Fanghi da depurazione in agricoltura: con il Decreto Emergenze si può inquinare di più?

Con la conversione del Decreto Emergenze, è legge anche il famigerato articolo 41, cioè quello che “al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi di depurazione” , eleva le soglie degli inquinanti ammessi e consente di smaltire sui campi agricoli fanghi  pericolosamente contaminati da sostanze industriali come gli idrocarburi.

Ecco nella spiegazione di Marco Grondacci, giurista ambientale, come sono cambiate le cose.

Marco Grondacci

CHE COSA SONO I FANGHI DA DEPURAZIONE, PERCHÉ VENGONO UTILIZZATI IN AGRICOLTURA E DA QUANTO TEMPO
Sotto il profilo giuridico, i fanghi di depurazione sono a tutti gli effetti dei rifiuti e, in quanto tali, essi sono disciplinati dal D.L.vo 152/06 e successive modifiche e integrazioni, comprese tutte le connesse attività di deposito, trattamento e trasporto.
Per fanghi devono, infatti, intendersi i residui derivanti dai processi di depurazione delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili, delle acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi, e delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti produttivi (art. 2).
Adottati in agricoltura fin dagli anni ’90 come fertilizzanti, sono saliti all’onore della cronaca con il Decreto Emergenze perché questo ha elevato il limite degli idrocarburi che possono essere sparsi sui suoli agricoli: da 50 mg per kg a 1.000.

MA C’È UN PERICOLO REALE PER LA SALUTE PUBBLICA? C’È CHI PARLA DI CAMPI AVVELENATI…
Fino alla sentenza della Cassazione del giugno 2017, che vedremo tra poco, ai fanghi da utilizzare in agricoltura si applicavano solo i limiti definiti dal Dlgs 99/1992 . Secondo questo decreto legislativo, l’utilizzo in agricoltura è ammesso se i fanghi :

  1. Sono stati sottoposti a trattamento per limitare la fermentazione,
  2. sono idonei a produrre un effetto concimante e/o ammendante e correttivodel terreno,
  3. non contengono sostanze tossiche e nocive e/o persistenti, e/o biodegradabiliin concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale,
  4. la concentrazione di uno o più metalli pesantinel suolo non superi i valori limite fissati nell’Allegato IA,
  5. al momento del loro impiego in agricoltura, non superino i valori limite per le concentrazioni di metalli pesanti e di altri parametri stabiliti nell’Allegato IB.

In sostanza, il limite per gli idrocarburi nel dlgs 99/1992 non c’è. Ci sono delle limitazioni nel dlgs 152/2006 ma qui entra in gioco la sentenza della Cassazione.

L’ART. 41 PRESCRIVE CHE PER GLI IDROCARBURI, A DIFFERENZA DI TUTTI GLI ALTRI INQUINANTI, LA VALUTAZIONE VENGA FATTA SUL “TAL QUALE” E NON SULLA “SOSTANZA SECCA”: QUINDI IL LIMITE SI INNALZA ANCORA?
Sì, è chiaro che i valori aumentano. Il motivo è che non si sono voluti prendere i parametri dei valori degli inquinanti dei suoli previsti non dal dlgs 99/1992 ma dal DLgs 152/2006.

PERCHÉ UN’EMERGENZA FANGHI? NE PRODUCIAMO COSÌ TANTI?
Non c’era una emergenza fanghi.
Diciamo che si è venuta a creare qualche difficoltà dopo la sentenza della Cassazione (sez. III penale, n. 27958 del 6 giugno 2017) che ho citato prima e di cui ora vi spiego i contenuti e le conseguenze.
Il dispositivo della sentenza afferma: “L’uso agronomico presuppone infatti che il fango sia ricondotto al rispetto dei limiti previsti per le matrici ambientali a cui dovrà essere assimilato (e quindi anche quelli previsti dalla Tab. 1, colonna A dell’allegato 5, al titolo V, parte IV, D.lgs. n. 152 del 2006), salvo siano espressamente previsti, esclusivamente in forza di legge dello Stato, parametri diversi siano essi più o meno rigorosi, nelle tabelle allegate alla normativa di dettaglio (decreto n. 99 del 1992) relativa allo spandimento dei fanghi o in provvedimenti successivamente emanati”, si rende necessario e doveroso approfondire questa tematica per comprendere quale sia la normativa applicabile.”
In sostanza: si applicano ai fanghi le tabelle sui limiti degli inquinanti che sono previste per i suoli in riferimento al raggiungimento degli obiettivi di bonifica di terreno inquinato (QUI la tabella).

Dalla pronuncia della Suprema Corte le cose si complicano.
Si complicano perché la sentenza, in realtà, è in contraddizione ad esempio con la Nota del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che, in risposta alla Regione Toscana (prot. 173/RIN del 5 gennaio 2017) e utilizzando un parere dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), metteva in evidenza l’incompatibilità delle due normative per quanto riguarda i valori limite per i metalli pesanti, sottolineando che: “tale incompatibilità è dovuta al fatto che i valori indicati nella normativa relativa alle bonifiche si riferiscono esclusivamente ai suoli e non ai rifiuti, quali i fanghi o a materiali quali il compost, i quali possono essere distribuiti sul suolo stesso nel rispetto della normativa di settore…”.

