Una buona pianificazione e il coinvolgimento dei cittadini sono la chiave per lo sviluppo degli impianti a biometano nel nostro Paese dove, dal 2018, è possibile immettere in rete questo combustibile prodotto da rifiuti urbani, scarti agroalimentari, fanghi di depurazione e discariche esaurite. Una scommessa con vantaggi importanti perché il biometano nazionale potrebbe coprire in pochi anni il 10% dei nostri consumi di gas.
Lo sviluppo degli impianti a biometano comporta notevoli vantaggi ambientali e consente di affrontare una delle sfide più difficili della decarbonizzazione, quella della mobilità e dei trasporti.
Diverse aziende hanno iniziato da tempo a sviluppare mezzi pesanti funzionanti a biometano compresso, migliorando di molto la sostenibilità del trasporto su strada e del trasporto pubblico locale. Ulteriori passi avanti devono, però, essere fatti in questo segmento come in quello del trasporto navale.
In questo quadro, Legambiente fa due proposte: una campagna di informazione capillare su che cosa sia il biometano “fatto bene” e l’attivazione di processi di partecipazione territoriale. Con l’obiettivo di favorire la produzione di questa fonte di energia rinnovabile, attraverso una corretta pianificazione degli impianti di produzioneper rendere lo sviluppo del biometano strategico per ridurre la dipendenza dalle fossili e per raggiungere gli obiettivi dell’economia circolare, a partire dalla chiusura del ciclo dei rifiuti organici.
Nonostante i vantaggi che la filiera del biogas e del biometano comportano in termini di decarbonizzazione del settore dei trasporti, di lotta all’inquinamento atmosferico, nel ciclo dei rifiuti e nella valorizzazione del settore agricolo e dei suoli, serve sia un lavoro di corretta informazione, sia una migliore pianificazione degli impianti e delle loro caratteristiche: sono infatti diverse le situazioni in cui enti, cittadini e organizzazioni del territorio manifestano paure e denunciano criticità rispetto ai progetti presentati. Criticità che nascono, innanzitutto, dall’assenza di linee guida per uno sviluppo di impianti non solo sostenibili ma anche integrati nei territori, che troppo spesso non vengono presi in considerazione nell’iter autorizzativo.
Il primo passo da fare è una pianificazione territoriale basata su un censimento della materia organica disponibile. Sia per capire meglio la tipologia di prodotto da valorizzare, sia per pianificare il numero e le dimensioni degli impianti, coinvolgendo tanto il mondo agricolo quanto quello della gestione dei rifiuti nelle diverse fasi della pianificazione. Impensabile, infatti, che gli impianti a biometano da rifiuti non vengano integrati all’interno di un Piano Regionale dei Rifiuti, anche per mettere al riparo da situazioni in cui non si hanno o non si possono avere garanzie sulla disponibilità locale di materiale organico, parametro che incide molto sul livello di sostenibile degli impianti a bioenergie. A questo va aggiunta una valutazione delle tecnologie utilizzate(che non sono tutte uguali sotto il profilo delle emissioni climalteranti) e un bilancio complessivo di consumi ed emissioni di gas serra per evitare che i benefici siano marginali. È necessario, inoltre, che l’Italia indichi obiettivi chiari e lungimiranti sia dal punto di vista quantitativo che strategico per il raggiungimento di copertura del 10% del gas fossile attuale con il biometano.
Occorre delineare con chiarezza il tema dei sottoprodotti e del ciclo dei rifiuti; da diversi anni l’Italia non riesce, infatti, a semplificare le operazioni di riciclaggio dei rifiuti come richiesto dall’Europa con le ultime direttive in materia. Il pacchetto di direttive europee sull’economia circolare introduce nuovi obiettivi per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti, pari al 50% al 2020, 60% al 2030 e 65% al 2035, rispetto all’attuale media italiana del 43,9%. Pesa l’assenza di un’adeguata rete impiantistica, che comporta il trasferimento dei rifiuti raccolti in altre regioni o all’estero. Per conseguire gli obiettivi indicati è necessario realizzare nuovi impianti (e riconvertire parte degli esistenti impianti a biogas), a partire da quelli di digestione anaerobica e compostaggio per il trattamento della frazione organica. E in questo senso va l’obiettivo di incremento dei biocarburanti avanzati stabilito dal decreto del 2 marzo 2018: 9% al 2022, di cui 1,39% (pari a 581 milioni di metri cubi) dovrà essere biometano.
Pertanto servono gli impianti, a cominciare da quelli di digestione anaerobica e compostaggio per il trattamento della frazione organica, che rappresenta il 40,3% del quantitativo raccolto con la raccolta differenziata (6,6 milioni di tonnellate su 16,4 totali, con un incremento del 10% circa negli ultimi 10 anni). L’ultimo rapporto del Consorzio italiano compostatori (CIC) riporta che gli impianti di digestione anaerobica per il trattamento dell’organico ricevono solo 3 milioni di tonnellate, meno della metà del quantitativo raccolto. Tra le priorità indicate da Legambiente, è fondamentale realizzare in ogni provincia, nel centro sud Italia almeno un impianto di compostaggio e di digestione anaerobica, con produzione di biometano.
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