Arrampicata sugli specchi

 

Edoardo RixiHo sempre rispettato Edoardo Rixi, sin dai tempi degli albori politici nella Sala Rossa del consiglio comunale, poi come segretario della Lega, come consigliere regionale, vicepresidente della giunta Toti, parlamentare e infine sottosegretario, o viceministro, del ministro Danilo Toninelli, e perciò autorevole membro dell’esecutivo verde-oro. L’ho sempre trovato composto, avveduto, modesto, educato. Con quell’aspetto per bene che non poteva tradire il suo volto da bravo ragazzo. Ho persino glissato sullo scivolone delle spese pazze in Regione, vicenda in cui, chi più, chi meno, sono rimasti invischiati molti politici di tutti i partititi. E non perché immaginavo che a qualcuno, per sprovveduto che fosse, potesse sfuggire che si trattasse di una irregolarità passibile di qualche tipo di pena, quanto perché, in fondo, ognuno pensava che essendo quello l’andazzo, nel caso specifico si trattasse di non esagerare ma di onorare, sempre e comunque, gli usi e i costumi antichi dei nostri politici. Senza porsi il problema, magari, se, all’esterno, gli elettori non dovessero incominciare a domandarsi se, al contrario, quel chiedere il rimborso di scontrini discutibili e spese gonfiate, invece che a blanda attenzione, non fosse attribuibile a smania di potere o peggio a esibizione di impunità.

E poi di Edoardo Rixi, da semplice passeggiatore ed escursionista, ho sempre ammirato, e molto, quel suo amore per la natura e per la montagna che ne fa un alpinista di discreto livello. Quella sua passione per le ascensioni verso le vette, quel rigore e quello spirito di sacrificio, fisico e mentale, necessari per raggiungerle.

Senonché sono rimasto deluso quando ho letto il post, pubblicato sulla sua pagina Facebook, in cui solidarizza con il compagno di partito e sindaco di Pontinvrea Matteo Camiciottoli, condannato dal tribunale di Savona per aver proposto nel 2017, sempre su facebook, di fare scontare gli arresti domiciliari agli stupratori di Rimini «a casa della Boldrini», così «magari le mettono il sorriso». Condanna a un risarcimento di 20 mila euro destinati a Laura Boldrini che all’epoca era presidente della Camera, e quindi la terza carica dello stato, e al pagamento delle spese processuali. E Camiciottoli ha annunciato che contro la sentenza ricorrerà in appello anche se per lui, il pubblico ministero, Chiara Venturi, aveva chiesto una condanna a 8 mesi di carcere.

post Marco PreveIl viceministro e leghista doc, però è stato “beccato” dal collega de “La Repubblica” Marco Preve che gli dedica un post “UOMINI VERI. Il primo è un tizio che incidentalmente fa il sindaco ed e’ stato condannato per aver augurato uno stupro ad una donna che casualmente è Laura Boldrini. Il secondo è un tizio che incidentalmente fa il viceministro e invece che dire al sindaco che non si augura uno stupro a nessuno gli offre la sua solidarietà e nonostante sia un uomo delle istituzioni dice pure che il sindaco hater è migliore di mille sentenze. Incidentalmente il viceministro rischia una condanna a tre anni e 4 mesi per le spese pazze in Regione”. Con finale velenoso dello stesso Preve: “Diciamo che se gli andrà male ha già stabilito che una condanna non lo rende peggiore”. 

Del resto Rixi non si era fermato alla semplice solidarietà e aveva anche argomentato “Forza sindaco! Il lavoro che fai ogni giorno per i tuoi concittadini dimostra che persona per bene sei, più di mille sentenze di qualsiasi tribunale”. 

Tutto qui? Nemmeno per sogno perché non soddisfatto il viceministro ha cercato gloria in una specialità che probabilmente ha qualche cosa a che vedere con il suo spirito montanaro: l’arrampicata sugli specchi. Percio’ ha tentato in qualche modo di rispondere al giornalista del “La Repubblica” con quella che comunque è sembrata una precipitosa retromarcia: “Come sa lo stesso Camiciottoli, non concordo con quanto detto da lui, ma credo che quanto ha fatto come sindaco dimostri che è una persona migliore di come alcuni giornalisti lo dipingono. Possono fare ciò che vogliono ma non possono impedirci di pensare e di parlare. Preve se ne faccia una ragione, d’altronde se facessi come la Boldrini lui sarebbe sempre alla sbarra”.

