La Procura di Locri è particolare e non è una novità. E’ un ufficio che non vedeva la penetrazione e il controllo, con condizionamento e contiguità e connivenze, della sanità. Asl di Locri su tutte. Una gestione politico-massonica-mafiosa che viziava assunzioni, incarichi, appalti e convenzioni su cui si sorvolava in quel Palazzo e che sono emerse solo dopo l’intervento della Prefettura e della DDA di Reggio Calabria, a seguito dell’eclatante omicidio politico-mafioso di Fortugno. Non solo.
Lì, il personale medico (comprensivo di famigliari e affiliati di ‘ndrangheta) era al servizio delle cosche, su tutte i Morabito-Palamara-Bruzzaniti.
Lì si curavanoi feriti d’arma da fuoco omettendo il “dettaglio” della segnalazione alle Forze dell’Ordine.
In quel palazzo si sorvolava sugli abusi edilizi che hanno martoriato e distrutto la bellezza della costa jonica.
Qualcuno ci disse: ma non si possono mica pretendere il contrasto e gli abbattimenti, qui “è normale così”.
Ecco, lì “è normale così”.
E’ normale che per un omicidio (autorizzato ed eseguito nel contesto ‘ndranghetista dei Cordì), come quello del giovane Massimiliano Carbone, non si disponessero controlli, ad esempio, dei Ris, sull’area dove il killer (mandato dalla cosca previo pagamento di uno dei loro armieri) si era appostato, sistemato, per sparare con il canne mozze.
Invece, perché la madre di Massimiliano – che non si è rivolta alla cosca ma si è recata dai carabinieri e dai magistrati per chiedere Giustizia – ha preso un rametto di geranio, sono state disposte due perizie del Ris con decreto di condanna penale a suo carico.
“E’ normale così…” e così quel Palazzo della Procura non notava nemmeno che commercianti di telefonia fornivano alla cosca dei Morabito-Palamara-Bruzzaniti le schede telefoniche per i latitanti e le diramazioni del “casato” in Lombardia, e che quando quel commerciante di telefonia venne informato della richiesta di estorsione (dalla cosca Costa) al futuro suocero, non si recò dai carabinieri o dai magistrati, bensì al cospetto della cosca Cataldo, per chiederne l’intervento.
Nella Locride non si contano i caporali che sfruttano i migranti. Nel settore agroalimentare come in quello dell’edilizia.
Ma continuano ad operare indisturbati. Se per caso qualcuno, ad esempio nel sindacato, “osa” fare il proprio dovere, monitorare e denunciare ciò che avviene nei cantieri, tutto si risolve, se non si piega a minacce e intimidazioni, con una “promozione”che lo sposta altrove e lascia spazio all’omertà.
Nella Locride, ad esempio nella piana di Gioia Tauro, nel nome della “legalità” e della “trasparenza”, spesso nel nome dell’antimafia, si gestiscono Comuni senza il minimo rispetto delle norme di prevenzione e dei principi di corretta, trasparente e buona amministrazione. Violazioni delle norme edilizie, degli affidamenti, di finanziamenti, di gestione del patrimonio, sono la prassi quotidiana. Una gestione illegale sistematica che è tutta a vantaggio di reti di potere e clientela, tra politica, massoneria e ‘ndrangheta. Il danno alla comunità, al bene comune, allo Stato è abnorme ma non lo si vede, in quel Palazzo (così come in altri).
Ma nella Locride una cosa appare oggi più chiara: si pieghi la Legge nel nome di interessi occulti e criminali, ma non si pensi di affermare giustizia sociale. Non sia mai che ci si scontri con il Potere, quando questo Potere è spesso figlio di un indecente e prediletto patto con quei commensali criminali, siano essi massoni o mafiosi.
Si comprende allora che se “lì è normale così”, se la Prefettura, ad esempio, è tornata a una gestione particolare, distratta o leggera, in materia di interdittive antimafia o di gestione dell’emergenza profughi (basti vedere la non soluzione, nonostante i fondi a disposizione, della vergognosa ‘accoglienza’ delle baraccopoli), il problema da perseguire e stroncare diviene chi, secondo i principi della giustizia sociale, senza la quale la “legalità” diviene antitetica allo Stato di Diritto, alla stessa nostra Costituzione, rappresenta un’ “anomalia”.
Anomalia per la Locride e per il “sistema”.
E l’anomalia, che chiaramente il Potere ha più volte indicato come “nemico”, in quella terra ha un nome: Mimmo Lucano.
La gestione concreta (e senza l’arrivo dei fondi dovuti dal Ministero dell’Interno!) del fenomeno “migratorio”, promossa dal Comune di Riace, è la prova del fallimento delle politiche di “accoglienza” promosse con piogge di milioni, strutture “ghetto” ed interessi criminali (spesso anche mafiosi) che lucrano sulla pelle dei migranti, dei profughi. Il“sistema Riace” è la prova che l’accoglienza centrata sull’integrazione, il lavoro, il rispetto della dignità, funziona, costa un nulla rispetto alla gestione pubblico-cooperativa e rispetto a questa non genera emarginazione, non funge da agenzia di collocamento per la criminalità e non crea alcun allarme sociale.
E se il “sistema Riace” è la prova concreta che la gestione del fenomeno migratorio può essere fondata sui principi della giustizia sociale, in sintonia con la comunità e capace di tenere lontani gli appetiti criminali, quel sistema è da stroncare.
