“L’ingresso nella società ha luogo ordinariamente il 3 settembre di ogni anno alla festa della Madonna di Polsi d’Aspromonte, in prossimità del convento dove si radunano i principali capi delle associazioni a delinquere dell’intera provincia e di quelle vicine”.
Si legge così in un rapporto inviato alla Procura del Regno dal tenente dei carabinieri reali di Reggio Calabria, Giuseppe Passarelli.
Era il 17 agosto 1901 e da allora nulla è cambiato.
Neanche il negazionismo, quello che tenta di far passare inosservata la devozione di Ventimiglia a questa Vergine controversa.
Da un colloquio rubato su una panchina sabato scorso, in attesa che proprio la statua della Madonna della Montagna uscisse in processione dalla Chiesa di San Michele Arcangelo che a Ventimiglia Alta custodisce la versione nostrana della Vergine di Polsi, veniamo a sapere da un ottimista che non crede o non vuole credere alle “maldicenze sulla Liguria”, che “certamente questa storia della Madonna della ‘ndrangheta è una bufala. Tutte chiacchiere”.
Sarà, ma la cronaca racconta una storia diversa e un fatto inquietante.
In questo santuario nel cuore dell’Aspromonte, e per carità se volete andarci non prendete la strada da San Luca che tra buche, dirupi e un panorama mozzafiato quasi ci abbiamo lasciato l’automobile, c’è un fonte battesimale donato nel 2003 dal Comune di Ventimiglia.
Solo una coincidenza?
Non la pensava così la Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Rosy Bindi che, parlando a Imperia al termine delle audizioni della Commissione nel 2014, denunciava come “non sia una coincidenza il fatto che nel santuario della Madonna di Polsi, a San Luca, dove annualmente si riuniscono i boss delle ‘ndrine più feroci, ci sia un fonte battesimale donato dal Comune di Ventimiglia”.
Una pietra tombale sul radicamento della ‘ndrangheta in questa terra di frontiera, dove la politica ha fatto suo il comodo principio che è meglio dimenticare che esista, ed è andata a chiedere voti ai mafiosi.
Ventimiglia-Polsi andata e ritorno
L’asse Ventimiglia-Polsi non si esaurisce qui: scende il fonte battesimale, sale la Madonna.
Con tutto il suo rituale. Unica città fuori dalla Calabria ad adottare la vergine di Polsi, Ventimiglia la festeggia da quattro anni con una processione per il centro storico della città Alta.
A organizzare l’evento è il presidente del “Comitato feste di Ventimiglia”, Antonio Versace. Il suo nome, che non ha mai avuto guai con la giustizia, è noto alla Direzione Investigativa Antimafia (DIA) genovese per alcune amicizie scomode, perché segnalato tra i partecipanti ai funerali dei padrini Antonio Palamara e Peppino Marcianò. Due pezzi da novanta della ‘ndrangheta ponentina.
Osserva la DIA nella II Semestrale 2017: “La struttura di Ventimiglia sarebbe controllata dalle famiglie Marcianò di Delianuova (RC), referente delle cosche Piromalli e Mazzaferro della Piana di Gioia Tauro, e Palamara, quest’ultima legata da vincoli parentali alla ‘ndrina Alvaro egemone a Sinopoli (RC)”.
Anche la statuina della Madonna è un dono di Versace alla locale parrocchia di San Secondo che, tuttavia, l’ha rispedita al mittente per un recente contrordine della Curia, preoccupata dalle attenzioni investigative sulla festa[1].
Dio protegga questo bunker
“Il rituale è bello in tutte le cose, è quello che fa… Il rituale ci vuole, ci vuole tutto, il rituale bisogna prepararlo e basta».
A parlare è Domenico Mimmo Gangemi, capo locale di Genova fino al 2011, intercettato nell’indagine Basso Piemonte durante il rito di affiliazione di Giuseppe Caridi e di conferimento della dote di santista, cioè massone, ad Antonio Maiolo.
