La crescente diffusione di batteri patogeni resistenti agli antibiotici rappresenta una delle più gravi emergenze di salute pubblica, ce lo conferma Giovanni Cassola – infettivologo e Direttore Medico S.C. Malattie Infettive dell’Ospedale Galliera – che fotografa così la diffusione di questi super batteri: “È certamente un problema globale, che riguarda soprattutto i Paesi a grande sviluppo industriale, che sono ormai invasi da questa patologia”.
“Una minaccia che è legata soprattutto all’ambiente sanitario – ci spiega -, dove c’è la massima concentrazione di infezioni perché i pazienti che si sottopongono alle pratiche sanitarie sono sempre mediamente più anziani e sempre più compromessi. È quindi facile che le acquisiscano e molto difficile che riescano a liberarsene”.
I NUOVI KILLER
Questi nuovi killer, responsabili di infezioni potenzialmente fatali, si chiamano Klebsiella pneumoniae, Clostridium, Stafilococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Escherichia coli. “La Klebsiella pneumoniae, in particolare, è resistente a tutte le classi di antibiotici“, precisa Cassola che poi chiarisce come questi germi “sono presenti normalmente nel nostro organismo, confinati nell’ambito intestinale. Il problema si presenta quando superano i confini e arrivano dove non devono. In questi casi, non essendo germi organo-specifici, possono dare infezioni di qualsiasi cosa, dalla polmonite, alla sepsi, alla meningite“.
LA COLPA È NOSTRA
La colpa di questa emergenza è soprattutto nostra, cioè del medico che ci dà l’antibiotico per il raffreddore, del paziente che lo interrompe prima perché ormai si sente meglio, e degli allevatori che hanno usato valanghe di antibiotici per velocizzare la crescita degli animali. A squarciare il velo è ancora Cassola che puntualizza: “Sono molte le cause che hanno portato a questo grosso problema, tra cui l’uso inappropriato e l’abuso. E questo sia in campo umano, e parliamo di cattiva prescrizione, cattiva assunzione, dosaggi sbagliati, molecole sbagliate, che in campo zootecnico. Gli allevamenti intensivi, che storicamente ne hanno fatto un uso smodato per aumentare la rapidità di accrescimento degli animali, hanno portato un’enorme dispersione delle molecole antibiotiche in natura contribuendo a rendere i germi sempre più resistenti“.
LA SITUAZIONE IN ITALIA
L’Italia è uno dei Paesi più colpiti dai super batteri e nella classifica europea “è la peggiore, insieme a Grecia e Portogallo”. Lo ricorda Cassola e lo accertano i dati 2012-2016 della sorveglianza dell’Istituto Superiore della Sanità (Ar-Iss) che mettono in evidenza una situazione critica per i batteri Gram-negativi poiché per queste specie vi sono meno antibiotici efficaci disponibili. In particolare è ancora la Klebsiella pneumoniae ad attirare l’attenzione: è stata rilevata una resistenza ai carbapenemi – antibiotici ad ampio spettro – superiore al 30% in tutto il quinquennio (33,3% nel 2016), e con valori molto superiori rispetto alla media europea (6% nel 2016).
200mila i casi di infezione e quasi 11mila i decessi stimati ogni anno nel nostro Paese e “la cosa più grave è che il danno non riguarda solo il paziente presente ma anche le generazioni future, perché quel germe che è mutato rimarrà sempre così”.
Si tratta di problemi legati a filo doppio allo stanziamento di budget insufficienti per la sanità: “Tanti dei nostri ospedali non sono all’avanguardia dal punto di vista strutturale”, ci dice Cassola che punta il dito anche sullo stop alla ricerca e spiega: “La ricerca sugli antibiotici ha sofferto per molti anni un blocco importante. L’antibiotico non era il target del farmaco più gradito alle grandi Companies perché quello per la pressione, o il colesterolo lo dai a vita e quindi generi un mercato di un certo livello. L’antibiotico, se funzione bene, dopo dieci giorni devi averlo smesso. In questo senso, per tanti anni abbiamo pagato dazio. Oggi, se dobbiamo aspettare di risolvere i problemi delle infezioni con i nuovi farmaci, abbiamo perso“, conclude.
COME AFFRONTARE IL “FARMAGEDDON”?
La risposta non è curare le infezioni ma riuscire ad evitarle. Per questo l’Ospedale Galliera ha attivato, ad aprile 2019, lo sportello Open CIO che si occupa di informare, sensibilizzare e prevenire le infezioni ospedaliere.
“L’arma più potente che abbiamo al momento è interrompere la trasmissione – ci dice Paola Fabbri, CPSE Sportello Open CIO del Galliera -, e la misura principale è l’igiene delle mani, sia dell’operatore ospedaliero che del parente”:
La stessa OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha riconosciuto all’igiene delle mani una tale importanza da promuovere l’istituzione di una Giornata Mondiale, il World Hand Hygiene Day.
Purtroppo, anche in questa pratica il nostro Paese è fanalino di coda: secondo i protocollo dell’ECDC (European Center for Disease Prevention and Control) l’Italia si posiziona fra i meno virtuosi insieme a Lituania, Bulgaria, Ungheria e Slovacchia.
Simona Tarzia
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.