Nino Cento: “Se vuole fermarmi, la ‘ndrangheta mi dovrà ammazzare”

Di una storia raccontata mille volte, di solito, si sa pochissimo.
Sarà che la comunicazione nel mondo globale confeziona prodotti da fast food  mentale.
Sarà la distrazione, che ci impedisce di guardare più a fondo.
Sarà che ci importa molto poco di quello che succede nel giardino altrui.
È così che le domande si nascondono dietro l’abito leggero della familiarità, dell’abitudine, dei fatti noti.
E restano inevase.

La storia di Nino Cento, agricoltore dello Zomaro, in Aspromonte, è stata raccontata tante volte, da tanti altri.
Parla di un uomo che si ribella alla ‘ndragheta e subisce l’isolamento codardo e complice di un paese dove le persone diventano apparizioni che un giorno sono amiche e il giorno dopo qualcos’altro.
Parla di una vita in bilico fra mondi contrapposti. Di scelte difficili da fare, tra legalità o crimine.
Parla di una terra cannibale, sporcata dal sangue delle faide e dal dolore dei rapimenti. Oppressa dal cappio dell’economia mafiosa.

Ascolterete di una vita sotto scorta.
Della paura che ti tocchino i figli.
Del mangiare sempre pasta e patate mentre la burocrazia collusa cerca di portarti via tutto. 

Ascolterete attentamente, e vi farete molte domande.
Perché le parole di Nino non sono state messe qui solo per parlare. Perché non vi racconteranno soltanto azioni e avvenimenti, freddi elenchi in un ordine minuto, ma tutto il dramma nudo di chi vive dentro un presente sospeso.
E questo non lo si può ignorare.

Simona Tarzia
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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.

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