Un santino bruciacchiato di San Michele Arcangelo, protettore degli uomini d’onore, è stato ritrovato anche nelle tasche di una delle vittime della strage di Duisburg, il macello del Ferragosto 2007 quando la ‘ndrangheta ha esportato in Germania la faida di San Luca.
Inchini, santini, riti, giuramenti e omicidi. Ma Dove sta il legame con la religione?
La liturgia fasulla delle ‘ndrine ha radici lontane.
I malavitosi calabresi si autoproclamano “cristiani” perché nell’immaginario collettivo della popolazione locale “il cristiano è quello che si è contrapposto al saraceno che arrivava sulle nostre coste e violentava e depredava. Il cristiano è uomo d’onore, è quello che tutela i beni e la famiglia”.
A far chiarezza su questo punto è Roberto Di Palma, Sostituto Procuratore della DDA di Reggio Calabria, che ci spiega che per fa luce su un fenomeno come quello della ‘ndrangheta bisogna mettersi in testa che “prima ancora che un reato, la ‘ndrangheta è un fatto culturale”.
Se gli uomini d’onore distribuiscono ostie verbali chiamandosi tra loro cristiani, “è solo perché questo influisce sull’immaginario collettivo” e condiziona la percezione popolare.
“È così che la ‘ndrangheta realizza il suo sogno di assoggettamento della popolazione, con il prete di turno che si mostra ossequioso nei suoi confronti. Ed ecco allora la processione del Santo che passa davanti alla casa del boss con l’inchino“.
È tutto un insieme di segnali, più o meno nascosti, che serve ad aumentare l’audience delle ‘ndrine e a raccogliere consensi: se persino la statua della Madonna si inchina al padrino di turno, allora egli è davvero degno di essere idolatrato, diventa lui stesso un oggetto di culto.
Di fatto, quest’uso dei simboli religiosi è un’appropriazione indebita: “Nulla di tutto questo ha realmente a che fare con la religione. Anzi, bisogna stare attenti a parlare di religione. Qui si tratta semmai di una religiosità infantile, naturale, che non ha niente a che fare con il cattolicesimo”.
Una religiosità deviata fatta di comportamenti che rispondono soltanto alla logica della sottomissione, che servono a creare una sudditanza primordiale nella popolazione che infine si piega all’anti-Stato.
La furbizia sta nell’utilizzare immagini familiari, domestiche, come quelle dei santi e della Madonna.
“In alcuni bunker dove abbiamo scovato i latitanti, c’erano scritte sui muri a caratteri cubitali del tipo DIO PROTEGGA QUESTO BUKER, c’erano la statua della Madonna e un enorme rosario appeso alle pareti. Ma questo non significa avere un credo religioso, una fede. Sono solo totem che hanno la funzione, però, di far vedere agli altri che sei un uomo d’onore. Non a caso hanno scelto di fare le riunioni di ‘ndrangheta a Polsi, dove c’è il Santuario della Madonna della Montagna“.
Ma la fede è solo di facciata: “Se li sente parlare tra loro bestemmiano ogni tre parole, hanno rapporti omosessuali, eppure si dichiarano uomini di valore, quelli della mascolinità portata all’eccesso. Parlano di famiglia e poi si fanno le corna con cugini, parenti, compari, comari… Le cose più particolari. Questi dati esistono, emergono dalle intercettazioni. Per questo io dico che la ‘ndrangheta è una grande truffa. Quella che vuole apparire a tutela dell’onorabilità dell’uomo, della popolazione, del rispetto delle regole, in fondo non è né più né meno che una manica di delinquenti“.
Simona Tarzia
[1]Così l’ultima Semestrale della DIA su Ventimiglia: “La concentrazione in questo comprensorio di famiglie calabresi si è manifestata non solo attraverso la costituzione di aggregati criminali, ma più di recente anche attraverso la riproposizione in loco di manifestazioni e riti tipici delle zone d’origine, tra cui, nel solco della più nota festa della “Madonna di Polsi” celebrata ogni anno ai primi di settembre nell’omonima frazione di San Luca (RC), occasione non solo di festeggiamenti religiosi ma di veri e propri summit di ‘ndrangheta, la festa della Madonna della Montagna”.
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.