Stavo rimuginando, rimasticandomi un po’ il fegato sulle capacità trasformistiche di Silvio Berlusconi, un vero Fregoli, o peggio un mago delle tre carte o delle tre tavolette. Sino a che è arrivato il comunicato di Giovanni Toti, esausto, e probabilmente esaurito, da tutta la complessa sfinente vicenda. Quella della mantide che flirta con il compagno e poi se lo divora o almeno tenta di farlo. Cose già viste con il povero Gianfranco Fini poi incappato nella casa, più o meno a sua insaputa, di Montecarlo. E poi, nel passato più recente, con il povero Angelino Alfano, avvocato siciliano, ex ministro di grazia e giustizia nel governo Berlusconi lV, primo e unico segretario del Popolo delle Liberta’. Poi ministro dell’interno e vicepresidente del consiglio dei ministri nel Governo Letta, ancora ministro dell’interno nel governo Renzi e titolare del dicastero degli Esteri e della cooperazione internazionale nel successivo Governo Gentiloni.
Eppero’, tra un ministero e l’altro si era consumato lo strappo con il suo padre putativo Silvio Berlusconi si cui avrebbe dovuto essere prima il delfino e poi il successore. Da Delfino a traditore, visto che nel 2013 ha guidato la scissione dal PdL che ha dato vita al Nuovo Centrodestra. Nel 2017 fonda Alternativa popolare del quale è presidente sino al settembre del 2018 quando lascia la politica e si dedica alla professione.
Avevo previsto qualche mese fa come sarebbe andata a finire e che Toti avrebbe fondato il suo partito “Italia in crescita” anche di fronte alle promesse nemmeno troppo convincenti del “Telecavaliere” di fare il famoso passo indietro e di dare al partito una struttura al di fuori dell’oligarchia del cerchio magico. E così e’ stato Berlusconi ha indebolito sino a che ha potuto e voluto il potenziale avversario sottraendogli consensi. Anche quelli dei potenziali alleati da tempo critici nei confronti del padre padrone di Forza Italia. Prima solleticandole con l’incarico di coordinatore in vista di quello di potenziale segretario, poi facendo sparire quel ruolo. E comunque dimostrandosi refrattario sin da subito alle possibili primarie.
Oggi lo strappo definitivo con il comunicato tra lo sconsolato e il rabbioso del governatore ligure. Il titolo già di per se’ basterebbe: “LA TRAGEDIA DI UN PARTITO È FINITA IN FARSA”.
Poi c’è il ragionamento politico con tutta la disillusione necessaria:
“Peccato! Accettando l’incarico da coordinatore il 19 giugno avevo creduto che davvero fosse possibile cambiare, che davvero Forza Italia potesse rinascere da se stessa.
Non mi ero mai tanto sbagliato: nonostante il dissanguamento di voti, nonostante il 6% dei sondaggi, nonostante le tante energie dei territori che chiedevano di poter vivere, il passato ha prevalso”.
Con tanto di individuazione dei “frenatori” interessati che di volta in volta lo hanno affrontato nelle dirette televisive dei talk show politici: “Pur di far finta di continuare a vivere e baloccarsi con le proprie poltrone, la classe dirigente ha deciso di uccidere ogni speranza.
La paura, la nostalgia hanno il sapore amaro di chi ha deciso di privare tanta gente di una rappresentanza politica”.
Senza troppo lasciarsi affliggere dal futuro ormai incombente. Con la solita vecchia tiritera del confronto fra il nuovo e il vecchio. “Ma tutto questo è il vecchio. Il nuovo comincia oggi. Noi non ci rassegniamo, anzi, con entusiasmo partiremo presto per un grande giro d’Italia che avrà una parola d’ordine “Cambiamo” insieme per fare con tutti voi quello che altri, per egoismo, non hanno avuto il coraggio di fare.
Presto vi diremo dove e quando ci vedremo in tutte le regioni d’Italia. E continueremo a lavorare per costruire il futuro, contro coloro che non sanno staccarsi dal passato”.
Sin qui lo strappo, a lungo pronosticato e finalmente possibile. Con entrambi i contendenti che promettono un rinnovamento, più o meno sostanziale. Toti con l’immissione della democrazia e di processi democratici interni. Berlusconi annunciando che il suo partito verra’ rifondato. Prima di tutto con il cambio del nome. Vecchia storia, perché era passato da Forza Italia, il fortunato logo del 1994, al PDL, con l’annessione di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, poi rigettato come un corpo morto, quando nel 2013 il partito di Berlusconi, rimasto unico uomo al comando, venne rifondato riprendendo pero’ il nome antico: Forza Italia. Ora visto che gli schemi più o meno sono ripetitivi e comunque sono sempre redditizi il “Telecavaliere” annuncia che fonderà un altro partito, con uno sforzo intuibile di cambiamento….. “L’Altra Italia”. E non è dato sapere se sarà un’ “Italia in Crescita” come da tempo fideisticamente annuncia Toti, oppure l’inizio della fine per quella che dal 1994 ad oggi è stata la destra liberale del paese. Trail balletto dei sondaggi e delle cifre su possibili ipotizzabili future elezioni politiche.
Avevamo previsto anche il periodo, esattamente questo, per la scissione. In vista di possibili, probabili, ipotizzabili crisi di Governo e ritorno alle urne. E ora Toti dovrà bruciare le tappe, fornendo segnali su un eventuale appiattimento sulla Lega di Matteo Salvini, con il pericolo di poter costituire, come già era successo fra Berlusconi e Fini, un abbraccio mortale in cui spesso accade che il più grosso finisca per strangolare il più piccolo, nutrendosi poi dei suoi resti.
