Ponte Morandi: gli errori su corso Perrone

Genova – Comune a tutti, o così sembrerebbe, un atteggiamento poco incline a soddisfare la nostra curiosità.
Ma facciamo un passo indietro.

90 giorni dal crollo del Morandi, ci sono zone della città che continuano a sopportare un carico altissimo di natura sia ambientale, il traffico costante che impesta via Borzoli, sia economico, nell’area di Campi si contano 1342 aziende in ginocchio e circa 300 lavoratori già licenziati.

Esiste, tra queste situazioni allarmanti, un denominatore comune: corso Perrone.
Arteria nodale di collegamento alla Valpolcevera, corso Perrone è chiusa dal 14 agosto senza che nessuno abbia effettuato una valutazione di stabilità del moncone ovest del ponte, cioè proprio quello sovrastante la strada e oggetto di riparazioni terminate nel 2017”, si sfoga con noi il referente di CampiVive, Andrea Pescino, che in una lunga intervista ci racconta della trafila seguita dal comitato, su e giù tra i piani del Matitone, per capire qualcosa della gestione della mobilità dell’area.

“Le prime notizie indicavano che fosse la Procura della Repubblica l’organismo deputato alla liberalizzazione del transito, e quindi abbiamo chiesto un incontro con il Procuratore Cozzi continua Pescino – che il 12 ottobre ci ha chiarito che corso Perrone non è mai stato sequestrato. È stato sequestrato il tronco ovest perché, nel procedimento complessivo, andavano verificate le riparazioni dichiarate da Autostrade per l’Italia. Questa operazione è conclusa ma, ha aggiunto, il dissequestro va chiesto, e non è il tribunale che può dissequestrarlo a persone indeterminate”.

In effetti, solo tre giorni fa, a margine della firma di un protocollo d’intesa con Regione Liguria, lo stesso Procuratore aveva dichiarato che in questo momento il sequestro giova a molti. Nel senso che consente di evitare querelle sulla competenza di chi oggi interviene sul ponte”, per poi ribadire: Abbiamo il provvedimento di dissequestro pronto, ci rendiamo conto dei tempi ma non possiamo dissequestrarlo a persone indeterminate”.

Ricapitolando: secondo la documentazione raccolta dal comitato e le dichiarazioni rilasciate dal procuratore Cozzi, la Procura non ha mai disposto il sequestro di corso Perrone ma, anzi, sarebbe già pronto il provvedimento di dissequestro del troncone ovest, proprio quello che da corso Perrone è sottopassato.

E allora perché la strada è in “Zona rossa” e il traffico è sempre interdetto? “Siamo andati al Matitone – precisa Pescino –, nell’ufficio dell’ingegner Carlo Merlino che è il responsabile del Settore Regolazione della Direzione Mobilità e Trasporti del Comune di Genova, ma ci è stato risposto di rivolgerci alla Protezione Civile perché sono stati loro a chiedere di emettere l’ordinanza”.
I referenti del comitato si spostano al piano inferiore del Matitone e chiedono notizie alla dirigente della Protezione Civile, Francesca Bellenzier.
“Dalla documentazione che la dottoressa Bellenzier ci ha inviato tramite mail, scopriamo che la Protezione Civile del Comune di Genova ordina la “Zona rossa” su proposta del Vicesindaco e Assessore alla Mobilità, Stefano Balleari”, puntualizza ancora Pescino che poi si interroga: “L’interdizione di corso Perrone è stata ordinata a fronte di una valutazione tecnica di stabilità del troncone ovest, cioè le pile dalla 1 alla 8 sottopassate da corso Perrone? No, questo documento non esiste”.

Ci mettiamo anche noi alla ricerca della valutazione di stabilità ma veniamo rimpallati da tutti quelli che ascoltiamo.
Nulla dal Vicesindaco Balleari che risponde di rivolgerci alla Protezione Civile.
La dirigente della Protezione Civile, Bellenzier, dopo la prima telefonata si fa rincorrere senza più rispondere per poi chiarire tramite mail che si tratta di un’informazione tecnica relativa all’attività della Commissionee la gira “all’ingegner Pinasco che ci legge in copia”.
Lo stesso consigliere comunale Antonino Gambino, delegato alla Protezione Civile, sembra confermare le parole della Bellenzier dirottandoci verso la Commissione: “Noi facciamo quello che ci dice la Commissione, quella composta dai tre ingegneri: Croce, Pinasco e Egizi”.

