A.A.A. società civile cercasi

Dopo l’”autogol” della seconda decade di agosto, il “colle”, il successivo le “poltrone” in concomitanza con “giallorosso”; dopo le “scissioni”, da Renzi al Paradiso dei “TheGiornalisti”, passando da Giovanni Toti, da “Italia in Crescita” a “Italia Viva”, a dimostrare che nel nostro pianeta politico esiste effettivamente  ancora vita – anche se a volte non sembrerebbe – sino a “Cambiamo. Eppure la parola più abusata del momento non potrebbe essere altro che “società civile”, da opporre, probabilmente, e per contrapposizione diretta, a quella incivile. Per forza di cose quella dei partiti e della partitocrazia.

Se ne parla, se ne è parlato, se ne parlerà. Mentre sui social spuntano i titoli di coda sul film delle scissioni iniziate con la vicenda “tira e molla” e “molla e tira” della diaspora totiana. L’ex delfino, governatore ligure per volere di Silvio Berlusconi, alla fine ha deciso che era venuto il momento di far le valigie e, dopo molte resistenze e qualche tentennamento, sbattere la porta, ripensando all’Italia in crescita che, magari con una crisi di governo all’orizzonte, avrebbe potuto suonare distonica e cavalcando la voglia di cambiamento. Già, “Cambiamo”. Solo che non tutte le ciambelle vengono con il buco, e la voglia di misurarsi nelle politiche, in barba a Berlusconi e strizzando l’occhio all’amico Salvini, alla fine ha dovuto forzatamente essere soffocata. Con il rischio che, nell’attesa di misurasi, il suo potenziale vantaggio, fra percentuali, uomini e numeri, possa venir riassobito dal sempiterno “Telecavaliere”, o, peggio, dal nuovo partito del vate di Rignano, che oltre ad attestare che in Italia c’è ancora vita si ripropone di dragare i liberal-democratici del centrodestra, visto che Salvini, passato in un attimo di calura estiva da “vicepremier ministro dell’interno, fine statista sovranista” a “senatore pasticcione leghista”, sembrerebbe tirare sempre meno.

Aggiungeteci il lutto per la scissione di Tommaso Paradiso il frontman dei TheGiornalisti che, forse, suggestionato dalla  percezione della politica imperante e dai suoi personaggi ha deciso che non poteva attendere e di scindersi, anche lui, dal partito, pardon, dal gruppo di appartenenza e di successo che ci aveva consentito di tornare a gustare il pop melodico italiano di “Sotto al cielo di Riccione” e il senso dell’effimero tutto italiano di una “Felicità puttana che dura un minuto ma che botta ci dà”. Aggiungeteci anche il governo giallorosso di un resuscitato e redento Giuseppe Conte a cui Matteo, il Renzi, ha voluto dare una bella mano e la smania di potere, imperante nella politica italiana e, insomma, la frittata per Giovanni Toti sembrerebbe fatta. Impantanato a metà del guado mentre i “Nazareni” Berlusconi e Renzi se la ridono.

Nel frattempo si preparano alle pratiche di scongelamento l’ex leader maximo D’Alema e l’uomo capace di smacchiare i giaguari, Pierluigi Bersani. Attempate cariatidi mai estinte della nostra partitocrazia. Mai rottamati definitivamente, nonostante le voglie e le dichiarazioni di rito d’antan del prode vate di Rignano e della Leopolda.

A margine, o forse no, ci sono i CinqueStelle del gran rifiuto a Salvini, amante di un dì, tradito e sceso a miti consigli, passati nel breve volgere di qualche settimana dall’alleanza verdeoro a quella giallorossa abbracciando i peggiori nemici di sempre: i piddini, i pidioti, gli #EalloraBibbiano, diventati, in un quasi batter di ciglia, i nuovi alleati. Non solo nel nuovo governo delle poltrone ma anche in vista delle incombenti regionali. E allora, di fronte allo spettacolo della politica partitocratica, più o meno indecoroso per buona parte dell’opinione pubblica, la parola d’ordine per convogliare un elettorato incredulo e attonito è, e sarà, società civile. Già, la società civile, da cui attingere nomi nuovi o usati sicuri, in vista dei prossimi appuntamenti elettorali per le amministrative in Abruzzo, Sardegna, Piemonte, Calabria, Emilia Romagna e Umbria.

