La rivincita del pesce azzurro

A Bologna la piazza composta, quasi in silenzio, e senza bandiere politiche, ha mostrato i muscoli. Che non sono i mitili e nemmeno le cozze. Perché in questa grande marea di metafora ittica uno alla fine rischia di perdersi. E di annegare tra alici, acciughe, sarde, sardine e sgombri. Del resto mezzo paese nell’ultima settimana è finita sott’acqua. E come se non bastasse nel mare magnum dell’ovvio che circola su facebook, social e affini – la rete o il retino acchiappa loassi, insomma – l’ultimo processo è stato per il fenomeno dell’ “acqua granda” che ha rischiato di far affogare Venezia.

Avrebbe dovuto esserci il Mose – ossia il Modulo Sperimentale Elettromeccanico – però nessuno ha avuto l’accortezza di aggiungere l’accento finale. E…. le acque non si sono aperte.

Così tra un rischio di alluvione, qualche valanga dovuta a fitte nevicate in quota, perturbazioni nuovamente in arrivo e Mose, senza accento, che non riesce a dare una qualunque protezione a una città da sempre simbolo di morte e decadenza, in molti, anzi moltissimi, hanno preferito deviare sulle sardine. Nessuno sforzo, comunque, perché a Venezia le sarde in saor, un antipasto a base di sarde condite con cipolle in agrodolce tipico della cucina locale, spesso servite come spuntini nei bacari veneziani, sono un’istituzione.

Eppero’ le sardine in questione sono cosa diversa, visto che nel giro di qualche giorno sono diventate il simbolo della protesta anti-Salvini dopo la mobilitazione di giovedì sera a Bologna. Perciò l’ottimismo della sardina a dimostrare che un altro mondo è possibile. Anche se, a dire il vero, non c’è stata nessuna protesta, intesa nella vecchia maniera. Perché si è trattato di un flash mob in piazza Maggiore ideato da quattro trentenni – Mattia Santori, Andrea Garreffa, Giulia Trappoloni e Roberto Morotti – che in sei giorni hanno ideato uno slogan («L’Emilia Romagna non abbocca», ma anche «Bologna non si Lega») a sostegno di un simbolo, le sardine, piccoli pesci che si stringono e si spostano in gruppo. In pratica di fronte all’ex ministro dell’Interno nelle vesti di squalo – ma anche di capitone/capitano – le sardine rappresentano pesci piccoli e indifesi, che insieme però si muovono compatti e fanno quindi «massa».

Così i partecipanti erano stati invitati a presentarsi in piazza con una sardina, disegnata su cartone. La mobilitazione era stata lanciata qualche giorno fa via Facebook, poi è stata rilanciata con volantinaggi e campagne social, tramite gruppi WhatsApp, e ha trasformato la piazza di Bologna da un raduno informale  a una massa di protesta di 12-15 mila persone che adesso è già pronta al bis, a Modena. E arriverà nella nostra città, giovedì 28 novembre dalle 18 alle 22, naturalmente a De Ferrari. Insomma dopo il primo flash mob ittico della storia si è scatenata la coazione a ripetere, tipica delle cose che diventano di moda. Una sorta di rivincita del pesce azzurro che forse, in una città di mare come la nostra, sarebbe stato più opportuno trasferire davanti all’Acquario, al porto antico, in modo da rimanere in tema e da snobbare i palazzi del potere.

Anche se poi De Ferrari è sempre stata la piazza delle proteste contro gli scivoloni autoritari, dal 30 giugno del 1960 in avanti. E lo storytelling dopo la manifestazione di Bologna parla di un movimento spontaneo, presentatosi in piazza Maggiore senza striscioni di protesta e senza bandiere e simboli di partito, ma munito da una semplice effigie di sardina per partecipare alla prima rivoluzione ittica della storia, dimostrando che di questi tempi è meglio stringersi che perdersi, a riprova che i numeri contano più della prepotenza, che la testa viene prima della pancia e che le persone vengono prima degli account social.

Tutto bene e tutto bello, anche se non riesco a fare a meno di esprimere qualche perplessità sull’iter ormai ripetitivo, al punto di trasformare una spontanea manifestazione “mordi e fuggi” in un rituale celebrativo su cui i partiti prima o poi cercheranno di mettere una sorta di cappello e di comprimerle nella classica scatoletta. Il mio timore è che il movimento di protesta anti-Salvini rischi di collassare rapidamente fiaccato dallo spirito di emulazione ben prima di arrivare alla data fatidica dell’appuntamento elettorale per il rinnovo dell’amministrazione regionale.

Poi esiste quel riferimento al ricompattarsi e al “fare massa”, come mossa difensiva tipica del pesce azzurro di fronte agli attacchi dei pesci più grossi che minacciano e si nutrono dei più piccoli. Mossa difensiva in cui i branchi si muovono producendo il famoso pallone di cui parla anche Fabrizio De André in un brano di “Anime Salve”. Suggestione erronea, comunque quella del pallone, perché  permette ai pescatori di individuarle.

Insomma se non finiscono mangiate dall’Alalunga finiscono nelle reti dei pescatori. Emerge dunque l’inesorabile destino delle acciughe che, per sottrarsi alla morte per mano dell’alalunga creano le condizioni per un secondo destino, altrettanto triste, che è morire per mano del pescatore.

Stesso discorso per le sardine. Vivono in branco, perché questa combinazione permette loro di difendersi, proteggersi e affrontare i nemici. La loro migrazione annuale verso il Sudafrica, che spinge milioni di sardine a nuotare per depositare le uova, le trasforma in cibo facile per molti predatori come delfini, sule, pinguini, squali, otarie e balenottere di Bryde. Spesso il gruppo assume la fisionomia di altri predatori, figure che compongono muovendosi all’interno delle file del branco. Una strategia piuttosto astuta che permette di spaventare i nemici, serrando al contempo i ranghi. Anche se il destino è segnato in balia di predatori e pescatori. E le reti della politica sono a largo raggio, specie quando si tratta di inglobare fenomeni nuovi. Insomma, più che una vera e propria rivoluzione quella del pesce azzurro sembrerebbe una temporanea rivincita destinata  alla migrazione in qualche partito o a sbiadire presto come tutte quelle cose che finiscono per passare di moda in poco tempo e prima infiacchiscono e poi sul lungo periodo si sciolgono.

Giona

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