Tutto già drammaticamente previsto.
Mi rimane da osservare, vestendo i panni della solita Cassandra, come risulti straordinariamente facile ai nostri politici impadronirsi e svendere il nome del paese di nostra e loro appartenenza. A spanne ricordo “Monti per l’Italia” la coalizione di partiti chiamata a succedere alla Casa delle Libertà che sosteneva il governo Berlusconi. E ancora l’Italia bene comune altra coalizione fondata nel 2012 daL Pd da Sinistra Ecologia e Libertà e dal PSI per supportare Pierluigi Bersani quando le primarie per indicare l’aspirante premier erano diventate di moda. Si dissolse poco più tardi quando nell’aprile 2013, il leader di SEL Nichi Vendola annuncio’ che il suo partito non avrebbe fatto parte del governo di Enrico Letta, che vedeva il PD, guidato temporaneamente da Guglielmo Epifani dopo le dimissioni di Pier Luigi Bersani, alleato con il PdL di Silvio Berlusconi e con Scelta Civica di Mario Monti, collocandosi così all’opposizione. Erano gli anni del governo Letta a cui successe quello di Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che sarà ricordato dai posteri per quel “tranquillo Enrico” pronunciato prima di fargli le scarpe. Poi venne Gentiloni e infine l’attuale coalizione verdeoro con il premier Giuseppe Conte e i due vicepremier Salvini e Di Maio.
E ancora, tanto per ricordare: Direzione Italia di Raffaele Fitto, partito nato da una costola di Forza Italia nel 2017, di stampo conservatore liberale e scioltosi appena qualche settimana fa, il 20 giugno del 2019 è confluito in Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Unico partito che nel nome si rifà all’Italia che si dimostra ancora in salute, anche se vi sono segnali preoccupanti di qualche divergenza di idee fra gli esponenti della destra radicale e storica e quelli della destra liberale.
Infine per ultimo, ma non ultimo, perché a mio parere contiene tutte le contraddizioni del paese, appunto come se si trattasse di valori da (non) tramandare ai posteri Italia dei Valori. Partito fondato a Sansepolcro il 21 marzo 1998 da Antonio Di Pietro ex magistrato di Mani pulite che portò alla luce un sistema di potere politico nazionale fondato sulla corruzione. La storia del partito consolidatosi man mano come partito famiglia dell’ex magistrato si consuma fra qualche anno entusiasmante e successive scissioni che portano alle dimissioni il suo padre padrone. Sino a quando nel 2014 Di Pietro lascia ufficialmente il partito che alle politiche del 2018 si presenta in appoggio a Matteo Renzi con Lista Civica Popolare che riunisce, oltreché l’IdV, Alternativa Popolare di Angelino Alfano, i Centristi per l’Europa di Pier Ferdinando Casini, Unione per il Trentino di Lorenzo Dellai e L’Italia è Popolare di Giuseppe De Mita.
Ingloriosa fine di un partito che fra Comune e Regione a Genova e Liguria aveva rivestito una certa importanza supportando le coalizioni del centro sinistra. Il resto è storia fresca ed ancora di oggi con il coinvolgimento nelle spese pazze dei suoi esponenti di spicco. Marylin Fusco, segretaria prima, astro nascente e folgore, poi consorte, sempre alla corte di quel Giovanni Paladini che ha chiuso la carriera come deputato, con qualche guaio con la giustizia. Un personaggio, in linea con il magistrato suo mentore il Paladini, che prima di scendere in campo faceva il poliziotto e si era conquistato la fiducia dei colleghi fino ad arrivare ai vertici nazionali del sindacato autonomo. Gia’ la Piredda, con quel nome slavo, Maruska, come fosse una bambolina, una matrioska, hostess dell’Alitalia, prima precaria e poi sindacalista che deve tutta la sua notorietà, e fortuna, ad un’ esultanza, a braccia levate, per l’interruzione della trattativa per il contratto di lavoro del personale della compagnia di bandiera. Ricordavo infine il Paladini, marito della Marylin e potente padre padrone del partito in Liguria che aveva messo un suo uomo, Giorgio De Lucchi, a tenere i conti delle entrate, pubbliche, e delle uscite, personali con cui venivano foraggiati i suoi uomini e le sue donne.
Personaggi di un partito che a Genova e’ andato quasi completamente estinto per guai giudiziari. Sono affogati nel disonore di aver addebitato a quei liguri, che avrebbero dovuto rappresentare come personaggi istituzionali, libri di filosofia, qualche bottiglia di vino pregiato, cibo per cani, pizzate con gli amici e qualche paio di mutandine e qualche capo di lingerie provocante. Infine Nicolo’ Scialfa consigliere regionale e poi vicepresidente, transumato dalle fila di Rifondazione Comunista – per cui era stato eletto come indipendente in comune – all’Idv dell’uomo di Montenero di Bisaccia. Prima bancario, poi passato dallo stipendio fisso, dietro allo sportello, all’insegnamento. Per pura passione o, come sosteneva, per missione. Una misera fine per un uomo che aveva proclamato più volte che la politica per lui era unicamente spirito di servizio.
E quindi mi sembra palese che alla fine quell’Italia, in crescita, dei valori, altra o in qualunque modo La si voglia definire o indirizzare, alla lunga, magari finisce per avere effetti nefasti e per portare addirittura jella. Perché il paese probabilmente in tutto il suo sfacelo complessivo ha bisogno di uomini capaci e onesti con spirito di servizio e iniziativa che non dipendano esclusivamente dalla perpetrazione di se stessi e del proprio potere personale. E di un po’ di decoro.
Paolo De Totero
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