Un impero dal nulla
Gregorio Fogliani nasce nel 1957 a Taurianova, in provincia di Reggio Calabria, e ancora giovanissimo emigra a Genova con la famiglia.
I suoi affari genovesi andranno presto talmente bene che, già nel 1978, dalla pizzeria di piazza Portello il business si allarga al Centro dei Liguri e alla mensa dell’Ansaldo. Finché, nel 1989, Fogliani è ormai pronto a fare il balzo e fonda QUI!Ticket Services SpA[1], la società che cambierà il suo nome nella più famosa QUI!Group[2].
Nel 1993 sbarca al WTC di San Benigno, poi al Lido di Corso Italia e quindi a Manin, in Villa dello Zerbino.
“Di pari passo con il fatturato cresce anche il ruolo imprenditoriale”, scrive sul suo blog dove riporta pure le cariche ricoperte nei vari enti del commercio: membro del consiglio di Unioncamere e consigliere della Camera di Commercio di Genova.
A segnare la svolta tecnologica del gruppo, però, saranno gli anni 2000, con la diffusione del nuovo servizio di buono pasto elettronico e soprattutto con l’ingresso nella gestione dei programmi di fidelizzazione e dei sistemi di pagamento.
È nel 2000, infatti, che QUI!Group crea uno dei circuiti di loyalty più grandi d’Europa e diventa partner di Poste Italiane per lo sviluppo del programma “Sconti Banco Posta” e partner della Cisl per la realizzazione della piattaforma di servizi e convenzioni ai tesserati, NoiCISL.
È lo stesso Fogliani, in un’intervista a Uomini &Business, a spiegare come funziona il sistema: “È un’autostrada dei servizi che si basa su un Pos e una card multifunzione in grado di sostituire il badge aziendale il carnet cartaceo di buoni pasto, con la possibilità di integrarvi numerose altre funzionalità come un programma di fidelizzazione con sconti nel circuito di esercizi convenzionati, il rilevamento presenze o il sistema di pagamento attivo su circuito MasterCard“.
Ad ottenere l’abilitazione di Bankitalia per operare come Istituto di pagamento è la società finanziaria del gruppo, QUI! Financial Services.
Stupisce che il 16 luglio 2018, nel pieno della bufera QUI!Ticket, da via Nazionale sia arrivato il rinnovo della certificazione Imel proprio a QUI! Financial Services che, travolta dal fallimento QUI!Group, a dicembre dello stesso anno sarà venduta a Sisal Entertainment SpA per circa un milione di euro.
Ad oggi, sono cinque in Italia i soggetti autorizzati a svolgere sul territorio europeo l’attività di Istituti di moneta elettronica – Imel – e a emettere carte prepagate.
State sereni!
Nel paio d’anni che precedono il crack conclamato, la grave situazione del gruppo passa sotto traccia tra sorrisi di consenso, mirabolanti comunicati stampa e accordi con le amministrazioni pubbliche.
Nel 2015, ad esempio, QUI!Group sigla un protocollo con Anci – l’Associazione nazionale dei Comuni italiani – per rinnovare e digitalizzare il welfare pubblico degli enti localo interessati. “Tutto ciò che va nella direzione di semplificare la vita ai cittadini e agevolare il lavoro dei Comuni costituiscono l’impegno che Anci e QUI!Group offrono ai Comuni”, è il commento dell’allora presidente dell’Anci, Piero Fassino.

“Il Gruppo Qui! Group chiude il 2016 con un fatturato dei servizi connessi al welfare per aziende e pubbliche amministrazioni a 550 milioni… Crescono i ricavi legati ai settori del digitale, con l’emissione di milioni di buoni pasto elettronici, e dei servizi innovativi di welfare, il cui fatturato è cresciuto del 260% nell’ultimo anno. Inoltre, l’ingresso nel programma Elite di Borsa Italiana dedicato alle migliori aziende del Paese ha avviato definitivamente il percorso del Gruppo verso un futuro ingresso in Borsa“. (QUI il comunicato stampa datato 13 giugno 2017).
Un trend inarrestabile riconfermato dall’azienda anche l’anno successivo: “Qui Group! ha chiuso il 2017 con un fatturato consolidato di 560 milioni… Crescono i ricavi legati al segmento welfare, con un incremento del fatturato del 20% rispetto al 2016 e una previsione di crescita del settore superiore al 100% per il 2018. L’aumento del fatturato, unito ad una significativa riduzione della posizione finanziaria netta (Pfn) del 23%, conferma la solidità del Gruppo, che si appresta a rafforzare la propria offerta e presenza su nuovi mercati in Italia e all’estero a cominciare dal Brasile dove la Qui Group! Brasil (che debutta a San Paolo nel 2015, NdA) a seguito dell’approvazione a istituto di pagamento da parte del Banco Central do Brasil, sta vivendo una fase di significativa espansione e rafforzamento delle diverse aree business” (QUI il comunicato stampa datato 20 gennaio 2018).




