Abbaiando alle stelle

Almeno nelle intenzioni – io presumo sempre che vogliano essere buone, perché non mi va di ammettere, a prescindere, la coscienza sporca e il pelo sullo stomaco – credo che avrebbe dovuto rappresentare la quadratura del cerchio.

25 aprileQuello che nel gergo politico del tempo che fu veniva definito il “trovare la quadra”. In realtà, a conti fatti, si è tramutato in un maldestro tentativo di conciliazione con l’intento di mettere, una volta tanto, tutti d’accordo sulle diverse sfaccettature dell’antifascismo/fascismo. Processo complesso, quello della conciliazione, di cui giovedì nella nostra città è andata in onda una rappresentazione per molti versi caricaturale. Percorso che avrebbe preteso un’identità condivisa basata su un comune sentire circa i fatti storici accaduti giusto 74 anni fa.
A mettere fine a una dittatura già traballante e all’occupazione degli alleati nazisti.
E comunque, probabilmente, un simile risultato presupporrebbe un punto di partenza diverso dalla retorica che per anni ci è stata propinata sulla liberazione e sulla lotta della resistenza. Sulla differenza fra vincitori e vinti. Tanto che sarebbe utile ripartire dalla consapevolezza di un paese, il nostro, trovatosi nel bel mezzo di una guerra civile protrattasi sino al 1948.

Esattamente così come lo ha descritto Giampaolo Pansa ne “I giorni dell’Aquila” e “Il sangue dei vinti”, facendo storcere il naso, alla storiografia ufficiale.Giampaolo PansaA quelli che lo stesso scrittore e giornalista chiama i “gendarmi della memoria”. Spiegava cinque anni fa Pansa parlando del suo lavoro, e a dieci anni di distanza dalla pubblicazione dei suoi libri: “Credo possa raccontare molto anche a questa Italia di oggi cosa sia stato quel conflitto civile che è durato sino al ’48. Perché io sono convinto che la guerra intestina sia finita con il 18 aprile del 1948 quando De Gasperi, vincendo le elezioni, mise il Paese su un binario di tranquillità”.

Epperò, ritornando al 25 aprile, giorno in cui lo stato celebra la Liberazione, e la chiesa ricorda San Marco evangelista, occorrerebbe davvero mettersi d’accordo con una sorta di storiografia condivisa ed ufficiale che non consenta, una volta per tutte, che ciascuna parte rispolveri e ricordi solo quella che gli fa più piacere. Una versione onnicomprensiva e ufficiale, basata anche su una sorta di revisionismo. Altrimenti anche gli sforzi come quelli pur significativi registrati giovedi’ in piazza Matteotti, fra i rappresentanti istituzionali delle amministrazioni di centrodestra – a forte trazione leghista – e l’associazione dei partigiani finiranno per lasciare il tempo che trovano risolvendosi in un’effimera dimostrazione di buona volontà che lascia la diffusa sensazione di una presa in giro pre-elettorale. Il tutto con una incombente retorica caricaturale che sembra tanto un abbaiare alla luna. Anzi alle stelle. Dove abbaiare alla luna è un’espressione che viene utilizzata con il significato di lamentarsi inutilmente, agitarsi senza scopo, arrabbiarsi contro qualcuno che non è intenzionato ad ascoltare (o non è in grado di capire) ed espressioni simili. Si tratta sostanzialmente di un comportamento che viene attribuito a coloro che fanno qualcosa di inutile, senza alcun effetto la cui origine è collegata al fatto che, secondo una vecchia credenza popolare, i cani sono disturbati dalla luce della luna, e pertanto cercano di scacciarla abbaiandole contro. E come se ancora non bastasse, c’è stata persino quella gaffe sulle stelle di chi non conosce la storia della resistenza ma pretende di parlarne egualmente… già la storia.