Vecchia dicotomia quella tra la partitocrazia e la società civile, sulla quale, come osserva Alessandro Campi nel suo editoriale pubblicato ieri su “Il Messaggero”: “È facile scorgere il mantra tipico del populismo: la politica è cattiva e corrotta, la società civile è buona e immacolata”. Solo che l’editorialista de “Il Messaggero” ci mette in guardia “Non c’è dunque nulla di nuovo se non fosse per l’inganno ideologico che essa, dietro la retorica del potere da restituire ai cittadini, sembra nascondere e sul quale vale la pena interrogarsi”. Spiega infatti lo stesso Campi: “Convergere su candidati civici, facendo un passo indietro come partiti, è la proposta irrinunciabile che Luigi Di Maio ha fatto, a nome del M5S, ai suoi nuovi alleati del Partito democratico in vista delle prossime elezioni amministrative (a partire dalle regionali in Umbria del prossimo 27 ottobre). Evidentemente i tempi non sono maturi per un’intesa politica organica sul territorio tra due forze sino a un mese fa ancora nemiche.
Un conto è aver fatto nascere un governo grazie ad un blitz parlamentare. Tutt’altro avere candidati o liste comuni a livello locale: una prospettiva difficile da far digerire ai rispettivi elettori in tempi così brevi.
Da qui l’idea di affidarsi alla società civile e alle sue forze migliori. Laddove l’indicazione di Di Maio, a leggerla con attenzione, non riguarda solo la scelta dei candidati alla Presidenza, ma anche le future ed eventuali giunte, che dovranno essere composte – in caso di vittoria – da personalità non politiche o comunque estranee ai partiti.  A queste condizioni, i grillini sono disposti ad affiancare i democratici in tutte le prossime (e in alcuni casi davvero decisive) competizioni elettorali: Umbria, Calabria, Emilia Romagna, per limitarsi agli appuntamenti più imminenti. Dietro una simile proposta, opportunistica e non priva di furbizia visto che consentirebbe ai grillini di contare e incidere a livello locale più di quanto oggi non accada non c’è dunque nulla di nuovo se non fosse per l’inganno ideologico che essa, dietro la retorica del potere da restituire ai cittadini, sembra nascondere e sul quale vale la pena interrogarsi”. Per concludere: “La proposta avanzata da Di Maio sembra confermare questo carattere strumentale e puramente tattico del civismo, in questo caso giustificato dal fatto che il M5s, non avendo un grande radicamento sul territorio, ha tutto l’interesse ad “agganciarsi” al Pd, con un accordo di qualche tipo, per cercare di contare di più nelle assemblee locali. Un obiettivo per raggiungere il quale ci si vorrebbe nascondere dietro la foglia di fico di candidati apparentemente non legati ai partiti che in realtà sono scelti, avallati, sostenuti elettoralmente e al dunque controllati da questi ultimi.
Ma questa non è la “politica nuova”, è puro maquillage finalizzato al potere. Oltre ad essere il segno (al limite del paradosso) della cronica debolezza dei partiti italiani, che più si ostinano ad attingere risorse al loro esterno più si auto-delegittimano e perdono consensi”.

In linea con il pensiero dell’editorialista de “Il Messaggero” anche Anna Pettene, saggio dell’equipe del vicesindaco, esponente di Fratelli d’Italia recentemente “ridimensionato” dal sindaco Marco Bucci “veda un po’ lei”. Giovi ricordare che all’inizio della competizione amministrativa delle comunali del 2017 la stessa Pettene veniva indicata come possibile/probabile candidata del centrodestra ed esponente della società civile al ruolo che poi fu assegnato proprio a Bucci, altro presunto esponente della società civile in quota Lega, in quanto indicato dall’ex sottosegretario Edoardo Rixi. La Pettene nei due anni successivi si è tolta più di qualche sassolino dalle scarpe nei confronti del centrodestra. E racconta in un suo post: “La cosiddetta società civile…una mezza bufala.

