Nell’immagine una scena di violenza da parte dei bolscevichi. Anno 1918; un ufficiale polacco viene impiccato e impalato dai soldati della nascente Armata Rossa. Se c’è stato un popolo che, nel corso dei secoli ha vissuto più volte la persecuzione dell’Impero sovietico è stato proprio quello polacco. Una diffidenza e un odio che vengono da lontano, sia nei confronti del Paese che dei suoi abitanti. Nel ‘700 l’Impero degli Zar aveva attuato tre spartizioni. Due ribellioni , nel 1860 e nel 1863 furono represse duramente. La Grande Guerra e i suoi esiti, con la sconfitta della Germania, dell’Impero Austro Ungarico e di quello russo rappresentarono per questo popolo finalmente un modo per affermare il proprio orgoglio e la propria indipendenza. Finché ciò gli venne permesso, perché nel 1920, solo due anni dopo, Lenin lanciò l’Armata Rossa contro il paese entrando a Varsavia. Passò solo un anno e nel 1921 la pace di Riga dettò condizioni molto favorevoli per i polacchi. Stalin e i dirigenti sovietici mai avrebbero dimenticato quel torto. È da tenere presente che ai tempi di Riga nei territori dell’URSS vivevano ancora oltre un milione di polacchi. Molti di loro non avevano alcuna intenzione di rientrare nel paese d’origine, avendo lasciato la Polonia con le correnti migratorie del secolo precedente. Si diffuse la convinzione che fra di loro si nascondessero delle spie e degli elementi contrari alla collettivizzazione. Negli anni ’30 questa intensa attività contro le spie polacche “nemiche del popolo” ebbe una nuova propulsione. Si ritiene che nel 1938 degli oltre 134.000 detenuti di origine polacca circa 50.000 – 67.000 siano stati fucilati e quelli rimasti vivi, deportati. Un protocollo segreto firmato il 23 agosto 1939 fra URSS e la Germania previde una spartizione del territorio polacco. Fu proprio in quell’anno il punto di non ritorno, con un’azione da parte dei russi che invasero la repubblica polacca che ancora occupava parte della Bielorussia e dell’Ucraina. In questa immensa manovra si può stimare la messa in prigionia di circa 250.000 prigionieri di difficile gestione. Di questa cifra almeno 10.000 erano appartenenti dell’Esercito della categoria degli Ufficiali. Parte dei soldati semplici reclusi venne incarcerata nel sistema gulag, parte nei lavori forzati, altri nella costruzione di strade. La decisione di che fare dei restanti prigionieri nei campi di Kozielsk, Starobielsk, Ostaszkow e altri 11.000 si trascinò fino al febbraio 1940, quando con l’approvazione di Stalin in primis si decise di applicare la pena suprema. Sul piatto della bilancia era, lo si comprese bene, la possibilità di eliminare in un sol colpo quegli ufficiali che finita la guerra avrebbero costituito la classe dirigente intellettuale del futuro polacco. Le procedure iniziarono e durarono parecchi mesi, con eliminazioni quotidiane eseguite singolarmente con un colpo di arma da fuoco esploso da tergo alla testa, dopo una veloce lettura della sentenza. A seguire i corpi venivano riversati in fosse comuni diverse, anche se la foresta di Katyn, in Russia, può oggi essere considerata il luogo epicentro di questa colossale strage programmata meticolosamente. Nell’aprile del 1943 furono i tedeschi a scoprire nelle fosse i cadaveri di 4500 ufficiali polacchi. Una commissione della Croce Rossa appurò che ne nella primavera 1940 vi furono circa 25.000 polacchi dispersi, giustiziati dai sovietici. Il governo comunista polacco e i russi ne attribuirono la responsabilità ai tedeschi. Massacro di massa e consapevole menzogna: solo nel 1989 si ebbe la consapevolezza delle responsabilità russe.
Mauro Salucci è nato a Genova. Laureato in Filosofia, sposato e padre di due figli. Apprezzato cultore di storia, collabora con diverse riviste e periodici. Inoltre è anche apprezzato conferenziere. Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive di carattere storico. Annovera la pubblicazione di “Taccuino su Genova” (2016) e“Madre di Dio”(2017) . “Forti pulsioni” (2018) dedicato a Niccolò Paganini è del 2018 e l’ultima fatica riguarda i Sestieri di Genova
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