Le irregolarità nella gestione da parte di Mimmo Lucano, come appare aver compreso anche il Gip, non sono dettate da tentativi di arricchimento personale.
I fondi stanziati (così come quelli richiesti e mai pervenuti dal Ministero, conducendo verso una situazione di dissesto il Comune di Riace) non sono stati distratti dal fine di promuovere l’accoglienza e l’integrazione dei profughi.
Non favoriscono una gestione criminale dell’immigrazione o dello sfruttamento dei migranti, anzi, tutt’altro. Sono proprio “figlie” della contraddizione di norme che dovrebbero contrastare i fenomeni criminali e che invece, così come sono, a partire dal concetto stesso di “immigrazione clandestina”, alimentano gli interessi, gli affari e il potere delle organizzazioni criminali e mafiose.
Qui sta il punto centrale. L’applicazione cieca delle norme, in questo contesto, favorisce l’ambiente e gli interessi criminali. L’applicazione delle norme, con violazioni dettate dai principi di giustizia sociale, in questo contesto, contrasta gli interessi di quell’ambiente criminale.
Ma per la Procura di Locri non conta. “Lì è normale così”, l’anomalia è Riace. E’ Mimmo Lucano.
Così, di fronte alle reazioni critiche per l’azione penale mossa, nei termini in cui è stata mossa, a carico di Mimmo Lucano, il Procuratore di Locri non ci sta. Fondamentalmente il messaggio che arriva è che anche piccole cose sono importanti e come tali da affrontare con risolutezza.
Ma allora come mai su cose che “piccole” non sono non c’è altrettanta risolutezza, bensì una incomprendibile distrazione?
Gli affidamenti diretti, così come le scappatoie in relazione alla Siae, sono, ad esempio, divenuti normalità nella gestione degli Enti Locali.
Perché solo rispetto al Comune di Riace tali questioni vengono affrontate sul piano penale, mentre sulle altre Pubbliche Amministrazioni (magari anche quando tali affidamenti diretti coinvolgono parenti di amministratori o soggetti legati alla ‘ndrangheta che, con frazionamenti fraudolenti ed importi sotto soglia, possono meglio eludere i controlli preventivi) si sorvola?
Domanda lecita, crediamo, visto che tali comportamenti impropri, con tanto di aggravanti, sono prassi costante in Calabria come nelle altre regioni del paese, sino al nord, senza che le Procure si muovano o, in taluni casi, con Procure e Giustizia Amministrativa che arrivano a “giustificare” tali illeciti comportamenti nel nome del “fine” dell’interesse generale.
Se iniziando abbiamo dato indicazione di cose non troppo piccole, in terra di Locride, ve ne sono alcune “piccole” che dilagano senza minimo contrasto.
Ha mai messo un occhio la Procura in quel di Platì dove ragazzini, minorenni quando non bambini, scorrazzano in scooter senza casco, seguendo chi “osa” mettere piede nel territorio dove l’Autorità non appare essere lo Stato, bensì i Barbaro-Papalia? Non crediamo che questo occhio sia mai caduto su tale realtà da parte della Procura di Locri, sulle omissioni di chi dovrebbe controllare e applicare semplicemente il codice della strada. Non lo crediamo perché altrimenti se questa “piccola cosa”, che però è segno pesante di controllo del territorio in capo ad una cosca, fosse stata notata dalla Procura significherebbe che vi è stata un’omissione di esercizio dell’azione penale.
Ancora. Ad Africo l’Autorità sul territorio appare essere sempre e ancora quella dei Morabito-Palamara-Bruzzaniti e famiglie collegate. Qui basterebbe andare al cimitero per scoprire che certi “segnali”, certi “messaggi” passano anche attraverso ciò che è scolpito sulle lapidi. Norme sanciscono che sulle lapidi non si possa scrivere ciò che si vuole, tanto meno acclamazione di vite criminali da ‘ndranghetisti e attacchi alla Giustizia e allo Stato. Però ad Africo ciò avviene. Avviene con omissioni di chi dovrebbe controllare e invece omette di farlo. Anche queste sono “piccole cose”, non degne però di una rigorosa applicazione della Legge da parte della Procura di Locri, troppo impegnata nel contrastare e colpire un sistema, quello di “Riace”, con Mimmo Lucano, su cui il Ministro dell’Interno, Matteo Salvini– spesso in Calabria, anche accanto a soggetti legati alla ‘ndrangheta – ha da tempo impiegato i propri sforzi affinché venisse colpito e stroncato.
Se tutte le “piccole cose” nella gestione della Pubblica Amministrazione fossero perseguite con tanta risolutezza dalla Procura di Locri (e non solo) non risulterebbe abnorme quanto posto in essere contro Mimmo Lucano. Ma le distrazioni su “piccole” e più pesanti questioni nella Locride, da parte di quell’Ufficio, sono normalità, e dunque ancora di più non si può tacere su questa surreale vicenda.
Christian Abbondanza
Blogger antimafia che da anni si preoccupa di denunciare nomi e cognomi e connivenze della ‘ndrangheta in Liguria. È il presidente della Casa della Legalità ONLUS, un occhio aperto sulla criminalità, le mafie, i reati ambientali e le complicità della Pubblica Amministrazione.