Iniziai ad avere delle perplessità sulla cosiddetta società civile che scende in campo quando vidi con i miei occhi, in una embrionale esperienza pre politica sedicente liberale, che si cercava nella politica qualcosa che nella «civiltà» non si era ottenuto o che non si sarebbe mai avuto proprio perché civile, con delle regole e dei tragitti da compiere.
La «società civile» come la si suole definire è spesso un ibrido pericoloso che ha già in sé i vizi della società politica navigata a cui ambisce.
È fatta di uomini e donne che sono disposti senza se e senza ma, senza alcun dubbio o remora, ad arruolarsi politicamente perché è l’opportunità della vita, perché è la carriera da percorrere, l’unica possibile e ben remunerata da soldi e contatti, perché è la sala dei bottoni da cui tutto muovere e sistemare.
Nella visione non esiste il bene pubblico ma l’interesse individuale.
Quei pochi della società civile che cercano di mantenersi civili fanno una brutta fine perché al sistema non interessano. Oggi ho la certezza che sia così.
E tutto questo fervore di partiti che nascono ne è la prova : l’ansia di accasarsi.
L’ansia di raggiungere quello che per altre vie non è possibile.
P.S. salvo poche eccezioni.

La prova del nove per stanare uno veramente civile: è la difficoltà vera del dovere scegliere e fare il passo verso la politica perché ha tanto da perdere”.

Intinge la penna nella satira velenosa Filippo Paganini, presidente dell’Ordine dei Giornalisti liguri e collega che a lungo si è occupato per “Il Secolo XIX” della politica nazionale e dei palazzi del potere della Capitale con un post scherzoso ma al vetriolo che fornisce un quadro ahimè realistico della politica nostrana in vista delle regionali: “Grand hotel Liguria, gente che va, gente che viene. Dal Pd escono i renziani in servizio permanente effettivo, usi obbedir tacendo. Nel centrodestra si risvegliano i berlusconiani doc, alcuni riemersi dalle catacombe della prima repubblica romana sorta dopo la caduta di Tarquinio il Superbo insieme a quelli che non vogliono l’estrema unzione da Salvini officiata tramite Don Giovanni Toti. A primavera, cioè domani, si vota per la regione. Tra Pd rimasti come i Cccp fedeli alla linea ( bandiera rossa la trionferà evviva Franceschini e la libertà…) e quelli della Renxit dovranno mettersi d’accordo su con chi allearsi: primo se fra loro, quelli del c’eravamo tanto odiati e ora di più; poi se con Leu (la ditta, quelli appesi dei Tarocchi, ritornerai, sicuro qui ritornerai e scoprirai che nulla è cambiato…) e dulcis in fundo se anche con i 5stelle. E se proprio infileranno questo filotto di intese dovranno trovare un candidato presidente della società civile (così comanda il verbo grillino), una squadra e un programma (ma quello – un po’ di sano cinismo – è come l’intendenza, seguirà) che vadano bene a tutti. Dall’altra parte della barricata lavoro inverso a cominciare dal Toticalcio: Toti si, Toti no, Toti 1,X o 2? E se Toti fa tredici, ha la nomination, si devono fare le liste. Quante? Cambiamo con Toti, Forza Italia forever vecchie glorie, Lega senza Rixi (inibito per legge), Liguria Popolare…? E se cancellano il listino? Come garantiranno il posto in autobus per viaFieschi a tutti, ai tanti Tati con Toti? Listoni unici nei collegi? E la squadra? Quien sabe, direbbe Tex. Il presidente Mao aggiungerebbe: grande la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente. A prescindere, concluderebbe Totò”. Si potrebbe solo aggiungere la citazione evergreen di una frase di Ennio Flaiano: “ La situazione è grave, ma non seria”.

