Genova – In 300 hanno firmato un esposto alla Procura della Repubblica di Genova contro lo spaccio in Centro Storico. Sono i commercianti e i residenti che denunciano con un lungo elenco di date e luoghi come “la malavita presidia i vicoli sotto l’occhio delle telecamere”.
Chi prova a reagire viene minacciato col gesto inequivocabile delle dita che scorrono da un lato all’altro del collo: “Ti taglio la gola”.
Una situazione invivibile.
Per tentare di rispondere a questo allarme, il M5S genovese ha organizzato un convegno nel Salone di Rappresentanza di Tursi sul tema “Spaccio nel Centro Storico: quali possibili soluzioni?”.
Obiettivo quello di mettere in contatto i residenti e gli esperti.
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Il primo nodo da affrontare, quando si parla dello spaccio in Centro Storico, è quello della custodia cautelare in carcere e delle cosiddette porte girevoli.
Nella pratica? I pusher arrestati e subito mollati. Un problema non da poco anche per il giudice penale.
Con la Sentenza Torreggiani, nel 2013 la Corte EDU ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Si parla di trattamenti inumani o degradanti subiti dai ricorrenti, sette persone detenute per molti mesi in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione. Una sentenza pilota che ha chiamato il nostro Paese ad adottare rimedi entro un anno scatenando la Legge Svuotacarceri, una riforma che pone dei problemi all’attività repressiva contro lo spaccio.
“Non mi permetto di dire che la soluzione ai problemi dello spaccio sia il carcere. Non è una scelta che compete a noi (magistrati). Io vi parlo di dati”.
Comincia così l’intervento di Riccardo Crucioli, Giudice del dibattimento penale del Tribunale di Genova, che poi spiega il perché del fenomeno delle porte girevoli: “Dopo la Sentenza Torreggiani è stata fatta la scelta politica di non applicare la misura della custodia cautelare in carcere per il micro spaccio”.
Quindi, rivolto ai residenti del Centro Storico presenti in sala, aggiunge: “Quello che voi vedete dalle vostre finestre è proprio questo, un articolo 73, V comma”.
Cosa significa? Semplicemente che il legislatore, con questo V comma, ha escluso la custodia cautelare in carcere prevedendo per il piccolo spaccio la pena della reclusione fino 4 anni, quando nel nostro ordinamento si finisce dentro solo se la pena non è inferiore ai 5.
Ecco spiegato perché i pusher sono liberi in poche ore.
“Che strada imboccare, allora, quando nella politica criminale di contrasto al fenomeno della tossicodipendenza c’è una grave discrepanza tra i fini dichiarati e mezzi a disposizione?”, si chiede Francesco Pinto, Procuratore aggiunto della Procura di Genova, che pone l’accento su come anche il piccolo spaccio sia un fenomeno legato a una catena più grande, quella dei grandi narcos e di tutta la filiera che vi gira intorno.
Continua Pinto: “Occorre fare scelte di politica criminale che si concentrino sulle grandi filiere del traffico di stupefacenti. Questo è l’obiettivo di fondo. Solo in seguito servirà individuare le linee di confine in cui si preveda il carcere ma non soltanto. Singole modifiche normative che consentano solo l’aumento della carcerazione, infatti, non sono la soluzione. Occorre rabilitare lo spacciatore-consumatore, anche lui vittima di questo sistema. Anche la Corte Costituzionale ci richiama le finalità di recupero del trattamento sanzionatorio“.
“A Genova sta aumentando il ricorso al V comma perché è è cambiato l’assetto criminale della città”, spiega Pietro Bogliolo, avvocato cassazionista iscritto al Foro di Genova, che ricorda come anni fa nella nostra città ci fossero vere e proprie raffinerie dove lavorava il fior fiore dei chimici europei.
“Oggi la droga arriva e riparte. Quel che resta è il piccolo spaccio, quello dello spacciatore-consumatore che si affronta con attività di prevenzione più che di repressione. In carcere va mandato chi commette la recidiva”.
I relatori sembrano concordare sul fatto che la risposta corretta per la lotta allo spaccio e alla tossicodipendenza non dovrebbe essere solo una reazione immediata e repressiva del reato commesso ma anche un’azione sulle cause che hanno portato la persona a fare uso di sostanze e a trasformarsi in spacciatore-consumatore.
Sul recupero riabilitativo è d’accordo anche Maria Milano, Direttora della casa circondariale di Marassi, che punta l’accento su come la stragrande maggioranza della popolazione carceraria sia formata da tossicodipendenti proprio perché esiste una connessione molto facile tra l’avere problemi di tossicodipendenza e il commettere un reato legato all’uso di sostanze.
Insomma, che fare per gli abitanti del Centro Storico e non solo?
“Occorre dosare bene le forze e distinguere l’illegalità che si vuole colpire“, chiarisce Mattia Crucioli, Vice Presidente della Commissione Giustizia al Senato, con un’evidente riferimento alle recenti dichiarazioni di Salvini – “Li chiuderemo uno ad uno” – dirette ai rivenditori di marijuana leggera.
E infatti spiega come “in questo senso sono stati presentati due disegni di legge: uno che tutela i rivenditori di cannabis con THC sotto la percentuale dello sballo, e un altro, che non avrà vita facile, sulla legalizzazione della cannabis in funzione di sottrarre utenza e guadagni alla criminalità organizzata“.
Una strada lunga, insomma, ma che stando solamente al conto della serva porterebbe nelle casse dello Stato un introito stimato pari a 6 miliardi euro, senza contare il risparmio sulle spese di magistratura carceraria, circa 541 milioni, e quello sulle azioni di pubblica sicurezza, altri 228 milioni.
Simona Tarzia
Per approfondire:
Francesco Viganò, Sentenza pilota della Corte EDU sul sovraffollamento delle carceri italiane: il nostro Paese chiamato all’adozione di rimedi strutturali entro il termine di un anno, 9 gennaio 2013, in Diritto Penale Contemporaneo.
Emilio Dolcini, A proposito di leggi svuotacarceri, 13 marzo 2018 in Diritto Penale Contemporaneo.
Vincenzo Carrieri, Leonardo Madio e Francesco Principe, Light cannabis and organized crime. Evidence from (unintended) liberalization in Italy, giugno 2018, University of York.
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.