Bovari, butteri, mandriani et similia

Mi sono persuaso che il nostro sia un paese di bovari, con politici mandriani e sudditi butteri. Tutti, in qualche modo, maestri nel chiudere le paratie quando i buoi sono scappati dalla stalla. Per, poi, correrne alla ricerca, per autoflagellarsi. Anzi, a dire il vero, per flagellare e accusare gli altri, gli avversari di turno.

Ne ho assunto contezza leggendo un articolo di Daniele Rosa per AffariItaliani.it con un titolo significativo “Mose, Alitalia, Ilva realtà di un paese che deve vergognarsi”. Corredato da un sommario emblematico per il nostro paese “I panni sporchi, con le acque di Venezia, vanno fuori Italia”, ed ulteriore spiegazione “Burocrazia, corruzione e mafia, incapacità di politici, amministratori, sindaci e Governatori hanno ‘regalato’ all’Italia i disastri del Mose, di Alitalia e dell’ex Ilva a Taranto contaminata”.

Nel senso che poi il Mose e i disastri causati dall’acqua alta con i quali dovrà confrontarsi Venezia e l’intero paese, insieme a tutta la sua classe politica e dirigente, altro non sono che l’espressione ormai drammaticamente tangibile della assuefazione al rischio. O, peggio, del costume pericoloso di convivere con quei rischi sino alle estreme conseguenze, scommettendo ed azzardando di non restarne coinvolti, prima o poi. Per questo Daniele Rosa cita tre esempi, appunto quello del Mose, quello di Alitalia e di Ilva: “Tre testimonianze (non solo quelle di certo), dell’incapacità di un Paese ad uscire dalla melassa di burocrazia, corruzione ed incapacità”.

“Un Paese dell’altro mondo” afferma ancora su AffariItaliani.it. E aggiunge “Ma in quale altro paese al mondo può’ succedere che un’opera di ingegneria idraulica unica al mondo come il Mose iniziato nel 1992 con le dichiarazioni di Luigi Zanda, l’allora Presidente del Consorzio Venezia Nuova ‘il Mose, salverà Venezia dall’acqua alta e sarà pronto nel giro di 3 anni per un costo di 20 miliardi di  lire dopo quasi 40 anni,con quasi 6 miliardi di euro spesi, non lire, tra lavori e tangenti, ancora non sia finita? Non si è sicuri né quando finirà e nemmeno se servirà. Soprattutto se si pensa che mai nessuno ha immaginato la trasformazione che i cambiamenti climatici hanno portato, ad esempio, nei cicli delle maree e nei disgeli. Risultano semplicemente ridicoli i commenti dei politici attuali, degli ex sindaci e di tutti quelli ( sempre gli stessi) che vivono di ospitate sui media e che dalle loro poltroncine cercano di dare la colpa a destra e a manca e di dire cosa si sarebbe dovuto fare. Tutti scienziati del dopo”.

Sì, perché del problema dell’acqua alta a Venezia e dei relativi pericoli dell’alta marea e degli sconvolgimenti climatici non si è più parlato per anni. O meglio per qualche tempo si è preferito polemizzare sulle navi troppo vicine a piazza San Marco. Ma il Mose e il relativo scandalo delle tangenti è finito nel dimenticatoio. Sino a qualche giorno fa. Quando i buoi sono scappati.

Stesso copione per Alitalia. E l’analisi di Rosa è puntuale quanto critica: “Di Alitalia, purtroppo, è quasi troppo facile parlare male. Anni e anni di scelte sbagliate, una girandola di amministratori capaci solo di ottenere lauti stipendi e liquidazioni milionarie. Nulla più. Gli unici fortunati quei piloti, tutti preparati, che sono stati ricercati ed assunti da compagnie con ben altre visioni e posizionanti. Good company, bad company, lungo raggio, corto raggio, un mare di parole e di soldi buttati e messi sulle spalle dei contribuenti.
E nessuno che ha il coraggio di dire l’amara verità: non esiste soluzione per la compagnia di bandiera se non si affronta, purtroppo, il problema occupazionale. Eppure ormai anche gli stessi aerei di Alitalia hanno capito che nessun altro concorrente interrverrà in maniera seria nella compagnia fino a quando non verranno ridimensionati i numeri dei dipendenti, numeri gonfiati da nepotismo, assunzioni clientelari nell’arco di anni”. Altro problema, quello della compagnia di bandiera sul quale i politici hanno continuato a fare promesse e a vivacchiare, sperando che non toccasse proprio a loro di risolvere la questione occupazionale della riduzione del personale.