Mino Ronzitti
Mino Ronzitti

Devo dire, a onor del vero, che sino a qualche anno fa si erano registrati una serie di tentativi per arrivare ad una sorta di storia patria condivisa su quegli eventi.
Con la politica dei piccoli passi, a seguito di un doloroso – doloroso per alcuni aderenti all’Msi e il passaggio ad An- congresso/svolta di Fiuggi dove nel 1995 Gianfranco Fini decise di abbandonare i riferimenti ideologici al fascismo al fine di qualificarsi come forza politica legittimata a governare.

E tredici anni dopo venne a Genova per celebrare la Liberazione  l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per tenere l’orazione al Ducale. E Napolitano accettò di tagliare il nastro in quella sala di Villa Migone dove venne firmata la resa, dove il generale tedesco Meinhold consegnò la città ai partigiani a patto di non spargere altro sangue, con la benedizione del Cardinale Boetto. Unico caso in tutta Europa in cui truppe regolari firmarono una resa a organizzazioni partigiane. Non a caso ricordava Mino Ronzitti attuale presidente dell’ILSREC (Istituto Ligure per la storia della resistenza e dell’età contemporanea ) e in quegli anni presidente del consiglio regionale – anche lui giovedì a corona alle spalle di Bucci e Toti, al fianco delle guardie della memoria partigiane – : “Il generale Meinhold ebbe una grande titubanza, si fermò in quella stanza 4 ore prima di firmare. E dopo, in tedesco disse: “So di compiere forse il gesto più difficile della mia vita e di mettere fine alla mia carriera, ma non posso sacrificare altre vite dei miei uomini”. Poche ore dopo è stata decretata la sua condanna a morte e il suo interprete si suicidò. Non c’è dubbio che il generale abbia fatto prevalere il valore umano rispetto al valore della divisa, la responsabilità del capo dei suoi uomini rispetto a quella del comandante”.
E osservava lo stesso Ronzitti sulla richiesta formulata da Gianni Plinio a Napolitano di ricordare anche i vinti nel corso dell’orazione per fare un altro passo avanti verso la pacificazione: “La storia va sempre ricordata tutta, le pagine belle e quelle brutte. Per me il 25 aprile è tra le pagine più belle, ma la storia è fatta anche dalle altre. Per questo penso che la memoria di chi è morto credendo in un ideale, per quanto portatore di tragedie e di principi lesivi della libertà, non possa essere disconosciuta. E ciò perché non solo la pietà umana, ma anche la dignità di ogni uomo sono valori su cui si fonda la democrazia. Non sono temi su cui si può fare propaganda».

Giorgio Napolitano
Giorgio Napolitano

E Napolitano in quella occasione non si fece pregare tracciando una specie di solco: “All’inizio dello scorso decennio, è apparso un saggio storico di non comune impegno e profondità, dovuto  a Claudio Pavone, nel quale si sono messi in evidenza i diversi volti della Resistenza, e in particolare, accanto a quello di una guerra patriottica, quello di una “guerra civile”. Tale profilo è stato a lungo negato, o considerato con ostilità e reticenza, da parte delle correnti antifasciste. Ma se ne può dare – Pavone lo ha dimostrato – un’analisi ponderata, che non significhi in alcun modo confondere le due parti in lotta, appiattirle sotto un comune giudizio di condanna o di assoluzione. E questo vale anche per i fenomeni di violenza che caratterizzarono in tutto il suo corso la guerra anti-partigiana e da cui non fu indenne la Resistenza, specie alla vigilia e all’indomani della Liberazione. Le ombre della Resistenza non vanno occultate, ma guai a indulgere a false equiparazioni e banali generalizzazioni; anche se a nessun caduto, e ai famigliari che ne hanno sofferto la perdita, si può negare rispetto: un rispetto naturalmente maturato, col tempo, sul piano umano. Insomma, è possibile e necessario raccontare la Resistenza, coltivarne la storia, senza sottacere nulla, “smitizzare” quel che c’è da “smitizzare” ma tenendo fermo un limite invalicabile rispetto a qualsiasi forma di denigrazione o svalutazione di quel moto di riscossa e riscatto nazionale cui dobbiamo la riconquista anche per forza nostra dell’indipendenza, dignità e libertà della Nazione italiana. E a cui dobbiamo anche il contesto di rispetto della nostra sovranità entro il quale fu elaborata la Costituzione repubblicana”.

