San Ferdinando: nel ghetto dei braccianti agricoli si continua a morire

Catanzaro – Ci sono la piana di Gioia Tauro, la Capitanata nel Foggiano, l’Agro Pontino, la zona di Saluzzo in Piemonte.
Qui i lavoratori stagionali vivono imprigionati tra gli interessi economici delle aziende e una gestione politica sorda ai problemi di fondo dell’immigrazione e complice delle loro condizioni sociali ed economiche, al limite dell’umano.

Fabbriche della miseria

In questo elenco di fabbriche della miseria cresciute nel nostro paese per accogliere i braccianti da sfruttare nei campi e nelle serre, San Ferdinando è un altro dei nomi che ricordiamo solo quando ci scappa il morto.
“È difficile far emergere il fenomeno dello sfruttamento – conferma Antonio Jiritano, sindacalista di Catanzaro e rappresentante legale USB Calabria -. Noi come USB produciamo un comunicato stampa al giorno ma nessuno ce li pubblica, non interessano perché non fanno ascolti. Poi, quando succede qualcosa di eclatante, allora qualcuno si interessa. Altrimenti c’è un velo su tutto quello che facciamo”.
Sono parole dure quelle di Jiritano che, ormai da anni, è al fianco dei fantasmi della Piana e porta avanti le loro lotte con grosse difficoltà: “Abbiamo tavoli in Prefettura ma i rapporti sono difficilissimi. USB è malvista, c’è un clima particolare in questi uffici e, con il nuovo governo, ancora di più”.

Di miseria si muore

Non è facile andare avanti in luoghi dove l’economia è fondata anche sull’inferiorità, dove la miseria è una condizione costruita a tavolino perché conviene un po’ a tutti, dove di miseria si muore.
San Ferdinando oggi piange un altro ragazzo.
È morto stanotte. È morto bruciato vivo tra la plastica fusa di una baracca della bidonville. Aveva diciotto anni.

Jaiteh Suruwa, a cui va il mio commosso pensiero, venuto dal Gambia per trovare lavoro, ha trovato la morte nella baraccopoli di San Ferdinando”, scrive su Facebook il Governatore della Calabria, Gerardo Mario Oliverio, che poi aggiunge un appello al Governo e al Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, perché si assumano iniziative immediate e soluzioni adeguate a una’accoglienza degna di un paese civile: Mentre viene assurdamente sancita la fine dei progetti Sprar e liquidata una esperienza come quella di Riace che costituisce un esempio concreto di accoglienza e di integrazione civile, la tendopoli della morte continua a seminare vittime innocenti“.

Le condizioni di lavoro dei braccianti della Piana

Intanto i numeri: “Sono 2.500 i braccianti che lavorano nei dintorni di San Ferdinando nel periodo di raccolta degli agrumi, poi ce ne sono altri nella zona di Corigliano, di Rossano, altre 700-800 persone. Nessuno ha un contratto di lavoro regolare“,  precisa ancora Jiritano che poi ci spiega quanto guadagnano: “Un bracciante mediamente guadagna 28 euro al giorno, una parte vanno all’accompagnatore, quello che con il furgone li porta in giro nei campi, anche se poi non siamo certi che li portino tutti nei campi a fare attività agricole, pensiamo che una parte li portino nei cantieri, nei posti dove c’è meno controllo da parte degli ispettori del lavoro”.

Quindi parliamo di 28 euro al giorno, partenza al mattino quando è ancora buio e ritorno alla sera che è già buio, meno le spese. Per il trasporto gli intermediari prendono dai tre ai cinque euro al giorno, ma tutto varia in base alla distanza e non si riesce a sapere con precisione quanto spendano i braccianti.
Nel 2011
, il Decreto Legge n° 138/2011 ha introdotto nel Codice penale l’articolo 603-bis che prevede il nuovo reato di Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e che dovrebbe punire in maniera più efficace il caporalato.
Purtroppo le cose non sono cambiate, rivela Jiritano: “In Calabria non è cambiato nulla. Prima del 2011 facevamo lo sfruttamento dei migranti, dopo il 2011 facciamo lo stesso. Non è cambiato nulla. I ragazzi vengono prelevati in mezzo alla strada e portati al lavoro esattamente come prima. In Calabria non cambia nulla”.

Simona Tarzia

Quando il razzismo imbraccia il fucile: l’inferno di San Ferdinando

 

Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.

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