Doveva essere il 1985.
Vivevo a Torino e due amici del posto mi dissero della possibilità di conoscere Primo Levi, che periodicamente organizzava nella sua abitazione degli incontri con giovani studenti. Ero ben preparato, perchè avevo letto tutto ciò che aveva scritto.
Arrivammo in un austero palazzo di Corso Re Umberto e salimmo gli scaloni a quadro silenziosamente. Trovammo una porta socchiusa e ad attenerci lui, che ci fece accomodare informalmente su delle sedie in stile barocco foderate in pelle. Saremo stati in sei o sette al massimo. Al che iniziò a parlarci della sua attività di scrittore, molto diversa dalla sua vera attività, che era quella del chimico. Ci parlò di come, dopo l’esperienza della guerra e della prigionia nel lager, la letteratura fosse divenuta per lui una specie di consolazione, di “rubinetto”, proprio questa definizione usò. Lo ricordo vividamente, come fosse ora, parlarci in una oratoria semplice e di non emozione. Nessuno di noi si permise di fermarlo mentre parlava, nè di fare domande. In quel suo “non detto” si celava qualcosa di terribile, di cui lui per primo non aveva piacere di parlare. Percepii in quei pochi minuti trascorsi con lui la sua impossibilità di essere felice, ma il suo desiderio di inviare a noi, quei pochi giovinotti presenti quella sera, un messaggio che doveva essere anche un monito. Passarono pochi anni e si buttò nel vuoto da quella casa in cui ci aveva ricevuti.
Come in un brivido rivissi quella poesia e il suo monito.
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
Mauro Salucci è nato a Genova. Laureato in Filosofia, sposato e padre di due figli. Apprezzato cultore di storia, collabora con diverse riviste e periodici. Inoltre è anche apprezzato conferenziere. Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive di carattere storico. Annovera la pubblicazione di “Taccuino su Genova” (2016) e“Madre di Dio”(2017) . “Forti pulsioni” (2018) dedicato a Niccolò Paganini è del 2018 e l’ultima fatica riguarda i Sestieri di Genova.
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