Nel citato parere dell’ISPRA (prot. 17929 del 25 maggio 2011) è riportato infatti che: “… la citata tabella 1, colonna A dell’allegato 5 al D.Lgs. n. 152/2006 riporta le concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) nel suolo per la specifica destinazione d’uso dei siti. Tali concentrazioni rappresentano i livelli di contaminazione delle matrici ambientali al di sopra dei quali si rende necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito specifica per determinare lo stato o meno di contaminazione ai fini della bonifica del sito stesso. Risulta evidente che i valori limite di concentrazione per i diversi parametri elencati nella citata tabella 1 si riferiscono ai suoli e non ai rifiuti, quali i fanghi, o a materiali quali il compost che possono essere distribuiti sul suolo stesso nel rispetto della normativa di settore …”.

Rispetto a questa interpretazione del Ministero dell’Ambiente del precedente Governo, gioca una interpretazione diversa la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea secondo la quale, in materia di rifiuti, si applica comunque la normativa generale (e quindi la Direttiva quadro dell’UE), mentre le normative speciali come il DLgs 152/2006 integrano detta normativa generale ma non la possono sostituire completamente.

Ma che cosa significa? Che applicando questo indirizzo della giurisprudenza comunitaria al caso in esame, i limiti delle tabelle che abbiamo allegato possono integrare i limiti di quegli inquinanti (come gli idrocarburi) che non sono previsti dagli allegati IA e IB del dlgs 99/1992.

Ecco spiegate le critiche  all’articolo 41 del Decreto Emergenze: perché prevedere limiti rigidi per portare i fanghi in discarica o per bonificare un terreno inquinato e usare, invece, limiti più blandi (nel caso degli idrocarburi sicuramente) per utilizzare i fanghi ad uso agricolo visto che incidono sull’alimentazione di tutti noi?

Ma qui siamo alle interpretazioni (sia pure autorevoli sia da una parte che dall’altra) e il problema è che, dopo la sentenza della Cassazione, sono arrivate altre sentenze e provvedimenti regionali.
La sentenza del TAR Toscana, Sez. II25/07/2018n. 1078 ha affermato che: “L’applicazione pura e semplice ai fanghi delle CSC stabilite per il suolo costituisce misura sproporzionata rispetto al fine da conseguire, ed irrazionale in quanto i fanghi, presentando normalmente concentrazioni medie di sostanze superiori rispetto al suolo, se valutati sulla base dei parametri previsti quest’ultimo non sarebbero mai utilizzabili in agricoltura. Di conseguenza, al fine del controllo di quelle sostanze potenzialmente inquinanti e/o contaminanti che non vengono espressamente disciplinate nel D.L.vo 99/1992 il potere precauzionale, reso necessario dall’evidenziata lacuna normativa, può essere correttamente esercitato dall’Amministrazione regionale prendendo a riferimento, per le sostanze non considerate da quest’ultimo, i valori indicati dalla citata Tab. 1, che dovranno però essere riparametrati in aumento, tenendo conto dell’ammissibilità di una maggiore concentrazione nei fanghi, rispetto al suolo, di sostanze inquinanti.”
Insomma, per il Tar Toscana i limiti agli inquinanti come gli idrocarburi previsti per le bonifiche non si possono applicare ai fanghi in agricoltura.
La sentenza del TAR Lombardia n° 1782 del 20 luglio 2018, in contrasto con la sentenza del TAR Toscana, ha affermato che: “I fanghi ad uso agricolo debbono rispettare i parametri previsti dalla Tabella 1, all. 5, Titolo V, parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006” (QUI la tabella).