Infine c’è l’accelerazione imprevista per gli stabilimenti dell’Ilva e per l’acciaio italiano: “E ultimo ma non ultimo l’ex Ilva. Ormai quasi chiusa, come tanto sperava Beppe Grillo quando pensava al parco giochi a Taranto- spiega ancora Rosa – Forse servirebbe solo l’esercito per evitare di chiudere i forni e  per evitare  che Arcelor Mittal possa decidere di fare quello che le pare. Purtroppo scelte insensate dei grillini al potere hanno dato alla multinazionale alibi facili per uscire”.

Anche in questo caso i buoi sono scappati. E i bovari sono costretti a cercare la mandria per provare a salvare, in qualche modo, il risultato. Fra azioni penali nei confronti di chi al primo intoppo ha realizzato che forse da questo paese è meglio scappare a gambe levate. Altro che investire. Senza peraltro avere sicurezza che le percentuali di profitto saranno adeguate perché in ballo, da molti anni,  c’è la questione della salute pubblica per i siti industriali inquinanti. Troppo vicini alle città, ai quartieri e alle case. Con tanto di polemica se sono nati prima le industrie o le abitazioni. Come l’uovo o la gallina.

E così accade che l’azzardo porta al tracollo i costi da pagare, economici, ma non solo, risultano troppo alti.

È accaduto due anni fa per la tragedia del ponte Morandi. Vicenda che ha scoperchiato, grazie alla faticosa inchiesta della magistratura, un verminaio tipico dell’intrecciarsi tra politica e potere economico.  Tra azzardo, legalità e tragedia.
Non a caso l’ultimo filone di inchiesta su quel crollo riguarderebbe la contestazione sulla contraddizione di una sottovalutazione del rischio. Da un lato la procura avrebbe acquisito un documento in cui agli occhi degli inquirenti  il report sullo stato di criticità legato alla staticità del ponte era arrivato ai massimi livelli aziendali. Spea, la società di monitoraggio partecipata da Autostrade, in pratica lo avrebbe portato a conoscenza del C.d.A.  di Autostrade, seppur sintetizzato, già due anni prima del crollo. E l’ipotesi accusatoria della procura è quella di controlli per la sicurezza addomesticati, tanto che il gip Angela Maria Nutini parla di “controlli piegati alle logiche aziendali del profitto”.

Già, le logiche aziendali del profitto, nel migliore dei casi. Perché poi come si dice nell’articolo di AffariItaliani.it spesso si aggiungono: “Burocrazia, corruzione e mafia, incapacità di politici, amministratori, sindaci e Governatori” che “hanno ‘regalato’ all’Italia i disastri”. E il Morandi di questi disastri tutti italiani fa parte a pieno titolo. Con  tanto di ricordi sbiaditi di qualche denuncia dei cittadini, ma perfino di qualche  politico, a cui, prima di finire nel dimenticatoio, è stata messa colpevolmente la sordina. Secondo precise regole di convenienza e azzardo.

Poi i buoi, la mandria, è fuggita e, come sempre, abbiamo assistito attoniti allo scatenarsi di bovari e butteri, alla ricerca dei colpevoli di turno.

Conclude Rosa con un “mea culpa” collettivo: “Al di là delle chiacchiere, delle colpe, l’unica cosa che serve dire è che tutti, noi italiani per svariati motivi, siamo tutti colpevoli e dovremmo vergognarci per avere nel tempo posto il nostro futuro nelle mani di politici interessati solo a se stessi, di amministratori a dir poco incapaci, di sindacati che non sono stati in grado di fare pienamente il proprio lavoro, che sarebbe quello di tutelare i propri tesserati. E questa vergogna non rimane tra i nostri confini. Purtroppo, per una volta, i panni sporchi se ne vanno, con l’acqua alta di Venezia fuori dal Paese, dimostrando, in maniera stavolta inequivocabile, che il Bel Paese è anche un posto di grande incapacità. E tutto ciò non favorisce gli investitori stranieri”.

Anche se poi tutto si ripete in sincrono con straordinaria regolarità. Come un copione già visto e rivisto. Con la retorica degli angeli del fango, della meglio gioventù, degli sms solidali, degli aiuti straordinari, dello stato di calamità, delle autoflagellazioni e delle flagellazioni, dei piani straordinari, dei commissari, delle promesse mai mantenute. Qualcuno nel frattempo oppone troppo clamore per Venezia e troppo poco per Matera, finita sott’acqua. E la polemica ricomincia. Ricomincia la caccia ai colpevoli, ai politici indecisi, traffichini, amanti del rischio sulla pelle della gente. Degli elettori con poca memoria. Eduardo De Filippo avrebbe ammonito “Ha da passà ‘a nuttata”. E Giuseppe Tommasi di Lampedusa avrebbe aggiunto…. “Tutto cambia perché nulla cambi”.
Fra bovari, mandriani, butteri et simili. Mentre la stalla è vuota. O peggio…. distrutta.

Paolo De Totero

Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.