Tuttobrodismo 

Mi sono svegliato con un’idea folle. Una pazza idea, direbbe Patty Pravo. Mi piacerebbe che l’Accademia della Crusca inserisse nel suo pregevole vocabolario pure la parola “Tuttobrodismo”, come devianza virale del “Benaltrismo”, che il vocabolario definisce così: “Nel linguaggio giornalistico, l’atteggiamento di chi elude un problema sostenendo che ce ne sono altri, più gravi, da affrontare”. Un esempio fra tutti #Eallorailpiddì o #AlloraBibbiano che negli ultimi tempi hanno imperversato sui social.

Vorrei che includesse entrambi, non #Eallorailpiddi’ e nemmeno #AlloraBibbiano, frutto del tifo di una certa parte  politica, ma le parole Benaltrismo e Tuttobrodismo come un “petaloso” qualunque o un “esco il cane e lo piscio”, che ormai sono entrati, più o meno a  pieno diritto, a far parte del linguaggio comune dei social, visto che anche la lingua evolve come dovrebbe essere per ogni cosa. Tanto più che il “tuttobrodismo” è diventato, a mio modesto parere, emblematico dell’analabetismo funzionale che fa bella mostra di se’, ormai da tempo, sui profili social. Quella sindrome sociale per cui Umberto Eco profetizzò, in una frase diventata poi aforisma, usata e abusata, talvolta a sproposito, che la colpa dei social “era quella di aver dato diritto di parola anche a legioni di imbecilli”. E tra le legioni di imbecilli e i cosiddetti analfabeti funzionali, pur nell’evoluzione, il margine risulta oggi quanto mai infinitesimale. Anche se, mi corre l’obbligo di avvertire che,  paradossalmente, anche la frase del semiologo riciclata infinite volte nell’aforisma citato sopra, per una di quelle strane leggi dei social, e quasi  si fosse finita per attirare una maledizione, è diventata a sua volta oggetto di semplificazione. Una sorta di serpente che si morde la coda.

Umberto Eco

Scrive Michele Smargiassi su “La Repubblica” del 5 gennaio 2019, la data di nascita di Eco, scomparso nel 2016 a 84 anni, in un articolo dal titolo “Umberto Eco, i social, gli imbecilli e cosa disse veramente quel giorno”: “Da quasi quattro anni, legioni di imbecilli commentano su Internet la frase di Umberto Eco sulle legioni di imbecilli che commentano su Internet. Non riduciamo un genio a un ingenuo: il nostro grande rimpianto semiologo e filosofo (nato in questo 5 gennaio del 1932) sapeva benissimo che la sua sarcastica affermazione avrebbe auto-alimentato e dimostrato la sua stessa verità. Quel che non poteva sapere, semmai, è che quell’aforisma sarebbe stato l’ultimo folgorante strale mediatico della sua vita: lo perdemmo otto mesi dopo che lo ebbe pronunciato, a Torino, il 10 giugno 2015, chiacchierando coi giornalisti dopo aver ricevuto l’ennesima laurea honoris causa”. E prosegue Smargiassi: “Dissero: è una boutade, gli è scappata. Pochi si accorsero che Eco aveva usato praticamente le stesse parole tre mesi prima in una intervista a El Mundo (“todos los que habitan el planeta, incluyendo los locos y los idiotas, tienen derecho a la palabra pública…”). Dunque era un’affermazione beffarda ma meditata. Ancora meno si sforzarono di andare oltre la provocazione perfetta di quella frase, ridotta a un anatema anti-neomediatico. Be’, fare di Eco un mediologo nostalgico, un declinista apocalittico e tecnofobo schifato dal Web, sarebbe davvero paradossale”.