Glisso sui toni che potrebbero apparire in qualche modo addirittura minacciosi e aggiungo che, come spesso succede, la pezza sembrerebbe addirittura peggio del buco. “Xe peso el tacon del buso” dicevano i montanari veneti. Come dire “In fondo è un bravo Cristo, che ha fatto solo una “belinata”. Anche perché, tentando un’estrema difesa in tribunale, Camiciottoli ci ha provato con la critica politica “se lei è così favorevole a un’immigrazione incontrollata, che include anche i delinquenti, allora forse ospitarli le avrebbe fatto piacere”. Altra prova estrema di arrampicata sugli specchi. In cui evidentemente alcuni rappresentanti della Lega pensano ormai di avere tutte le doti per poter eccellere.

Intenderei invece soffermarmi sulla preoccupante deriva del linguaggio istituzionale e del senso delle istituzioni e dello Stato, anche perché i rappresentanti delle istituzioni, pur in polemica fra loro, a mio parere non dovrebbero scordare che il ruolo che sono tenuti a interpretare in parecchi casi non consente loro di rendere pubblici ragionamenti che possano ferire non solo gli avversari politici ma anche le persone che dovrebbero in qualche modo rappresentare. Trovo, a mio modo di vedere gravissimo, per esempio, quel passaggio di Rixi rivolto probabilmente ai giornalisti, ma non solo: “Possono fare ciò che vogliono ma non possono impedirci di pensare e di parlare”. Come a difendere una libertà di espressione e di opinione che assume sempre di più le caratteristiche arroganti del dileggio e della diffamazione, oltre a liberare i più bassi istinti e quel senso aberrante di evacuazione di pancia. Come se a loro fosse consentito di vivere in un limbo dove tutto è permesso. In nome di un senso di impunità che sta facendosi via via e giorno dopo giorno un cancro in grado di minare ogni sorta di dialogo e confronto nel paese che governano in cambio di qualche comparsata in tv, qualche selfie sui social, likes a profusione e commenti osannanti e di parte.

Fa parte di questo quadro l’esibizionismo di questi giorni seguito all’arresto e allla traduzione in patria di Cesare Battisti. Con tanto di passerella del ministro dell’interno, il capitano leghista Matteo Salvini, in divisa della polizia di stato e giacca della polizia penitenziaria indossata dal ministro guardasigilli, il pentastellato Alfonso Bonafede. Avvocato, per servirvi. Con dibattito social sapientemente deviato dai loro comunicatori non tanto sulla esecrabile mania di protagonismo dei nostri nuovi politici ma sulla vittoria dello Stato sui terroristi rossi, riacciuffati dopo anni di vani tentativi da parte dei politici di prima e seconda repubblica, distratti se non addirittura conniventi.

Il mio amico social Giovanni Giaccone, giornalista e autore di “Autobiografia di Coso”, titolo più che mai visionario in mezzo a tanta confusione, scrive con piccata ironia: “ Nel giro di 24 ore due ministri trattano l’arresto di un pregiudicato come fossero sgherri borbonici, poco dopo uno dei due mette in rete un video che oltre al cattivo gusto e al montaggio degno di un bambino scemo, brucia l’identità di un poliziotto che lavorava sotto copertura. Nel frattempo un viceministro esprime solidarietà ad un sindaco del suo partito condannato per aver augurato lo stupro alla terza carica dello stato. Con la Dc ad ogni espisodio sarebbe caduto il governo”. E, oltre all’ironia, traspare ormai una palese rassegnazione verso un paese destinato ad un catartico inabissamento. Un paese in cui la realtà ha superato la più surreale delle immaginazioni. Un paese in cui coloro che una volta venivano pomposamente chiamati “servitori dello stato” sono in grado di superare per autonoma interpretazione i più guitti protagonisti di un Bagaglino di quart’ordine.