Ma insomma, questo documento tecnico di valutazione della stabilità del troncone ovest di ponte Morandi esiste?
Ad oggi, stiamo ancora aspettando una risposta.
Comune a tutti, così sembrerebbe, un atteggiamento poco incline a soddisfare la nostra curiosità.

A voi che ci leggete potrebbe sembrare un problema di poco conto, soprattutto oggi, dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Emergenze e le dichiarazioni mirabolanti di Marco Bucci, Sindaco e Commissario alla Ricostruzione, che a Natale 2019 vorrebbe già vedere pronto il ponte.

Eppure questo documento potrebbe avere un grande valore per noi genovesi.
Il 25 settembre di quest’anno Gabriele Camomilla, l’ingegnere che nel 1992 aveva seguito l’intervento di risanamento dello strallo della pila 11 del Morandi, rilascia un’intervista telefonica a IlFattoQuotidiano.it dove dichiara che quanto è sopravvissuto al collasso di ponte Morandi va salvato: “Ci sono 650 metri di ponte, passatemi la provocazione, in ottime condizioni o riparabili. La maggior parte dei ponti italiani è messo peggio di quel che è rimasto del Morandi. Se lo buttano giù, ci vorrà il quadruplo per avere un ponte nuovo”.

Camomilla non è solo.
Il 9 novembre, mentre era a Piacenza per le Giornate Italiane del Calcestruzzo, l’ingegnere Giuseppe Marchese di Federbeton si è detto convinto che il ponte si potrebbe aggiustare “in circa tre mesi, con un costo inferiore ai 50milioni di euro“.

Starete di certo pensando che Federbeton, la Federazione di settore delle Associazioni della filiera del cemento e del calcestruzzo, ha tutti gli interessi che il ponte si ricostruisca in cemento. Vero, ma non sottovalutate il risparmio notevole di tempo e di denaro.
Per non parlare delle migliaia di tonnellate di macerie della demolizione: dove andranno? Da dove passeranno? È stata valutata la possibile presenza di amianto visto che, negli anni di costruzione del ponte, era ampiamente utilizzato nel calcestruzzo di struttura perché dava dei vantaggi rispetto alla corrosione dell’armatura?

Così abbiamo chiesto direttamente al Sindaco e Commissario per la Ricostruzione se le ipotesi di salvare le parti integre del Morandi siano state prese in considerazione. Sentite cosa ci ha risposto: “Qualcuno ce lo dirà. Qualcuna delle aziende ci darà un progetto così e noi lo valuteremo”.

Bene.
Questo accredita la notizia, arrivata il 5 novembre mentre Borzoli e Fegino manifestavano contro il traffico e l’inquinamento, della riapertura di corso Perrone dopo la messa in opera di “alcuni lavori per garantire la sicurezza: un impianto semaforico collegato al sistema di monitoraggio a sensori (come per via 30 giugno) e la creazione di una mantovana a protezione della strada da eventuali cadute di materiali dal viadotto”.
Epperò come la mettiamo con l’annuncio dell’inizio della demolizione del Morandi, il 15 dicembre, proprio dal troncone ovest?

“La gente vuole organizzare la sua esistenza. Corso Perrone sarà riaperto? Sarà riaperto e poi richiuso? La certezza non c’è e il dubbio è molto forte” dichiara ancora Pescino, amareggiato, per poi puntare il dito contro l’amministrazione: “Il dubbio è l’arma che il sistema di governo utilizza per tenere le persone lontane, come una specie di scacciamosche”.

Simona Tarzia
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Documenti scaricabili – Le Ordinanze Sindacali:

OS 329 N. ORD-2018-329 DATA 02/10/2018
OS 310 N. ORD-2018-310 DATA 30/08/2018
OS 307 N. ORD-2018-307 DATA 26/08/2018
OS 314 N. ORD-2018-314 DATA 07/09/2018
OS 282 N.ORD-2018-283 DATA 14/08/2018

Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.

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