Sergio Mattarella
Sergio Mattarella

Ecco, a me pare che undici anni fa tutto risultasse abbastanza chiaro.
Epperò tra sovranismi, populismi, fake news, “bestie” varie, tanta, forse troppa, comunicazione, tra selfie, sovraesposizione mediatica e dichiarazioni propagandistiche egoriferite, nel bel mezzo di tanta confusione tutto farebbe pensare che la strada, almeno un po’, sia stata persa. Prova ne potrebbe essere quella lettera scritta alle Camere dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo essersi visto costretto a pubblicare la legge sulla Legittima Difesa proprio il giorno dopo la celebrazione della Liberazione. Oppure le esternazioni di Ronzitti, come presidente dell’ILRSEC nel corso delle, ultime celebrazioni del giorno della memoria sui pericoli di un fascismo sempre montante seppure latente. Per finire con il recente invito ai ministri, rivolto  sempre da Ronzitti in consiglio regionale, nel corso della cerimonia del 25 aprile, ad essere coerenti con la Costituzione.
Presa di posizione a seguito della dichiarazione del vicepremier Salvini che non avrebbe partecipato a nessuna cerimonia. E di lì alla farsa del “volemose bene”, consumatasi giovedì mattina in piazza Matteotti, il passo è stato non solo brevissimo, ma persino facilmente prevedibile.
Con Toti e Bucci a portare i saluti in piedi, “incorniciati” da due partigiani ottuagenari seduti al loro fianco, quasi si trattasse di quelle due sentinelle della memoria di cui parlava Pansa. Messi lì per non consentire ai nostri rappresentanti istituzionali di sgarrare oltre.

Così a distanza di qualche minuto tutto sui social – che poi ormai rappresentano la percezione del mondo più o meno reale che ha la “ggente” –  tutto, dicevo, è ritornato come prima.
Prima della prova pacificazione. Ma anche molto, molto prima, di quel 2008 a cui facevo riferimento.
Insomma, il post divisivo di Mario Tullo, che poi semplicemente altro non voleva essere se non un ricordare che grazie alla democrazia tornata in Italia dopo il 25 aprile anche Salvini, il capitano, può permettersi di dire cose non perfettamente in linea.
Perciò “ rassegnati o nel 1945 ti avrebbero detto consegnati”. Così tutto il miracolo messo su a melassa e caramello si è miseramente sciolto. Spazzato via lo zucchero è ricomparso il quadro di sempre.

Gianni Plinio
Gianni Plinio

Con Gianni Plinio, passato da Fratelli d’Italia a CasaPound, di nuovo sulla breccia a dare un po’ di fuoco alle polveri recriminando sull’atteggiamento pubblico di Bucci e Toti.
Aveva chiesto loro di ricordare il sangue dei vinti.  A presidente della Regione e Sindaco hanno preferito evitare per non rischiare di incorrere nei fischi. Perciò Plinio è tornato alla carica. “È grave che né il sindaco Bucci e neppure il presidente Toti abbiano speso una sola parola per ricordare anche il sangue dei vinti. Così come è penoso che il Comune di Genova e la Regione Liguria non abbiano deposto corone anche al Sacrario della Rsi nel cimitero di Staglieno ove sono tumulati  1500 Caduti”. Già i caduti della Repubblica Sociale Italiana, proprio la  fascia tricolore indossata dal consigliere delegato Antonio Sergio Gambino per la commemorazione dello scorso anno aveva generato il casus belli in consiglio comunale e le richieste al sindaco di dissociarsi su cui lo stesso Bucci ha fino ad oggi tergiversato.