In Liguria, e a Genova cose già viste e purtroppo vissute su personaggi della presunta società civile diventati candidati, poi eletti alla presidenza della Regione o a sindaco di palazzo Tursi. Il nome di un governatore su tutti: l’imprenditore prima nel campo dei trasporti e poi in quello della vendita di automobili, Sandro Biasotti che sconfisse Giancarlo Mori, candidato del centrosinistra. Venne eletto e la politica tanto lo prese che ancora oggi, a parecchie legislature di distanza compare come senatore, quasi a vita, a palazzo Madama. Con ruoli via via crescenti nel PDL e in Forza Italia, dopo la parentesi quinquennale, nel 2000 come presidente della giunta della Regione Liguria. Nel 2005 si ricandida ma viene sconfitto da Claudio Burlando. Nel 2008 Berlusconi lo vuole candidato in Parlamento, viene eletto e si dimette dalla carica di consigliere regionale. Nel 2010 si ricandida alla presidenza della Liguria, ma è battuto nuovamente dall’uscente Burlando. Alle politiche del 2013 viene confermato in Parlamento e, con la sospensione delle attività del PDL passa in Forza Italia. Nelle politiche del 2018 viene eletto senatore sempre in Forza Italia. Nel frattempo Il 2 gennaio 2014 viene nominato coordinatore regionale del partito; il 27 maggio seguente rassegna le sue dimissioni nelle mani di Silvio Berlusconi come “atto dovuto a seguito del deludente risultato elettorale” delle elezioni europee, ma il presidente le respinge due giorni dopo.

Alle elezioni regionali del 2015 sostiene il candidato del centrodestraGiovanni Toti che riesce a vincere le elezioni con il 34,4% dei voti a distanza di 15 anni dall’insediamento proprio della giunta Biasotti.

Solo che poi i rapporti fra i due plenipotenziari di Berlusconi nella nostra Regione si incrinano e Toti inizia a pensare alla scissione e un nuovo partito al quale proprio Sandro Biasotti pare sia intenzionato a iscriversi, ma poi dopo i molti passaggi durante la diaspora si eclissa. Insomma un imprenditore prestato alla politica ed esponente iniziale della società civile  che in politica parrebbe essersi trovato benissimo, almeno a giudicare dalle rielezioni in Regione e dalle legislature. Tre fra Montecitorio e palazzo Madama. E in fondo gli strali della Pettene parrebbero calzargli a pennello.

Ma da quella che la stessa Pettene definisce la “Bufala della società civile” non è esente nemmeno palazzo Tursi. Marco Bucci, attuale reggente,  e commissario straordinario per la ricostruzione di ponte  Morandi, per esempio, è il classico tecnico prestato alla politica, con un passato da manager Fra Ferrania a Savona e Kodak negli Stati Uniti e un incarico del presidente Toti in Regione come amministratore delegato di Liguria Digitale.

In passato, era il 1993, nell’area del centrosinistra venne indicato come candidato sindaco ed eletto come indipendente il magistrato ed ex pretore d’assalto in materia ambientale Adriano Sansa. Erano gli anni difficili di Tangentopoli. A Genova era stato costretto alle dimissioni dopo le colombiane del 1992 e la vicenda del numero dei biglietti gonfiati l’allora primo cittadino Romano Merlo. Gli era succeduto per un breve interludio Claudio Burlando, poi incappato in una disavventura giudiziaria. Nel corso di una inchiesta sul sottopasso di Caricamento e poi sulla costruzione del parcheggio di piazza della Vittoria il 18 maggio venne disposta la sua custodia cautelare in carcere, poi il 24 maggio il Gip di Genova dispose gli arresti domiciliari. Per sensibilità istituzionale, si dimise da Sindaco della città. Nel 1997, con sentenza definitiva, venne assolto dalle accusa di truffa per non aver commesso il fatto e da quella di abuso d’ufficio perché il fatto non sussisteva. La Corte d’appello di Genova stabilì un risarcimento di sessanta milioni di lire per l’ingiusta detenzione.