Per proseguire con esempi a cascata: “Tra le legioni di imbecilli che s’accaniscono sull’aforisma di Eco ci sono anche i nuovi teorici del ritorno alla democrazia elitaria; quelli che ad ogni fake news virale, ad ogni commento decerebrato, gridano “anche questi imbecilli poi vanno a votare!”, quelli che quando gli elettori li contraddicono, vorrebbero sciogliere l’elettorato. Quelli che, senza ammetterlo, sono disgustati dalla libertà di accesso allo spazio pubblico, finora sorvegliato da rigide regole d’ingresso e da severi guardiani, che ora il Web offre a categorie sempre escluse: gli adolescenti, le donne, le minoranze etniche, politiche. Fare di Eco un pentito della democrazia, un predicatore dell’abolizione del suffragio universale, è un’altra bella imbecillità da Web. Il diritto di accesso di tutti, imbecilli compresi, allo spazio pubblico della democrazia non lo ha stabilito il Web, ma la Costituzione. La domanda è cosa fare di fronte all’esistenza degli imbecilli”.

Già, che cosa fare di fronte all’esistenza degli imbecilli?
“Che cosa disse Eco davvero quel giorno? Che il Web non ha inventato gli imbecilli, ma ha dato loro, semplicemente, lo stesso pubblico che hanno i premi Nobel. E non l’ha fatto per caso. Perché da sempre i media lusingano l’uomo della strada, per manipolarlo meglio. Fu Eco a svelare come la Tv promosse il trionfo dello scemo del villaggio, quando disse allo spettatore: tranquillo, se Mike Bongiorno può condurre un quiz, tu sei un dio. Poi andò oltre, e con i programmi trash disse: se il mondo è quello che ti facciamo vedere, allora tu sei migliore. I media non creano, ma coltivano e promuovono e gratificano l’imbecillità: perché fa vendere e fa votare. Il Web gratifica gli imbecilli, che prima parlavano solo al bar dopo due o tre bicchieri di rosso e quindi non danneggiavano la società. Non la danneggiavano perché, prima, l’accesso ai media era sorvegliato da doganieri potenti: giornalisti, editori.
Bene, l’era delle dogane è finita, inizia quella della battaglia in campo aperto. Ed Eco lo aveva intravisto da tempo. Quasi quarant’anni prima, sintonizzandosi su Radio Alice (Bifo gliene ha dato atto molti anni dopo), aveva colto come una novità dirompente la stagione delle radio libere che aprivano il microfono agli ascoltatori, in diretta e senza filtro, precoce media interattivo e disintermediato. Il Web fa la stessa cosa, e non è detto che sia solo un male. Il fenomeno twitter permette alla gente di essere in contatto con gli altri, benché abbia una natura leggermente onanistica ed escluda la gente da tanti contatti faccia a faccia crea però un fenomeno anche positivo. Il libero accesso dal basso a un medium universale (quel giorno Eco disse anche questo) fa paura ai dittatori, i social hanno messo in difficoltà i dittatori arabi, Erdogan e i cinesi, e probabilmente, se fosse già esistita la Rete, Hitler avrebbe fatto fatica a tenere nascosta l’esistenza di Auschwitz.
Come ogni spazio pubblico, il Web è uno spazio conflittuale. Chi vince, tutte le teste si porta via. Gli imbecilli prendevano la parola anche prima, nei bar, nei capannelli di piazza, nelle code alla Ausl. Il Web ha soltanto esteso i decibel delle loro stentoree affermazioni. Semplicemente, al bar o in piazza (anche questo Eco disse quel giorno) spesso l’imbecille veniva messo a tacere dagli astanti…ma tas ti stùpid. Bene, dove sono oggi gli astanti intelligenti, nel bar planetario del Web? Perché tacciono? La scuola (anche questo disse Eco quel giorno) dovrebbe insegnare a filtrare le informazioni bislacche di Internet. I giornali (disse anche questo Eco quel giorno) dovrebbero verificarle e smascherarle quotidianamente. La Rete stessa dovrebbe fabbricarsi gli anticorpi, e di fatto lo fa, perché per ogni bufala ormai c’è uno smascheratore di bufale”.

Insomma l’aforisma finisce per essere una palese semplificazione, con il risultato di violentare, almeno un po’, la completezza del pensiero del semiologo, esperto rappresentante di una scienza umana che studia il codice dei segni nelle varie espressioni comunicative di tipo linguistico, visivo e gestuale.

