Genova – La Gronda non smette di dividere i genovesi.
Dopo la diffusione dei risultati dell’analisi costi-benefici del MIT che suggerisce di “cogliere l’opportunità di perseguire opzioni infrastrutturali più efficienti in termini trasportistici, ambientali e finanziari”, si è scatenata la bufera tra i paladini del progetto di SPEA, quello “targato Benetton” e sostenuto da Lega e PD, e i difensori della “mini Gronda”, i pentastellati per primi.
Sullo sfondo il Ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, che rincara la dose: “La Gronda si farà ma nei termini in cui è davvero utile a Genova e a tutti i cittadini italiani”, e Autostrade che si riserva azioni legali a propria tutela e ribatte: “Relazione basata su un progetto superato, proposte alternative che non sono tecnicamente realizzabili e un costo finale dell’opera che è di 4,3 miliardi di euro, invece dei 4,7 erroneamente riportati dallo studio Mit”.
Insomma, un tira e molla che sa di marketing politico e che lascia sul tavolo molti dubbi. E siccome questi dubbi affollano anche la nostra mente, abbiamo realizzato due interviste agli antipodi, sui SÌ e sui NO alla “mini Gronda”, per darvi quello che fino ad ora, in questa rissa di comunicati stampa, forse è mancato.
Del NO ci parla Enrico Musso – il Direttore del Centro italiano di eccellenza sulla logistica, i trasporti e le infrastrutture (CIELI) – che ha deciso di non entrare neppure nel merito del progetto di variante ma che colpisce a monte: “Per prima cosa bisognerebbe capire che valore ha questo presunto stop fatto da un ministero il cui titolare è in scadenza, per non dire scaduto”.
Non solo.
Un’altra stoccata arriva diretta sull’analisi costi-benefici. Da prendere con le pinze, secondo Musso, perché nonostante sia utile “sappiamo che in queste indagini i risultati sono fortemente condizionati dall’analista stesso perché determinati da parametri che, anche con la miglior buona fede, sono discrezionali”. Quindi rincara la dose: “Si potrebbe dare questo stesso incarico a un altro esperto dicendogli sottobanco di far venire un altro risultato, e verrebbe fuori un altro risultato, molto diverso”.
La prima carenza in questo contesto di discrezionalità? Scegliere delle commissioni che sono parziali in modo conclamato. Spiega ancora Musso: “Soggetti che si sono già pubblicamente espressi da molti anni a favore o contro un’opera, sarebbe meglio che in commissione non ci entrassero”.
Ma qui il discorso diventa ambivalente…
Diversa la questione del processo di decisione politica al quale “andrebbe restituita la dignità”, secondo Musso, ma che oggi è messo in secondo piano nonostante “duri da almeno trent’anni, abbia attraversato maggioranze politiche di ogni colore, coinvolto la comunità nel dibattito pubblico e superato le normative ambientali. Tutto si può dire ma non che sia un progetto calato dall’alto”.
“Non mi risulta che qualcuno abbia detto che la Gronda non serve”, ma allora perché “riportare l’orologio indietro di trent’anni? Qual è la legittimità di questo processo? “, si chiede Musso che non ci sta a rottamare la Gronda di SPEA e conclude: “Alla fine io dico che il progetto migliore è quello che si fa, e non possiamo parlarne per duecento anni“.
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.