Simbolo del consumismo per eccellenza, il rapporto tra i russi e la bevanda capitalista più diffusa dell’Occidente non è mai stato facile.
E per forza.
Se è vero, infatti, che importare Coca-Cola oltre cortina era vietatissimo, fermare anche la sua popolarità era impossibile. Tanto che le autorità russe si sono rotte la testa dietro alla realizzazione di una copia della bevanda, che finalmente entrò in produzione nel 1957 con il nome di “Vita Cola”. Prodotta in Germania Est, se ne beveva così tanta che si arrivò a contrare fino a 200 centri di imbottigliamento.
Un business che non sfuggì a Richard Nixon.
Nel 1972, in cambio della distribuzione in Occidente della vodka Stolychnaya, il Presidente USA riuscì ad ottenere il permesso di produrre e imbottigliare oltre il muro una delle due bevande immagine della “decadenza capitalista”: la Pepsi, che da questo momento poteva comparire anche sulle tavole antimperialiste.
Niente da fare per la Coca-Cola che invece restava ferma oltre le trincee della guerra fredda.
Solo nel 1980, dietro l’offerta di 10 milioni di dollari per lo sponsor delle Olimpiadi di Mosca, fu concesso alla Compagnia di Atlanta di comparire tra i prodotti in vendita sugli scaffali dell’Est.
Eppure non era la prima volta che la bevanda varcava i vecchi confini della cortina di ferro.
C’è una storiella che circolava in URSS che raccontava di un incontro nell’immediato dopoguerra tra il Maresciallo Georgij Žukov e il Generale Dwight Eisenhower, durante il quale l’americano portò un assaggio di Coca-Cola.
Il pluridecorato eroe russo ne fu conquistato e ne avrebbe volute alcune bottiglie ma non sapeva proprio come barcamenarsi tra le esigenze del palato e le imposizioni ideologiche. Chiese allora se si potesse realizzare la Coca-Cola in modo tale da farla assomigliare alla vodka, così che “l’acqua sporca del capitalismo” passasse inosservata. Al contrario, berla in pubblico avrebbe creato un certo imbarazzo.
Per risolvere il dilemma fu scomodato James Farley, l’allora presidente del CdA della Coca-Cola Export Corporation, che nel ’46 si occupava della supervisione di 38 impianti nell’Europa sudorientale.
Farley delegò la patata bollente al supervisore tecnico dell’azienda inviato in Austria, Mladin Zarubica, che scovò un bravo farmacista in grado di eliminare il colorante senza intaccare il gusto originale.
Ne venne fuori la Бесцветная кока-кола (Bescvetnaja koka-kola), una versione trasparente della bibita che venne prodotta appositamente per Žukov in 50 casse di bottigliette lisce anonime e con una bella stella rossa impressa sul tappo.
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Per saperne di più:
Mark Pendergast, “For God, country, and Coca-Cola”, Ed. Basic Books, 2000, pp. 560.
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.