Invece, commentando e alzando muri anche sui social, si finisce spesso per essere succubi di altre devianze fra cui includevo, appunto il Benaltrismo e il Tuttobrodismo, nipotini di altri termini che terminano in ismo, come Doppiopesismo ( Nel linguaggio giornalistico, l’atteggiamento di chi è parziale nel formulare i propri giudizi, spec. a favore della propria parte politica) e Cerchiobottismo (L’atteggiamento di chi non prende una posizione netta, barcamenandosi tra due contendenti o tra due comportamenti antitetici) anche quelli usati ed abusati nel linguaggio politico d’antan. Praticamente il virus primario evolutosi poi nelle  attuali patologie del “benaltrismo” e del “Tuttobrodismo”.

Già, il “Tuttobrodismo” a cui facevo riferimento proprio all’inizio del mio articolo di cui sosterrei caldamente l’inclusione nel vocabolario della Accademia della Crusca. Di cui individuerei l’origine esegetica nel Carosello di tanti anni fa che ha finito per far nascere, riprodursi e crescere, tramite il piccolo schermo, tanti tic poi degenerati della nostra società.

Racconta Stefano Lorenzetto  elencando i personaggi degli spot di una volta , in un’intervista a Paolo Piffarerio, uno degli inventori di Carosello, su “Il Giornale” del 14 febbraio 2014: “Poi c’era il vigile siciliano Concilia. Alle prese con il troglodita veneto Foresto, che non conosceva il codice della strada: «Par mi tuto fa brodo». Un terrone più evoluto del polentone”. Ottenendo la risposta del pubblicitario: “Non è vero che tutto fa brodo, è Lombardi il vero buon brodo». Lo slogan per il dado ci fu suggerito dallo scrittore Marcello Marchesi, dopo che aveva litigato in una trattoria di Firenze con un cameriere che voleva rifilargli una brodaglia salatissima. Pochi sanno che le voci del ritornello erano di Alighiero Noschese e di Virgilio Savona del Quartetto Cetra. A un certo punto nelle città italiane i vigili non usarono più la formula concilia?, al momento di affibbiare una multa, per paura d’essere presi in giro dagli automobilisti”.

Insomma il “Tuttobrodismo” è nato da quel troglodita veneto con tanto di pelle indosso e mazza alla mano, Foresto, che rispondeva “Par mi tuto fa brodo”, al vigile urbano siciliano Concilia. Mazza alla mano e pelle indosso, come un antesignano dei supposti di oggi. La marca del brodo sponsorizzata in Carosello, altra ironia della sorte era “Lombardi”. E poi nel finale dello spot partiva il coro “Non è vero che tutto fa brodo, è Lombardi il vero buon brodo”.
Lombardi, come il coro dei Lumbard tanto caro alla Lega celodurista di Umberto Bossi.

E sì, vero o no, “tutto fa brodo” che equivarrebbe, più o meno, al brodo con cui si cercava di allungare la minestra. O all’espediente, tutto scolastico, di mettere qualche nozione  a casaccio per allungare il componimento con tanto di rituale annotazione del prof. – “fuori tema” – con cui gli insegnanti di una volta avrebbero sanzionato l’elaborato di italiano a cui avevano messo un bel 4.

Malattia vecchia, quella del’arrabattarsi, ma sempre in voga e quanto mai attuale, perché l’analfabetismo di ritorno o la furbizia dello studente, chiamatela un po’ come preferite, è sempre dietro l’angolo.

Ci sono andato a sbattere qualche giorno fa a seguito di un post e di un successivo articolo sulla saga del ministro dell’interno e vicepremier Matteo Salvini al Papeete Beach,sulla spiaggia di Milano Marittima. Raccontando delle due belle prove di ardimento nelle quali ha saputo distinguersi. Quella del tour del figlio sull’acquascooter condotto da un compiacente poliziotto e la successiva esibizione alla consolle, a torso nudo e palesemente eccitato dalle cubiste sculettanti o da quant’altro, al ritmo dell’inno nazionale.
Perché mi sono ritrovato a chiedere maggior decoro. Un normale senso istituzionale per un politico navigato. E l’ho fatto senza nemmeno citare l’art. 54 della Carta Costituzionale che recita “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. Mi ero insomma limitato a pormi qualche domanda sull’opportunità di un simile deprimente spettacolo.