Ed è lo stesso Plinio a ricordare che qualche tempo fa, giusto una quindicina di anni fa, il clima sulla pacificazione era ben altro: “Anche quei caduti erano dei genovesi e degli italiani: alcun i giovanissimi. Li andremo ad onorare domenica mattina con una santa messa in suffragio promossa dalla Associazione Famiglie Caduti e Dispersi Rsi. Giova ricordare che all’epoca della Giunta Biasotti, come si conviene tra persone civili, la Regione Liguria deponeva corone sia sui cippi partigiani sia al Sacrario Rsi senza che nessuno avesse qualche cosa da ridire. Giudichino, poi, gli elettori soprattutto di centrodestra, il silenzio di Bucci e Toti di fronte ad uno striscione offensivo e minaccioso come quello inalberato in piazza Matteotti dai soliti nostalgici della guerra civile. Svista o altro?”. Forse altro, tenuto presente che il panorama nel paese è cambiato e che lui nel caso specifico non parla come rappresentante di An, ma di Casapound. E insomma in tema di passi avanti, o indietro, mi sembra che ci sia una bella differenza.
E comunque sia la polvere spazzata sotto al tappeto per commemorare la giornata della Liberazione è venuta fuori.

Franco Senarega
Franco Senarega

Perché c’è lo striscione portato in corteo e improntato all’attualità politica che recita “Ladro, mafioso e fascista. In una parola: leghista” che non è stato gradito dagli esponenti della Lega che hanno partecipato alla marcia verso Matteotti. Gia’ quella mafia che regolarmente riaffiora nella politica e nell’imprenditoria. E l’equazione mafia=fascismo è un attimo.
E poi, come se non bastasse, c’è quello striscione rinvenuto sul ponte di Uscio. Quello che dice “Salvini, attento, ancora fischia il vento”. Con tanto di stella a cinque punte. E a questo punto la fierezza della Lega sta tutta nella reazione social del capogruppo del consiglio regionale Franco Senarega, che fieramente stigmatizza, le minacce al Capitano. Ma involontariamente pesta una cacca. “Il 25 aprile in Liguria si è aperto con uno striscione dei “democratici’ che seminano odio e minacciano il ministro Matteo Salvini appeso nel centro di Uscio. Il testo era corredato da una stella a cinque punte simbolo dei terroristi delle Br durante gli anni di piombo. Secondo quanto hanno riferito i carabinieri che hanno rimosso lo striscione, gli autori dell’inquietante gesto hanno agito la notte scorsa. Sul posto sono intervenuti anche gli investigatori della DIGOS che hanno avviato un’indagine per risalire ai responsabili. Non ci fate paura ci fate  solo pena”.

In realtà la cacca calpestata… è la stella a cui si riferisce Senarega. Il simbolo delle brigate Garibaldine e non delle Br. Questione di un cerchio, messo all’interno della stella o a racchiuderla. E il povero Senarega, dando una dimostrazione di una preparazione politica zoppicante, ha finito per caderci con mani e piedi. Così l’ANPI che di compromessi per questo evento parrebbe averne dovuti ingoiare parecchi, tolta la sordina ha potuto cercare di suonare la gran cassa. Piu’ forte, tanto per continuare quella pantomima del gioco delle parti. Anche se con le stelle, quelle circondate da un cerchio, quelle contenenti un cerchio, quelle che sono cinque, persino con le stelle di Negroni – che voglion dire qualità – occorrerebbe andarci cauti.