Queste le dichiarazioni. Poi è l’Armageddon.
Si parla di debiti per oltre 325 milioni di euro e di 600 lavoratori coinvolti, 450 già licenziati.
Un monumento alla precarietà.
Il crack
Oggi, in Italia, oltre il 40% dei lavoratori che pranzano fuori casa utilizza il buono pasto.
I dati statistici parlano di almeno due milioni e mezzo di persone, 900.000 solo nel settore pubblico, per un fatturato annuo che sfiora i 3 miliardi di euro e rappresenta lo 0,72% del Pil.
Un’anomalia in un mercato sano, quella di Qui!Group che, nonostante nel 2016 si porti a casa la gara “Buoni pasto ed. 7” per la fornitura del servizio ticket alla Pubblica Amministrazione in Piemonte, Liguria, Valle D’Aosta, Lombardia e Lazio, l’estate scorsa si è vista staccare la spina dalla centrale acquisti nazionale della PA – il Consip – perché “a partire da gennaio 2018, sono state trasmesse a Consip dalle amministrazioni utilizzatrici molte segnalazioni di disservizi per la mancata spendibilità dei buoni pasto spesi dai dipendenti pubblici”.
I tagliandi gialli sono carta straccia.




Dopo le verifiche ispettive seguite alle segnalazioni, il 13 luglio 2018 la consociata del Tesoro rompe il contratto e stabilisce “la risoluzione della convenzione Buoni pasto ed. 7 stipulata con Qui!Group SpA per reiterato, grave e rilevante inadempimento delle obbligazioni contrattuali”.
Il 6 settembre 2018, il Tribunale di Genova deposita il fallimento della società.
I sindacati lanciano l’allarme: si temono l’effetto domino sull’indotto – banalmente i creditori che sono circa 25.000 tra esercizi pubblici, negozi e centri commerciali – e i licenziamenti a catena nelle aziende del gruppo.
L’ultimo bilancio Qui!Group
I vertici di Qui!Group sapevano di navigare in cattive acque?
Di certo, le prime avvisaglie della crisi si erano manifestate agli esercenti già nel 2017, con i rimborsi dei ticket che non arrivavano in tempi ragionevoli.
L’azienda aveva giustificato il disservizio come un assestamento dei flussi di cassa, determinato dai tempi lunghi di pagamento della PA.
Tutto bene dunque? Anche no.
Quando, a luglio 2018, arriva lo stop di Consip, sono almeno sei mesi che, sulla scia di un accertamento del nucleo di Polizia Tributaria della GdF, la Procura di Genova indaga sulla società.
çLe ipotesi di reato, e si vocifera ci siano nomi di rilievo iscritti da pochi giorni nel registro degli indagati, sono quelle di falso in bilancio e bancarotta fraudolenta.
Ma c’è un altro sospetto sul quale gli inquirenti vogliono fare chiarezza, e cioè è la possibilità che i manager dell’azienda abbiano nascosto il dissesto finanziario per accaparrarsi anche l’appalto Consip “Buoni pasto ed. 8”. In questo caso, i reati configurati sarebbero più pesanti: frode in pubblica fornitura e truffa ai danni dello Stato.
Non solo.
Ipotesi più recente è che Fogliani abbia distratto dalle sue società, prima di dichiararle fallite, ingenti somme di denaro reinvestite nel clone brasiliano di Qui!Group, ovvero Qui!Group Brasil.
Un segnale che non fossero proprio rose e fiori lo aveva dato Bankitalia nel 2016, quando aveva bloccato l’emissione di carte di credito da parte della finanziaria del gruppo, Qui! Financial Services, quella riabilitata inspiegabilmente nel 2018.
Chi scrive sta a metà tra l’irritazione e lo smarrimento. Possibile che nemmeno Bankitalia si sia accorta di nulla?
Ma c’è un altro dettaglio che non deve sfuggire: a giugno 2018 l’assemblea dei soci approva il bilancio al 31/12/2017 con qualche milione di utile, salvo poi scriverne un altro “in sostituzione” ad agosto, una volta scoppiata la bomba.
È in questa seconda versione che spuntano le perdite di QUI!Group: oltre 200 milioni di euro!
E non è l’unica anomalia da passare al setaccio.
Sempre nel bilancio al 31/12/2017, risulta che il 12 dicembre dello stesso anno è stata creata una nuova società – Moody Srl[3] – che tramite “scissione parziale” ha acquisito parte del patrimonio sociale di QUI!Group, compresi 5 milioni di debiti.
Moody fallisce il 26 febbraio 2019. Altri 56 dipendenti si aggiungono al conto dell’inarrestabile emorragia del gruppo.
E che dire dei passaggi di denaro tra QUI!Group e QUI!Services?
