A un anno dal blocco cinese sull’importazione dei rifiuti, l’Occidente rischia di trovarsi sommerso da un mare di plastica.
Ora che la Cina ha chiuso le frontiere, e che altri Paesi asiatici stanno programmando ulteriori bandi, anche in Italia rischiano di accumularsi rifiuti in plastica che in Oriente non vogliono più ricevere.
Un problema per nulla secondario per il nostro Paese. Secondo il report internazionale di Greenpeace, infatti, l’Italia è all’undicesimo posto tra i principali esportatori di rifiuti plastici al mondo: solo nel 2018, abbiamo spedito all’estero poco meno di 200 mila tonnellate di scarti di plastica. Per avere un’idea chiara del nostro export, si tratta di un quantitativo pari a 445 Boeing 747 a pieno carico, passeggeri compresi. Per la precisione, 197 mila tonnellate di plastica hanno varcato i confini italiani lo scorso anno, per un giro d’affari di 58,9 milioni di euro.
Gran parte degli scarti plastici europei – e italiani – fino allo scorso anno, erano caricati su navi e diretti verso la Repubblica Popolare cinese.
Un meccanismo che fino a una manciata di mesi fa, vedeva la Cina come partner privilegiato. Gran parte degli scarti plastici europei e italiani, infatti, fino allo scorso anno, erano caricati su navi e diretti verso la Repubblica Popolare cinese.
Contenitori, pellicole industriali e residui plastici d’ogni tipo, finivano a intasare i magazzini cinesi per poi – nella migliore delle ipotesi – essere riciclati. Un meccanismo che, poco più di un anno fa, si è interrotto bruscamente.
A UN ANNNO DAL DIKTAT DI PECHINO ECCO COSA È CAMBIATO
È stata una doccia fredda quanto, nell’estate 2017, il governo di Pechino ha notificato all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc-Wto)che da gennaio 2018 avrebbe vietato l’importazione di 24 tipologie di materiali da riciclare, tra cui la plastica.
Fino a quel momento, infatti, dall’Italia quasi un rifiuto plastico esportato su due era destinato proprio agli impianti cinesi. Dati Eurostat alla mano, sia nel 2016 che nel 2017, di tutti gli scarti plastici spediti fuori dall’Europa, il 42% circa è stato destinato al mercato cinese.
Per un valore economico di 6,4 milioni di euro e 7,8 milioni di euro, rispettivamente nel 2016 e nel 2017.
Quel che partiva dall’Italia con destinazione Pechino era il cosiddetto “fine nastro”, ovvero una serie di plastiche eterogenee, per intenderci lo scarto della raccolta differenziata di plastica. «Per capire perché esportavamo tanti rifiuti in plastica verso la Cina, e perché li esportiamo tutt’ora verso altri Paesi, si deve partire dall’analizzare la raccolta differenziata di plastica in Italia. Il problema nasce tutto da lì, dal fatto che in Italia si premia la quantità e non la qualità della raccolta differenziata». A dirlo Claudia Salvestrini, direttrice di Polieco, il consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene, che vigila sul corretto riciclo dei rifiuti di plastica. «Possiamo anche raggiungere il 90 per cento di raccolta differenziata, ma all’atto pratico si tratta spesso di plastica di bassa qualità, tanto che di quella raccolta differenziata posso avere più del 30% di materiali eterogenei di plastica da scartare».
E che fine facevano in Italia questi scarti della differenziata?
«All’epoca, si spedivano in Cina in impianti fatiscenti, spesso inesistenti, e ancor più spesso privi dei sistemi di sanificazione e di lavaggio» continua Salvestrini che, a capo di un consorzio che conta 4 mila soci, è spesso stata costretta a mettere il naso negli affari della criminalità organizzata e dell’esportazione illegale di rifiuti.
Facile il meccanismo: container pieni di plastica spediti dall’Italia alla Cina, che poi tornavano indietro in Europa sotto forma di oggetti (giocattoli, contenitori, perfino biberon per neonati) realizzati con plastica contaminata.
«Se la plastica eterogenea la mandi in un Paese dove non viene sanificata né lavata – continua Salvestrini – il risultato è un macinato contaminato che può a sua volta contaminare gli oggetti con cui sarà realizzato».
Un problema, quindi, che tornava indietro a effetto boomerang.
Ora il giocattolo s’è rotto.