Marco Bucci
Marco Bucci

L’ANPI comunque dirama un suo comunicato in cui fa valere i suoi passi nel tentativo di pacificazione, ovviamente mantenendo ferme le sue discriminanti: “Grottesche iniziative della destra e di certi leghisti di fronte a un grande 25 aprile – dicono all’Anpi -.
Non c’è niente da fare: la grande partecipazione alle manifestazioni del 25 aprile in tutta Italia, con decine e decine di migliaia di persone, 10 mila solo a Genova, in piazza per ribadire che questo è e resterà un paese antifascista e democratico, ha disturbato i nostalgici del periodo più nero, in tutti i sensi, del nostro paese e chi pensa di alimentare consensi elettorali sulle derive estremistiche dei più ignoranti. 
Ignoranti, certo: e anche grotteschi nelle loro iniziative. Non potremmo definire altrimenti il capogruppo leghista in consiglio regionale Franco Senarega che, diversamente dai rappresentanti del suo stesso partito che hanno partecipato alle iniziative commemorative in tutta la Liguria, e che ringraziamo, ha voluto dimostrarsi al servizio permanente del suo leader e ministro dell’Interno, che ha invece cercato di sminuire, inutilmente, il significato unitario di una grande giornata. E, anche in vista delle prossime elezioni nel comune di Recco, Senarega ha pensato bene di diffondere ieri pomeriggio una fotografia di uno striscione appeso ad Uscio in cui, sebbene con un riferimento a Matteo Salvini che poteva essere evitato, si onorava la Resistenza con la stella simbolo delle brigate garibaldine. Senarega però lo ha spacciato, da ignorante, come il simbolo delle Br, come si è affrettato a diffondere in un comunicato che invocava interventi del “suo” ministro, altrettanto pronto a rilanciarlo. Peccato solo che qualche testata informativa non abbia approfondito e abbia solo rilanciato, in un primo tempo, il comunicato di Senarega: al quale consigliamo di guardare, nel caso, tutte le immagini delle bandiere portate in piazza ieri, con tante orgogliose stelle; oltre che leggersi qualche libro di storia. Solo ignobili, oltre che ridicoli, sono invece i militanti di Azione Frontale che hanno appeso in corso Europa a Genova uno striscione analogo a quelli visti in altre città. Non si può riservare nessun onore a chi provocò 330 mila morti e 130 mila tra i civili: tutti italiani, vittime della guerra voluta dal fascismo. In conclusione, Anpi Genova vuole ringraziare tutti: le donne e gli uomini, i ragazzi e gli anziani, che hanno festeggiato il nostro 25 aprile. E rilancia un’idea: più storia, più informazione, meno strumentalizzazioni, per restare un paese democratico ed essere, tutti, migliori”.

Insomma, che brutta figura, per il capogruppo regionale della Lega, politico che non è nemmeno di primo pelo. Mentre qualcuno spiattella la teoria sempre valida degli opposti estremismi. Quella del Guccini, Francesco, cantautore, che diceva “son socialdemocratico anche io. Anche io sono contro gli opposti estremismi”. E allora tutti socialdemocratici del bel tempo che fu? Roba da prima repubblica? Azzarderei, con i tempi che corrono, un magari.
Comunque… tutto finito e arrivederci il prossimo anno con un nuovo tentativo di conciliazione/pacificazione?

Gianni Crivello
Gianni Crivello

Neanche per sogno, perché terminato il clima di festa e avvicinandosi il primo maggio, altra festa tradizionalmente della sinistra, per Bucci c’è in agguato un’altra resa dei conti sul solito tema dell’ antifascismo.
Della serie: “credeva di essersela sfangata con qualche generica parola di saluto dal palco di piazza Matteotti, sotto l’attenta sorveglianza delle due guardie ottuagenarie della memorai partigiana?” Ma neanche per sogno.
Crivello, suo antagonista alle ultime elezioni, va ancora un po’ di melassa: “Ieri è stata una bella manifestazione! Genova ha celebrato il 25 Aprile con una partecipazione significativa di cittadini, con molti giovani che hanno sfilato in un corteo colorato, cantando canzoni e slogan che esaltavano la Resistenza, la Costituzione, la Democrazia. Tutto in maniera molto composta e civile. Nessuna contestazione. Nessun fischio. Bucci e  Toti hanno fatto la loro parte e la Piazza ha apprezzato. Giovanni Maria Flick ha fatto un’orazione ufficiale di grande valore, riaffermando i principi della memoria”.