Specialmente interessante, in questo caso, è la gestione dei pagamenti e degli accantonamenti effettuati in favore della società correlata, delegataria delle corresponsioni agli esercenti.
Si parla di accantonamenti che superano i 175 milioni di euro e di oltre 55 milioni già versati a QUI!Services. Ma i commercianti non hanno visto un euro.
Sempre nel bilancio riscritto ad agosto si legge: “Inoltre, all’esito di analisi interne condotte dalla Società con riguardo, in particolare, ai rapporti in essere con altre società del Gruppo, la QUI!Services Srl, è stata appurata l’esistenza di significative criticità in merito ai pagamenti che QUI!Services avrebbe dovuto effettuare in favore degli esercenti in forza della delegazione di pagamento che le era stata conferita dalla stessa QUI!Group. Più precisamente, è emerso che, nonostante la provvista di volta in volta fornita da QUI!Group a QUI!Services per il pagamento dei debiti verso gli esercenti, una parte di tali debiti non è stata soddisfatta dalla delegata e che, conseguentemente, la Società risulta essere ancora debitrice verso gli esercenti per i medesimi debiti”.
E non si tratta di quattro spiccioli.
Le stime di PricewaterhouseCoopers (PwC), la società di revisione indipendente incaricata della revisione contabile del bilancio QUI!Group, hanno condotto “all’accertamento di una passività derivante da tale fenomeno di circa 175,5 milioni di euro“.
Perché i vertici di QUI!Group non hanno verificato le inadempienze anche e soprattutto in seguito alle lamentele dei commercianti?
Perché hanno preferito scaricare la responsabilità sullo “Stato che paga in ritardo”?
Eppure i nomi dei soci che girano nelle visure sono sempre gli stessi.
“Non siamo una banca, siamo vittime anche noi”, si sono difesi a fine giugno 2018. Poi hanno corretto la contabilità.
Tutta colpa dei giornalisti
“Siete voi giornalisti che parlate male di QUI!Group, noi siamo una grande famiglia”.
Ci dicevano così alcune voci tra i dipendenti del gruppo. il 27 luglio 2018 mentre i sindacati erano in riunione con l’azienda e noi aspettavamo in via XX Settembre che qualcuno ci rilasciasse una dichiarazione.
Un messaggio reiterato, quello delle colpe dei giornalisti, tanto da intrufolarsi persino tra le righe del bilancio come una delle ragioni che hanno portato al suo restatement: “Inoltre, gli attacchi mediatici partiti a febbraio con Striscia la Notizia, nell’ultimo periodo si sono ulteriormente acuiti, generando un danno di immagine rilevante al business e muovendo gli esercenti ad una corsa all’incasso dei buoni in circolazione”.
Le attenzioni della Direzione Investigativa Antimafia
La questione del danno di immagine era già emersa, questa volta in una querela di Fogliani nei confronti dell’associazione Casa della Legalità, in relazione a un’articolo pubblicato sul sito omonimo che faceva riferimento alle attenzioni della Dia – la Direzione Investigativa Antimafia – sulla famiglia Fogliani di Taurianova, indicata nella Relazione Semestrale al Parlamento datata 2002 come “un terminale locale di reinvestimento di denaro di illecita provenienza“.
Lo scritto in questione si domandava quali fossero le origini dell’impero genovese legato a QUI!Group e perché nessuno avesse tentato di rispondere a questa domanda, soprattutto alla luce dei rilievi della Dia e dei numerosi contatti dell’azienda con gli enti pubblici.
La faccenda stupisce, perché sulla querela presentata da Gregorio Fogliani il Pm ha avanzato una richiesta di archiviazione – poi disposta dal Gip con decreto del 2010 – in quanto “tutti i fatti oggetto degli articoli oggetto di querela presentano certamente aspetti di pubblico interesse”.
Eppure gli affari della famiglia Fogliani sono andati avanti, i contatti con la PA pure, e nessuno che si sia fatto qualche altra domanda sulla provenienza di questo potentato locale.
Simona Tarzia
©riproduzione riservata
[1] Questa con sede a Roma. Un’altra azienda, denominata sempre QUI!Ticket Services SpA, è stata costituita a Genova il 18 aprile 2017, liquidata il 26 gennaio 2018 e infine cancellata il 17 maggio dello stesso anno.
[2] Del gruppo fanno parte anche QUI!Financial Services Srl, QUI! Network Srl, QUI! Business Srl, QUI! Services Srl (fallita), Welfare Company Srl (fallita), Più Buono Srl (in concordato), Paybay Networks (attraverso K2Pay Srl, entrambe fallite) e QUI!Group Brasil s.a.
[3] I muri del Mooody sono di proprietà di Azzurra 95 Srl, società immobiliare di Fogliani. Il patron di QUI!Group è uscito dalla porta e rientrerà dalla finestar? Attendiamo la decisione del Tribunale Fallimentare che si esprimerà in questi giorni.


Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.