con la mafia. È il successo di chi elogia i vizi, i tipi alla Briatore».
Ma torniamo a Gad, o meglio al nuovo modello di Rolex che porta il suo nome recentemente propagandato con tanto di locandina, ovviamente falsa dal tal Matteo Brandi, satirico influencer di area centrodestra. Perché mi va persino bene che di certa sinistra salottiera si possa ridere anche un po’, ma mi piace meno essere accomunato per storia a gruppi politici e di potere ai quali non intendo appartenere. Distogliendo persino un po’ l’attenzione dal discorso principale.
Insomma si è usato un dettaglio per deviare il significato di un mio post. Eppure era del tutto evidente che l’elemento principale fosse il cerotto sulla bocca. Cioè il bavaglio. In un periodo delicato per la libertà di espressione e di critica, forse i social sono sfuggiti di mano, a parte le nefandezze che ci vengono postate e i difficili esercizi di democrazia che vengono affossati regolarmente da orde di troll o di analfabeti funzionali. E allora meglio fare di tutto per limitarli e per chiuderli o farli chiudere. Magari terrorizzando un po’ i malcapitati dispensatori della loro verità. E, comunque, non sarebbe nemmeno troppo difficile risalire alla causa scatenante del post di ieri sera.
Però ci sono le sentinelle sempre all’erta. E pronte a rintuzzare qualsiasi esercizio o forma di protesta. Perciò faccio pubblica autocritica. Non ho mai portato Rolex. Costano troppo e fanno troppo esibizione di status. Se l’orologio non è un dettaglio preferisco laboratori di orologeria meno conosciuti, pubblicizzati e forse più costosi. Mi limito a guardare, comunque. Infine trovo una boiata pazzesca la battuta sugli antagonisti che spaccavano le vetrine con il Rolex al polso. E mi domando… siete mai stati in un centro sociale? Perché in questo modo si rischia di fare lo stesso errore di quelli dei salotti bene citati sopra, e ridurre tutto ad un cliché arcaico e ritrito senza mai andare a fondo nelle cose. Inquadrando e disquisendo solo sul soggetto che ci viene più comodo e tralasciando quello principale su cui è incentrato il messaggio. Che poi diventa una vera distorsione, più o meno volontaria della realtà. O un modo subdolo per sviare il confronto.
Paolo De Totero


Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.