Genova – La chiamano la nave fantasma di Erdoğan e secondo il presidente francese Emmanuel Macron viaggia nel “Mediterraneo allargato” carica di armi e blindati turchi da consegnare a Tripoli, al governo di Fāyez al-Sarrāj. È il cargo Bana che batte bandiera libanese e fa la spola tra Genova e la Libia, o almeno questo è quanto registra Marine Traffic, il sito di monitoraggio marittimo che la indica ormeggiata da tre giorni al terminal Messina.
“Sì, la nave Bana è ormeggiata in porto a Genova. Questa notte ha subito dei controlli ma la stiva è risultata vuota”, chiarisce il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali, in prima linea nella lotta alle navi delle armi, che poi aggiunge: “È una nave conosciuta a Genova, che carica perlopiù auto radiate, camion, e camioncini usati”.
Merce che insospettisce un occhio allenato.
“Sono quattro anni che parliamo di questi traffici in porto”, continuano i rappresentanti del Collettivo che spiegano come, a mettergli la pulce nell’orecchio, sia stato il gran via vai di pick up diretti a decine in Medio Oriente: “Questi pick up sono i mezzi più ambiti in quegli scenari lì, dove vengono attrezzati con mitragliatrici pesanti, obici, artiglieria controcarro. Ricordo di aver visto al telegiornale proprio uno di questi pick up che, in zona di guerra, ancora portava attaccato uno degli adesivi che qui a Genova mettiamo come piazzalisti sui mezzi che vanno imbarcati“.
Non ne possono più i portuali genovesi di vedersi passare sotto il naso materiali border line: “Quasi quotidianamente viviamo la banchina dove transitano carri armati e container con esplosivi. In particolare nell’ultimo anno abbiamo notato la compagnia saudita Bahry arrivare con carichi consistenti di blindati con gli obici già montati, mezzi per il trasporto truppe, elicotteri da combattimento. Così a maggio abbiamo deciso di bloccare il carico di generatori di corrente diretti a Jedda con la Bahry Yambu per alimentare i droni da combattimento che avrebbero bombardato lo Yemen“. Uno stratagemma tipico della logistica militare che per evitare problemi spedisce la merce smontata o in differita.
“Vogliamo dire basta anche perché Bahry ha 6 navi e fa scalo ogni 20 giorni a Genova fornendo un importante servizio alle cosiddette guerre sporche come il conflitto del Kashmir“, chiarisce il Collettivo ricordando anche che “l’ultima nave passata in porto il 18 di gennaio, la Bahry Hofuf, aveva a bordo degli elicotteri da trasporto truppe che portavano sul lato la scritta Indian Air Force“.
Una questione che preoccupa i portuali genovesi che ormai identificano in queste navi dei veri e propri acceleratori dei conflitti: “I nostri sospetti sembrano confermati dalle tempistiche. È successo quest’anno che subito dopo lo scalo della Hofuf nel porto di Iskenderun, a 100 Km dal confine Nord siriano, è incominciata l’offensiva turca contro i siriani. Era già successo nel 2019 in Yemen. Ora basta. Noi non faremo da filiera a queste navi né saremo l’ingranaggio che porta le armi in Medio Oriente“.
Per questo è prevista una giornata di mobilitazione in concomitanza con l’arrivo della Bahry Yambu, il 16 febbraio, con l’appello del Collettivo per un impegno che arrivi anche dalla politica, dai sindacati, dalla cittadinanza e naturalmente dagli anti militaristi.
Non avranno vita facile i portuali genovesi in una regione che produce armi dentro uno Stato che nel 2018 ha esportato 2,5 miliardi di euro di materiale bellico e concesso 5,2 miliardi di euro di autorizzazioni all’export, di cui il 70% è finito in Paesi extra UE e fuori dalla Nato.
“Siamo consapevoli di questo e ci rendiamo conto di quante persone, anche in buona fede, lavorino nel comparto bellico. Bisognerebbe essere compartecipi delle sorti non solo dei lavoratori ma anche di chi subisce i bombardamenti e noi portuali il problema dobbiamo porlo“.
Mentre montiamo il video della nostra intervista, la Direzione Antimafia e Antiterrorismo genovese segnala di aver aperto un fascicolo sulla Bana per traffico d’armi. Gli inquirenti si sarebbero insospettiti per i frequenti black out dell’Ais, il sistema di identificazione automatica, che hanno reso il cargo troppo spesso non tracciabile.
Alcuni viaggi della Bana nel mese di gennaio 2020 tracciati da Yoruk Isik, fotografo di Reuters soprannominato “il guardiano del Bosforo”
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Simona Tarzia
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.