Aldo Moro

E a quel punto, senza entrare nel merito, sono stato investito dalle solite invettive in auge tipo “Malanimo verso la destra, superiorità intellettuale da sinistra, contrarietà preconcetta verso certe iniziative ovmai tvoppo popolavi pev la sinistva “. Insomma tanti processi alle intenzioni, ma sull’atteggiamento del vicepremier, più o meno al…..di sopva delle vighe, nulla di nulla.
C’è stato perfino chi ha commentato con un’immagine del presidente francese Macron in compagnia di due ragazzi a torso nudo e di colore. Però null’altro che facesse intendere il suo pensiero. Oltre all’immagine. E un po’ mi ci sono scervellato eh…
Ma qualche giorno prima, quando avevo collegato la foto del segretario della Lega ad una precedente festa padana, a torso nudo e con la lingua penzoloni, mentre abbracciava una bella ragazza, e poi l’immagine dello stesso Salvini ancora a torso nudo sulla stessa moto d’acqua della polizia che aveva spupazzato il figlioletto e lo chauffeur poliziotto accanto, con la foto di Aldo Moro in grisaglia beige con la figlioletta per mano mentre a piedi si dirige verso la spiaggia, è stato persino peggio. Anche perché ho avuto la sfortuna che quella stessa immagine sia stata molto usata da altri giornalisti e utenti social per contrapporre il decoro dei politici di un tempo agli usi e costumi barbari di quelli di oggi.

E in quel caso c’è stato tutto un coro di distinguo. Fino a trovare chi ha argomentato che la foto in questione non fosse pertinente perché scattata in un tiepido pomeriggio primaverile e non in estate. E c’è stato perfino chi, strumentalmente, ha postato un’immagine del politico della Dc in spiaggia con l’accappatoio addosso e le gambe scoperte. Eludendo il problema del decoro, e senza nemmeno prendere in considerazione il fatto che negli anni Sessanta, ministri, parlamentari e politici in generale fossero maggiormente restii a concedere immagini del proprio privato. E ai giornali, se non a quelli scandalistici, non importasse nemmeno di infrangere quel mondo.
Altri tempi, si dirà. Anche se la pandemia che ha poi scatenato questo culto odierno per le immagini, anche di quelle private, rubate o rilasciate senza nessuna costrizione in rete, muoveva già i suoi primi passi. In Tv con i primi Caroselli.

Leggete l’intervista a Paolo Piffarerio, morto a 91 anni, nel 2015 di cui ho pubblicato un breve stralcio sul vigile siculo Concilia e sul troglodita veneto Foresto. Perché vi renderete conto di quanto la strategia di comunicazione rivolta allora anche alle classi meno istruite e abbienti abbia finito per incidere su quella di cui attualmente si servono i nostri politici

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E Paolo Piffarerio, animatore e fumettista italiano, è stato uno dei primi luminari sulla comunicazione. Un personaggio da accostare assolutamente a Umberto Eco. Noto come uno dei pionieri del cinema di animazione, fondò nel 1953, insieme ai fratelli Gavioli, la Gamma Film, casa di produzione specializzata in cortometraggi che realizzò, dal 1957 al 1977, numerosi spot per il programma Carosello della Rai, per la quale fu il direttore tecnico oltre che sceneggiatore o regista, occupandosi della fotografia, del montaggio e sovraintendendo a tutta la linea della produzione di un enorme numero di cortometraggi animati e dal vero. È inoltre famoso come disegnatore per aver realizzato la serie Alan Ford di Max Bunker dal 1975 al 1984 succedendo a Magnus e altre opere a fumetti di ambientazione storica come Fouché oltre che a una famosa Storia d’Italia a fumetti scritta da Enzo Biagi e specializzato anche in riduzioni a fumetti di opere letterarie per Il Giornalino. Insomma stessa attrazione  per le cose allora anticonvenzionali, condannate dalla cultura ufficiale – televisione e fumetti per esempio – con propensione a sondare in profondità. E mi sono anche interrogato se sia stato soltanto un caso che il Foresto del “Par mi tuto fa brodo” appartenga beffardamente ai territori in cui la Lega Nord, molti anni dopo l’avrebbe fatta da padrona. E il vigile Concilia fosse il rappresentante del meridione. Un siciliano evoluto contro un veneto primitivo che ignorava il codice della strada. Beffarda sintesi del “Tuttobrodismo”, appunto.
E comunque si somigliano molto la comunicazione pubblicitaria di allora e quella di oggi, elevata o scesa così in basso, con la nostra politica.