Nel 2018, rispetto al 2016, la Cina ha ridotto dell’83,5% il volume di rifiuti italiani a cui concede di entrare nei suoi confini, accogliendo di fatto dal Belpaese solo il 2,8% del totale delle nostre esportazioni di scarti plastici.
Le navi con i rifiuti in plastica italiani dunque non partono più con destinazione Shanghai. Dati alla mano, infatti, dopo il bando cinese nel 2018 l’export di rifiuti plastici verso la Cina è sceso attorno all’8% del totale dell’export italiano verso i soli Paesi non Ue, vedendo il valore dell’export ridursi a 2,8 milioni di euro. «Tuttavia, le aziende avvezze ad esportare continuano a farlo, hanno solo cambiato indirizzi», precisa la direttrice di Polieco.
LA NUOVA ROTTA DELLE ESPORTAZIONI
Così la plastica che si accumula nelle piattaforme di riciclo italiane, dallo scorso anno ha preso nuove destinazioni. E ora che Cina ha chiuso le frontiere alle navi di rifiuti italiane, dove vanno a finire i nostri scarti di plastica? «Esportiamo soprattutto in Malesia e Vietnam», continua Claudia Salvestrini.
Stando ai dati Eurostat, infatti, sempre più navi partono dai nostri porti dirette verso la Malesia, che ha ormai sostituito la centralità cinese: rispetto al totale delle esportazioni fuori dall’Europa, se nel 2016 la Malesia era presente in classifica con percentuali irrisorie, e nel 2017 importava meno del 5% dei rifiuti plastici italiani, ecco che lo scorso anno il suo ruolo diventa centrale, importando circa il 20% degli scarti plastici spediti fuori dall’Ue.
Quale, quindi, la classifica degli Stati fuori dall’Europa a cui l’Italia manda oggi i suoi rifiuti in plastica?
Malesia (le cui importazioni nel 2018 sono aumentate del 195,4% rispetto al 2017), Turchia (+191,5% rispetto al 2017), Vietnam (in leggera decrescita rispetto al 2017 ma aumentato del 153% rispetto al 2016), Thailandia (+770%), Yemen e Stati Uniti.
DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA: «ESISTONO RISCHI CHE LA PLASTICA NON SIA TRATTATA CORRETTAMENTE»
Stando ai dati ufficiali di Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, da anni l’Italia invia fuori dall’Ue un terzo dei suoi rifiuti in plastica. Un enorme quantitativo di scarti che si imbarca su container e navi per varcare i confini del Vecchio Continente, teoricamente per essere riciclato.
La normativa a cui fare riferimento è il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006, n.1013.
Il principio è semplice: i rifiuti che escono dall’Europa possono essere esportati solo in Paesi in cui saranno trattati secondo norme equivalenti a quelle europee in merito al rispetto dell’ambiente e della salute umana.
«Non si deve dimenticare che prima di esportare un rifiuto lo si deve sottoporre a un dato trattamento, e soprattutto si deve avere contezza del tipo di trattamento cui sarà̀ sottoposto una volta giunto nel Paese di esportazione», commenta Roberto Pennisi, Sostituto procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, che aggiunge: «In assenza di questi due requisiti, qualunque esportazione è da considerarsi illegale».
In altre parole, chi spedisce rifiuti fuori dall’Europa deve dimostrare che nello Stato di destinazione “l’impianto che riceve il carico sarà̀ gestito in conformità̀ di norme in materia di tutela della salute umana e ambientale grosso modo equivalenti a quelle previste dalla normativa comunitaria”, si precisa nell’Articolo 49 del Regolamento n. 1013.
Tuttavia, ci sono dei dubbi sul fatto che questo accada sempre nella maniera più corretta. Quando gli scarti erano esportati in Cina, per esempio, false certificazioni raccontavano del corretto trattamento cui erano sottoposti gli avanzi di materie plastiche prima dell’esportazione, nonché dei pieni requisiti dei destinatari su territorio cinese.
«Si trattava di un vero e proprio delitto di attività organizzata finalizzata al traffico illecito dei rifiuti», precisa Pennisi e conclude: «Anche nei flussi attuali, potrebbe esserci il rischio che parte del materiale non sia riciclato seguendo i corretti standard».
SCARICA IL REPORT DI GREENPEACE: “LE ROTTE GLOBALI, E ITALIANE, DEI RIFIUTI IN PLASTICA”
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