DUNQUE ALCUNE REGIONI, LOMBARDIA E TOSCANA, HANNO NORMATO L’USO DEI FANGHI PER CONTO LORO. RISPETTO A QUESTO QUADRO GIURISPRUDENZIALE E NORMATIVO REGIONALE, CHE COSA HA CAMBIATO  L’ARTICOLO 41?
Ha stabilito limiti a molti inquinanti fino ad ora non regolamentati dal dlgs 99/1992: idrocarburi (C10-C40) ≤1.000 (mg/kg tal quale), sommatoria degli  IPA elencati nella tabella 1 dell’allegato 5  al  titolo V  della  parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ≤6 (mg/kg  SS), PCDD/PCDF + PCB DL ≤25 (ng  WHO-TEQ/kg  SS),  PCB  ≤0,8  (mg/kg SS), Toluene ≤100 (mg/kg SS), Selenio ≤10 (mg/kg SS), Berillio ≤2  (mg/kgSS), Arsenico <20 (mg/kg SS), Cromo totale <200 (mg/kg SS) e Cromo VI<2 (mg/kg SS). Per cio’ che concerne i parametri PCDD/PCDF + PCB  DLviene richiesto il controllo analitico almeno una volta all’anno .
Ha introdotto un ulteriore parametro per consentire l’uso dei fanghi da depurazione in agricoltura “per il parametro idrocarburi C10-C40, il limite di 1000 mg/kg tal quale si intende comunque rispettato se la ricerca dei marker di cancerogenicità fornisce valori inferiori a quelli definiti ai sensi della nota L, contenuta nell’allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, richiamata nella decisione 955/2014/UE della Commissione del 16 dicembre 2008, come specificato nel parere dell’Istituto superiore di sanità protocollo n. 36565 del 5 luglio 2006, e successive modificazioni e integrazioni“.
Quindi, mentre la legge di conversione ribadisce la predominanza del D.L.vo 99/1992, aggiunge anche che per gli idrocarburi pesanti (C10-C40) la ricerca dei marker di cancerogenicità tiene anche conto di quanto “specificato nel parere dell’Istituto superiore di sanità protocollo n. 36565 del 5 luglio 2006“. 
Il Parere di questo istituto ha comportato l’inserimento (vedi sopra punto 1) dei limiti degli idrocarburi policlici aromatici come sommatoria delle varie tipologie di IPA possibili, e questa tipologia di idrocarburi è certamente quella più pericolosa.
Concludendo: l’articolo 41 è migliorativo se si guarda con riferimento al dlgs 99/1992 mentre, se si fa riferimento ai limiti delle bonifiche ex dlgs 152/2006, sicuramente per gli idrocarburi (C10-C40) non è migliorativo. Si tratterà di vedere, in sede di riforma degli allegati al dlgs 99/1992, come si farà sintesi su questa contraddizione.

LA NORMATIVA PREVEDE UNA DIFFERENZA TRA I FANGHI DA SCARICHI CIVILI E QUELLI DERIVANTI DA ATTIVITÀ PRODUTTIVE INDUSTRIALI O POSSONO ESSERE USATI ENTRAMBI INDIFFERENTEMENTE?
Se rispettano le condizioni che ho elencato all’inizio del dlgs 99/1992, sì. In più, oltre a questi limiti ora ci sono anche quelli degli altri inquinanti, prima non previsti, elencati dall’articolo 41 del Decreto Emergenze.

CON IL DECRETO EMERGENZE LA SITUAZIONE MIGLIORERÀ?
Il Decreto emergenze produce, sulla questione fanghi,  una norma chiaramente transitoria. La situazione potrà migliorare davvero solo se si riformerà il dlgs 99/1992.

IN UN PAESE COME IL NOSTRO, C’È IL RISCHIO CHE QUESTA FASE CARATTERIZZATA DA LIMITI DI LEGGE POCO RIGOROSI E DEFINITA “TRANSITORIA”, DIVENTI “DEFINITIVA”? QUALI LE MINACCE A LUNGO TERMINE PER LA SALUTE?
Se ci riferiamo al passato anche recente il rischio c’è, anche perché a me pare che all’interno di questo governo la Lega spinga nel mantenere i limiti stabiliti, per ora in emergenza, dall’articolo 41.

NEL CASO DELL’ART. 41, L’EMERGENZA SERVE ALLA POLITICA PER AGGIRARE IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE ?
Giuridicamente parlando, il principio di precauzione è un indirizzo ma non ha sempre un’efficacia immediata applicativa e deve essere interpretato dalla giurisprudenza. Una cosa è certa: andrebbe fatta un’analisi di impatto sanitario potenziale sia dei limiti attualmente fissati nell’articolo 41 ma anche per la futura riforma del dlgs 99/1992. Questo sarebbe un modo concreto di misurare l’applicazione del principio di precauzione.

RECENTEMENTE, ANCHE L’AVVOCATURA UE SI È ESPRESSA SUI CRITERI PER DECLASSIFICARE I FANGHI. QUALI LE CONCLUSIONI?
Le conclusioni dell’Avvocatura sono molto interessanti soprattutto rispetto al punto dove si afferma che gli Stati membri possono definire i criteri per escludere i fanghi dalla normativa rifiuti ma solo se dimostrano che non c’è rischio per salute e ambiente. Questo parametro dovrà quindi essere utilizzato anche per valutare sia l’articolo 41 del Decreto Emergenze, che la riforma del dlgs 99/1992.

Articolo 41 Decreto Emergenze

Nonostante il polverone sollevato dall’articolo 41, nessuno si è posto il problema della produzione dei “gessi di defecazione da fanghi di depurazione”, che non sono altro che fanghi stabilizzati con calcio e acido solforico.
Una questione da non sottovalutare perché, mentre i fanghi giuridicamente sono un rifiuto e sulla loro declassificazione si è espressa anche l’Avvocatura UE, i gessi non lo sono e possono essere usati in agricoltura senza troppi problemi.
Ci chiediamo: una volta riformata la normativa sui fanghi, per aggirare l’ostacolo finiremo col trasformarli tutti in gessi?

 Simona Tarzia

Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.

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