Matteo Salvini

Perché non ho potuto  fare a meno di registrare, anche in questo caso, nel Tuttobrodismo imperante, i cori di plauso pressoché unanimi rivolti a Salvini e ai suoi comunicatori e strateghi. Salvini e spin doctor moderni con la contrapposizione ai muti oppositori social della sinistra, che il più delle volte, nel tentativo di uscire dall’anonimato, scendono a compromessi addentrandosi pedestremente sullo stesso terreno e fanno guai. Fino a leggere mirabolanti analisi comunicatorie sulla comunicazione del “capitano” o “capitone”, a seconda delle preferenze politiche, in cui sinteticamente si sostiene che, acquisito lo zoccolo duro della destra, ora si rivolge ai giovani astensionisti e qualunquisti e alla pancia degli italiani “incazzati” e delusi, per cercare di aumentare il consenso e andare a governare da solo. Mentre in molti convergono sull’assunto che parlando troppo di lui gli si faccia solo un favore. “Basta che se ne parli” in fondo era una delle prima regole in pubblicità. Nel bene e nel male, ma basta che se ne parli. Oppure quell’altra tesi che spiega che Salvini stimola il lato oscuro inconsciamente, o consciamente presente in tutto il popolo italiano.

Ennio Flaiano

Già, perché secondo altri curiosi e ripetuti e postati e ripostati aforismi di Ennio Flaiano, sceneggiatore, scrittore, giornalista, umorista, critico cinematografico e drammaturgo, autore di elzeviri: “Il Fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità”. O peggio: “In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti o gli antifascisti”. Come dire che non è un caso se poi ho incrociato coloro che sociologicamente hanno spiegato che Berlusconi era il male. Colui che ci spingeva ed istigava ad essere come lui, perché il successo prima o poi può toccare a tutti. E che Salvini non è altri che l’incubo degenerativo e la soluzione finale di quel processo. In cui è possibile identificare noi stessi. E tutto lo squallore che ci circonda finisce per diventare la normalità.

Concludendo, insomma, dopo aver allungato il “brodo” come un qualunque “Tuttobrodista”, mi è caro citare il finale dell’articolo di Michele Smargiassi, che nella ricorrenza della nascita di Umberto Eco, elevato a vate del nostro tempo difficile, scriveva: “Ma non solo. L’imbecillità social ha un sistema di difesa intrinseco (disse anche questo Eco quel giorno). Oltre un certo limite si crea una sindrome di scetticismo, la gente non crederà più a quello che dice Twitter. All’inizio grande entusiasmo, poi cominceranno a dire: dove l’hai letto? L’ha detto Twitter? Quindi, tutte balle”.
Non accadrà da sé, ovviamente. Ci vuole la tenacia degli astanti intelligenti. La resistenza della ragione. Disse ance questo Eco quel giorno: “La difesa istintiva del pubblico: può avvenire su Internet? Dipende solo dalla capacità critica di chi ci naviga. Lo scemo del villaggio non trionfa mai per forza propria, ma solo per debolezza del sensato del villaggio”.

Ecco quindi che la critica e l’autocritica conteneva già in sé un barlume di soluzione. La resilienza e la tenacia degli astanti intelligenti. Come fosse una sorta di difesa o di autodifesa già presente nel vigile dall’accento siciliano, attento a far rispettare le regole, dal proliferare del trogloditismo di marca nordica dei vari Foresti. In una sorta di battaglia per acquisire consapevolezza che facebook o non facebook, social o no, spiace al potente di turno.
Prendiamo il voto in Senato sul Decreto Sicurezza bis, per esempio…

Paolo De Totero

Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.