E vale per ogni ordine e grado. Prendiamo l’ultimo episodio, con trama degna di una gag d’avanspettacolo. Telefonata a palazzo Tursi per annunciare che nel giro di mezz’ora nella sede del Comune esploderà una bomba. All’altro capo del telefono un sedicente brigatista che chiede di liberare, appunto Battisti. Sarà stato, probabilmente, il solito buontempone in vena di scherzi, magari un dipendente comunale con poca voglia di lavorare, oppure qualcuno suggestionato da tutte queste comparsate televisive. In via Garibaldi piombano la polizia e gli artificieri con tanto di cani antiordigno alla ricerca di pacchi sospetti. La strada viene chiusa. L’edificio viene evacuato nel giro di pochi minuti. Escono tutti, tranne il sindaco Marco Bucci, che, indomito stakanovista, non ha nessuna intenzione di ubbidire agli ordini degli uomini della legge. Si giustificherà, in seguito, dicendo che tanto la mezz’ora era già passata e che lui doveva continuare lavorare, contraddicendo nei fatti i suoi due assessori, Stefano Garassino alla sicurezza e quello ai lavori pubblici Paolo Fanghella autori di due dichiarazioni in palese controtendenza rispetto a Bucci. “Non bisogna abbassare la guardia sul Terrorismo alla vigilia della commemorazione di Guido Rossa”, ha affermato Garassino. E Fanghella ha aggiunto “Questi allarmi non vanno sottovalutati, non vorrei che prima o poi qualcuna di queste minacce andasse a buon fine”. C’è da chiedersi che cosa sarebbe accaduto se nella nostra città ci fosse stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E se il sindaco Marco Bucci, anche in presenza della massima autorità dello stato, avrebbe egualmente dimostrato la stessa incoscienza e analoga sfrontatezza di fronte all’emergenza e alla richiesta delle forze dell’ordine di evacuare precipitosamente palazzo Tursi.

Al di là dei soliti commenti dei tifosi che hanno elogiato l’ eroica devozione maniacale al lavoro e l’imperturbabilità inglese di Bucci, il vecchio avversario Gianni Crivello, con ragione, lo incalza pubblicando un post sul suo profilo social in cui stigmatizza il comportamento del sindaco “Alle 11 una telefonata di un presunto portavoce delle Brigate Rosse annunciava “ALLARME BOMBA A TURSI”. In pochi minuti tutti gli uffici sono stati evacuati. Chi mi conosce sa che non amo la polemica in quanto tale, ma desidero ribadire che di fronte alle forze dell’ordine, ai VV.FF. che hanno il compito di applicare le procedure di sicurezza, tutti sono tenuti a rispettarle, e un sindaco, nonostante i suoi impegni, deve essere d’esempio e quindi non rifiutarsi di lasciare il proprio ufficio. Si tratta di correttezza istituzionale e civica nei confronti della città e in particolare di rispetto nei confronti dell’operato delle forze dell’ordine”. Insomma quel “sono il sindaco, veda un po’ lei” che nella situazione specifica assume tanto lo stesso tono di impunità’ del “Lei non sa chi sono io”. Cose da prima e seconda repubblica, addirittura ostentate con abnegazione in questa terza.

Un senso di impunità che ormai, dall’alto verso il basso, come se si trattasse di una malattia virale ha assunto i connotati di una specie di pandemia.

C’è ancora una vicenda di cui voglio parlare perché rappresenta chiaramente come la mancanza di buoni maestri e di ottimi esempi finisca per colpire tutti gli strati sociali. Al Cep l’esperienza della Pianacci del mio amico social Carlo Besana otto anni fa venne un po’ pomposamente definita su MicroMega da un sociologo, politologo e saggista dell’importanza del professor Pierfranco Pellizzetti “Un esempio di riformismo reale”. Per chi ne fosse all’oscuro, il Cep è passato, grazie all’opera di volontariato di alcuni abitanti, ad essere percepito come un esempio da fiore all’occhiello dei quartieri dormitorio popolari. Con la trasformazione da “Bronx del ponente” e l’acronimo Cep (Centro edilizia popolare) trasformato per merito di quel “Bronx” in Centro Elementi Pericolosi. Ma stiamo parlando di parecchi anni fa. Almeno ventitré. Perché nell’era post avvento di Carlo Besana, l’ex farmacista che ancora vi abita, e ne ha fatto un presidio e osservatorio con la Pianacci tutto è andato gradatamente migliorando, grazie anche al proficuo impegno di Don Gallo e dei suoi ragazzi. E soprattutto degli abitanti che calcando lo stesso  spirito di Carlo Besana hanno trovato una sorta di rinascita sociale dal basso. E di li, probabilmente la citazione professorale di esempio di riformismo reale.