Poi passa al burro. Che qualche cosa vorrà anche dire. E alla pratica successiva: “Abbiamo atteso il giorno dopo l’anniversario della Liberazione per ribadire che le parole espresse in piazza Matteotti devono trovare conferma nell’agire politico e istituzionale di tutti i giorni.Chiediamo a Bucci che intervenga nella vicenda “Carleo”, un Presidente di Municipio, che rappresenta le istituzioni del Levante, non può esaltare Mussolini. Si tratta di dichiarazione di stampo fascista, contro la legge e contro la Costituzione, un’offesa grave alla Resistenza e alla Democrazia.
Il Sindaco intervenga! La Lista Crivello  del Levante, come previsto dal regolamento, raccoglierà le firme affinché in Consiglio Municipale, il Presidente spieghi ai rappresentanti delle istituzioni e ai cittadini il suo sconcertante comportamento. Il nostro è innanzitutto un appello ai rappresentanti del Pd e del Movimento 5 Stelle perché si possa procedere insieme verso tale obiettivo, per riaffermare i valori condivisi dai quali nessuno si può sottrarre”.

PIF In guerra per amore
PIF, “In guerra per amore”

Eccolo lì il 25 aprile quello di tutti i giorni con cui ci dobbiamo rapportare. Quello dei fatti che dovrebbero seguire consequenzialmente e coerentemente alle belle parole. Alle promesse di pacificazione, alle diverse retoriche sulla Liberazione che dovrebbero convivere. Quelle del “ci siamo liberati da soli”, quelle de “la resistenza è stata solo un patrimonio della sinistra”, quella de “ la resistenza come la Costituzione sono un patrimonio di tutti”, quella del “bisogna anche onorare il sangue dei vinti”, quella che “sul sangue dei vinti sulla guerra civile e sui partigiani non sono possibili false equiparazioni e non si fanno sconti”. Quella del “Quanta, troppa  retorica quando ci hanno liberato gli americani”, quella del “Se non fossero sbarcati loro ci sarebbero ancora le camicie nere”. A tale proposito avrei da suggerire a tutti la visione di un bel film di Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto. Un film del 2016 che si intitola “In Guerra per amore” e ho visto in tv, RaiTre, proprio ieri sera.
Pif, a margine di una storia d’amore, racconta in maniera romanzata della Liberazione della Sicilia da parte degli americani, attingendo al rapporto Scotten, secondo cui gli americani furono aiutati dalla mafia e a loro volta si impegnarono a non destabilizzarla in Italia.
E da lì Pif fa intendere che in politica e imprenditoria e in economia derivi gran parte dei nostri mali. Una tesi sulla quale al momento non esisterebbe una assoluta condivisione storica. Eppero’ assolutamente in tema e d’attualità, visto che anche di mafia e di pericolo di infiltrazioni nel mondo economico e della politica ha parlato il presidente emerito della corte costituzionale Giovanni Maria Flick nella sua orazione a Genova. Come se non bastasse le dimissioni o meno di un viceministro con accuse che sempre al rapporto con i mafiosi ci riportano, potrebbero far cadere il governo. Mentre nel contempo il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini ha preferito catapultarsi a Corleone per inaugurare il commissariato di polizia e promettere ai giovani che debellerà la mafia. Cosa magari non probabile ma possibile. Basterebbe che la politica non scendesse a compromessi e non ci facesse affari. Ritrovando, magari regole, condivisione ed unità di intenti. Proprio come dovrebbe fare per la Liberazione.

Giona

Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.

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