Maxiprocesso “Mandamento Jonico”: dal rito abbreviato 35 condanne

Reggio Calabria – Si è concluso ieri, con una serie di pesanti condanne, il primo grado del maxiprocesso “Mandamento Jonico”.
Al gabbio 35 soggetti appartenenti alle cosche più influenti del reggino, per i quali il GUP del Tribunale di Reggio Calabria, Filippo Aragona, nonostante il rito abbreviato preveda una riduzione di un terzo secco, ha disposto pene che arrivano fino ai vent’anni di carcere.
Tra i condannati si legge anche il nome di un ex consigliere comunale di Locri, l’avvocato Giuseppe “Pino” Mammoliti.
Cinque sono state le assoluzioni: quella di Giuseppe Li – chiesta dal PM Francesco Tedesco -, e poi Mario D’AuriaLeonardo Della Villa, Pasquale Dieni e Vincenzo Mastroianni.

LE CONDANNE: OLTRE QUATTRO SECOLI DI CARCERE PER I PRESUNTI BOSS
Antonio Cataldo cl. ’56, Francesco Cataldo, Renato Floccari, Alberto LatellaSaverio MaisanoDomenico Antonio Moio, Rocco Morabito cl. ’47 , Rocco PerreFrancesco Raschellà, Giuseppe Romeo, e Bruno Zucco, sono stati condannati tutti a vent’anni di carcere.
Sedici anni invece, gli anni previsti per Pasquale Barbaro, Attilio Giorgi, Giuseppe Morabito cl. ’78, Vincenzo Pedullà, e Domenico Zucco cl. ’65.
Quattordici per Giovanni Andrea Cuzzilla, Andrea FloccariCandeloro Lia, Domenico Nucera, Antonio Leonardo Romeo, Stefano Romeo, Lorenzo Domenico Stelitano, Salvatore Ursino, mentre per  Salvatore Vadalà e Leonardo Zucco la pena scende a dodici anni.
Ancora.
Otto anni a Pietro Casili, Antonio Cataldo cl. ’64 e Giorgio Macrì; sei a Maurizio Maviglia; quattro anni e otto mesi a Leonardo Ursino, e  quattro anni tondi per Pasquale Aligi e Antonino Romeo.
Infine, tre anni e quattro mesi a Francesco Trimboli e tre anni per Giuseppe “Pino” Mammoliti.

L’OPERAZIONE “MANDAMENTO JONICO”
Eseguita nel luglio 2017 a Reggio Calabria, Roma, Milano e Genova, l’operazione Mandamento Jonico, coordinata dalla DDA reggina, ha posto nel mirino del ROS 168 soggetti poi rinviati a giudizio per i reati di associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, sequestro di persona, rapina, produzione e traffico di stupefacenti, trasferimento fraudolento di valori, rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio, abuso d’ufficio, truffa, frode nelle pubbliche forniture e turbata libertà degli incanti, tutti con l’aggravante della finalità di agevolare l’organizzazione mafiosa.

Le indagini, coordinate dal Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, hanno riguardato le cosche operanti nei tre mandamenti (tirrenico, centro e jonico) in cui è suddivisa la Provincia di Reggio Calabria, con particolare rilevanza per quelle del mandamento jonico, facendo emergere uno spaccato completo delle dinamiche associative delle più importanti articolazioni di ‘ndrangheta.

Fonte: Relazione Semestrale DIA II 2017

Sono state individuate le gerarchie, gli organigrammi e le dinamiche associative dei principali locali della provincia reggina: di Roghudi, Condofuri, S. Lorenzo, Bova, Melito Porto Salvo, Palizzi, Spropoli, S. Luca, Bovalino, Africo, Ferruzzano, Bianco, Ardore, Platì, Natile di Careri, Cirella di Platì, Locri, Portigliola, Saline, Montebello Jonico e S. Ilario (rientranti nel Mandamento Jonico); di Sinopoli (Mandamento Tirrenico), nonché delle cosche reggine Ficara-Latella e Serraino.

Ciò ha consentito l’aggiornamento della conoscenza di regole e rituali della ‘ndrangheta, individuando persino le nuove doti di “Cavaliere di Cristo”,“Crociata”e “Stella”, e confermando l’operatività di una struttura sovraordinatacon le relative cariche, istituita allo scopo di accrescere il prestigio dei 5 locali che la compongono – Ardore, Antonimina, Ciminà, Cirella di Platì e Canolo-, e di migliorare l’efficienza operativa delle articolazioni locali, extra-regionali, nazionali ed estere.

In tale contesto inoltre, sono state accertate le modalità di funzionamento dei “tribunali” di ‘ndrangheta e le procedure dei giudizi, in capo agli affiliati, sospettati di violazioni, nonchéle regole applicabili in caso di faida.
È stata, poi, documentata l’infiltrazione nel controllo degli appalti pubblici, banditi per opere infrastrutturali sul territorio, mediante la turbativa di gare o l’imposizione di subappalti in favore di ditte controllate dalle cosche.
A conclusione delle attività sono state sequestrate 10 imprese operanti nel settore edile e del movimento terra, esercizi commerciali e beni immobili, per un valore di circa 30 milioni di euro.

Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.

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