Genova – L’ultimo è il caso eclatante dell’ospedale di Vimercate, in provincia di Monza, dove una donna di 84 anni è morta per una trasfusione di sangue sbagliata. La sacca sarebbe stata scambiata con quella di un’altra paziente, per omonimia.
Un altro caso l’anno scorso, al San Martino di Genova, dove a essere scambiate sono state le sacche di staminali per un trapianto di midollo, per fortuna senza conseguenze gravi.
COSA SI PUÒ FARE PER SCAMPARE PERICOLI DI QUESTO GENERE? COME SI GESTISCE IL RISCHIO CLINICO?
“Il problema delle omonimie è un problema reale di tutti quanti gli ospedali e di tutti quanti gli ambulatori – conferma Rita Lionetto, Dirigente Medico e Risk manager dell’ospedale Galliera -. Quello che si può mettere in atto è la cosiddetta identificazione attiva del paziente, in parole povere chiedergli come si chiama e quando è nato”.
Le cose si complicano nelle urgenze.
“Se il paziente non è cosciente perché ha avuto un incidente – continua Lionetto – l’identificazione attiva si fa attraverso i documenti di identità che il paziente porta con sé, o attraverso i familiari, o gli operatori che hanno assistito all’incidente. Altrimenti viene chiamato anonimo-anonimo. Esiste un sistema di identificazione del paziente in anonimato con un codice alfanumerico, che verrà colmato non appena si conoscerà l’identità della persona”.
Ci spiega Marco Briganti, Referente aziendale Gestione Rischio Clinico del Galliera, che “Regione Liguria ha messo in atto un sistema di gestione e confronto del rischio clinico denominato CARMINA – acronimo di Clinical Assessment of Risk Management: an Integrate Approch – che, “attraverso l’analisi di 52 standard suddivisi su 7 aree, ad esempio formazione, analisi dell’evento avverso, competenze, ogni azienda può sia autovalutarsi che confrontarsi con le altre aziende liguri per identificare i punti di debolezza”.
Una delle migliori partiche per evitare gli errori legati a un potenziale scambio di persona è il braccialetto identificativo. Ma cosa deve fare un paziente che non l’ha ricevuto o che legge dati scorretti?
“Il braccialetto non è usato per tutti i pazienti che accedono in ospedale. Lo è per i ricoverati – precisa Lionetto -. Chi si accorge di irregolarità deve avvisare subito un qualsiasi operatore sanitario che lo indirizzerà nel luogo giusto dove rivolgersi”.
COME SI EVITA CHE IL CHIRURGO OPERI IL LATO SBAGLIATO?
La cronaca ci ha informati anche di questo e purtroppo “operare il lato sbagliato è uno degli eventi più frequenti in chirurgia – commenta Briganti -. Questo riguarda gli arti e gli organi che hanno una bilateralità. Frequente è la casistica dei reni, tanto da portare il Ministero della Salute a emettere una raccomandazione specifica per cui il paziente deve giungere in sala operatoria con la marcatura del sito che deve essere fatta dal chirurgo, con un pennarello indelebile e possibilmente il giorno prima dell’intervento. Questo sistema dev’essere bloccante: se il paziente arriva in sala operatoria senza marcatura, l’intervento deve essere fermato. Perché poi alla fine noi diciamo tante cose ma se queste barriere non impediscono che il percorso del paziente vada avanti, perdono la loro efficacia”.
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.