Il centrosinistra optò in quel caso per la svolta legalitaria tranne poi non ricandidare per un secondo mandato l’ex pretore che probabilmente aveva pestato i piedi all’emergente Claudio Burlando. Alle elezioni del 1997 non venne più candidato dall’Ulivo a causa di “insufficiente capacità di interlocuzione” e al suo posto fu scelto Giuseppe Pericu che poi vinse le elezioni; Sansa partecipò comunque alle elezioni appoggiato dalla lista civica “Noi per Sansa, Sansa per Genova” ottenendo il 13,47% dei voti. Ritornato in magistratura nel 1997 tuttora è presidente del Tribunale per i minorenni di Genova. Un raro caso, insomma di professionista prestato veramente alla politica. Di quella vicenda resta alla memoria la frase di Ubaldo Benvenuti, allora segretario provinciale dei DS, il quale spiego’ ad un giornalista che gli chiedeva ragione del “benservito” a Sansa esaltando il potere del suo partito: “Potremmo candidare anche quell’operaio anonimo che sta passando e farlo eleggere”. A significare, che, forse, l’attimo fuggente dei candidati civici era ormai concluso e sepolto.

Stessa conclusione subito dopo l’elezione per un’altra candidata civica Luisa Massimo, scomparsa nel 2016 scienziato e luminare di fama mondiale. Fu eletta nel 1985 in consiglio comunale nelle liste della DC e designata come candidato sindaco dallo stesso De Mita, allora segretario nazionale, si vide ritirare la candidatura a suo favore dallo stesso De Mita in virtù di un accordo con il segretario nazionale del PRI Giovanni Spadolini, e le venne preferito il repubblicano Cesare Campart. Dovette accontentarsi di un assessorato, nonostante la fama mondiale di studiosa.

Insomma di caso pratico in caso pratico, con tanto di nomi e fatti, tutto perfettamente in linea con le conclusioni di Alessandro Campi che nel suo editoriale spiega “Nato contro i partiti, il civismo ha finito per essere strumentalizzato e usato da questi ultimi, perdendo gran parte del suo significato originario. Ricorrere a figure civiche o apparentemente non-politiche, provenienti dal mondo delle imprese, delle professioni o della cultura, è stato infatti il modo attraverso cui i partiti, sia quelli di più recente formazione (ad esempio Forza Italia), sia quelli che erano sopravvissuti al crollo prodotto da Tangentopoli, hanno cercato di riconquistare la fiducia dei cittadini.

E qui risiede quello che abbiamo definito l’inganno del civismo, così come è stato sempre più declinato in Italia. Cosa c’è di civico (se non la provenienza per così dire sociale) in candidati che vengono scelti direttamente dai partiti quando questi ultimi si sentono in difficoltà o si rendono conto di non avere propri esponenti da mettere in campo? Cosa c’è di civico, dunque di virtuoso, in liste e sigle che nascono non per forza propria e dopo una lunga sedimentazione nella società ma solo con l’idea di allargare il bacino di consensi dei partiti e che nella gran parte dei casi spariscono un attimo dopo la chiusura delle urne? Oltretutto parliamo di un civismo per così dire dell’ultima ora: ci si ricorda della società civile e dei suoi anonimi protagonisti solo quando c’è da confezionare le liste elettorali”.

Insomma il paradiso della società civile dura un attimo per i cittadini, giusto la botta di un minuto di “Felicità puttana”, magari un po’ di più, molto di più, anni e perfino due o tre legislature, per coloro che se ne avvalgono riuscendo ad interpretare, e navigare, le sempiterne regole della perpetuazione del potere personale.

Paolo De Totero

Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.