Epperò anche le belle favole in questo mondo dove l’individualismo sempre più spinto sta prendendo il sopravvento facendoci perdere il senso dell’idea di collettività, mentre il confronto contrabbandato all’ennesimo potenza per l’esistenza delle tecnologie esiste sempre meno, anche le belle fiabe finiscono o rischiano di finire. Già a settembre dell’anno scorso il circolo aveva chiuso i battenti per una settimana a causa di alcune intemperanze di giovanissimi frequentatori della zona. Pareva che tutto si fosse risolto con una partecipata assemblea e il circolo aveva riaperto i battenti. Già allora Besana aveva parlato di una trasformazione della popolazione iniziale, spiegando che purtroppo anche la concezione di collettivita’ è andata modificandosi. E aveva aggiunto l’ex farmacista “Probabilmente la sensazione di qualche cosa di ormai acquisito spinge qualcuno a concepire anche i servizi della Pianacci nello stesso identico modo in cui in altri quartieri vengono percepiti i parchi, le crose, il servizio di raccolta dei rifiuti, in una città sempre più in balia del degrado”.

Pero’ dopo l’assemblea e le assicurazioni delle autorità, purtroppo gli stessi problemi di vandalismo si sono ripetuti ad opera di una gang di giovani teppisti con età che variano dai 12 ai 15 anni che sono entrati di notte nella struttura si sono impossessati di tre bombole antincendio e hanno messo a segno le loro bravate danneggiando l’interno e l’esterno. Le telecamere di sorveglianza dovrebbero consentire di risalire ai vandali, tutti minorenni. Comunque pare che prima di denunciarli gli amministratori del circolo abbiano cercato di incontrare i genitori ricevendo da loro quasi nessuna rassicurazione e anzi, in qualche caso, addirittura segnali di palese indifferenza. Come se gli stessi genitori volessero tutelare la prole nonostante gli evidenti segnali di disagio che causano altrettanto disagio alla comunità. In un mondo in cui, anche per la mancanza di buoni esempi, sembra essere diventato lecito difendere qualsiasi bisogno individuale, anche quelli che ledono i diritti della collettività’ Pianacci, ma anche le altre situazioni difficili nei quartieri ERP, rappresentano, probabilmente, solo la punta di un iceberg.

E per concludere c’è il caso di un altro mio amico social, Paolo Vanni, istrionico ex gestore del Berio Caffè che ha vinto il ricorso al TAR contro il concorso del Comune che aveva affidato la nuova gestione del locale ad un’altra societa’. La sentenza del consiglio di Stato diceva che entro il 14 gennaio avrebbe dovuto rientrare nella titolarità dei locali. Ma praticamente nulla è accaduto. E al Berio Caffe i nuovi gestori continuano a lavorare come se nulla fosse. Un tempo si parlava, forse solo ormai a sproposito della maledizione dell’abate Berio, a cui sembra che nel frattempo sia stata trovata adeguata corazza. Tanto che il Vanni qualche giorno fa si domandava sconcertato che cosa dovesse fare e con lo stesso sconcerto posta oggi “È trascorsa la prima settimana dalla comunicazione con la quale il Comune di Genova ci informava di voler eseguire la sentenza del consiglio di Stato pubblicata il 14 dicembre 2018. Nel frattempo il bar della biblioteca rimane aperto e continua ad essere gestito senza alcun titolo da Ristobest. L’avvocatura del Comune ha convocato per domani, venerdì 18 gennaio, gli avvocati per valutare la possibilità di un subentro consensuale (?). #notizieberio diventa da oggi il diario di questa storia infinita”.

 Il tutto in un clima di sempre più generale confusione, con un sottile filo legato dal senso di impunità crescente causato forse dall’ebrezza individualistica che qualsiasi regola a difesa della collettività sia da infrangere. Così è, se gli pare. Ognuno si scopre maestro, sui social e non, dalle vette sino alle periferie, di arrampicata sugli specchi.

Paolo De Totero

Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.

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