Quale memoria?

La settimana scorsa la città di Gerusalemme è stata raggiunta da più di quaranta leader da tutto il mondo, per il quinto Forum mondiale sull’olocausto, in occasione del settantacinquesimo anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. L’evento è stato celebrato nel museo di Yad Vashem di Gerusalemme. Un memoriale che ricorda, nome per nome, tutte le vittime della Shoah durante il periodo nazista e dove sono esposte foto e documenti sull’olocausto.

Il Forum si è aperto con il discorso del presidente israeliano Reuven Rivlin che ha dichiarato “spero e prego che da qui il messaggio arrivi a tutti i paesi della terra che i leader del mondo siano uniti nella lotta contro il razzismo, l’antisemitismo e l’estremismo”.
Il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier ha parlato di “doveri e responsabilità di oggi per lottare contro razzismo, odio e antisemitismo”.
Anche il presidente Mattarella ha ricordato di come “la cerimonia di oggi è un richiamo a tutto il mondo perché non si abbassi mai la guardia, l’attenzione e la vigilanza contro l’antisemitismo, contro la violenza e contro il fascismo”.

Checkpoint

Tutti discorsi opportuni. Ma dopo aver recitato ripetutamente il “mai più”, i capi di Stato non si sono degnati di visitare, proprio a 20 minuti di distanza da Gerusalemme e dal memoriale della Shoah, un popolo sotto occupazione rinchiuso da un muro lungo 700 km dove al di là vivono persone private di diritti e di possibilità di vita dignitosa in una condizione di “apartheid” tra checkpoint, filo spinato e blocchi.
Il muro costituisce una violazione dei diritti fondamentali del popolo palestinese definiti, nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, come il diritto alla libertà di movimento, al lavoro, all’accesso ai servizi pubblici, e rappresenta anche una violazione della IV Convenzione di Ginevra (art. 53), per la demolizione di case, la distruzione di terre e proprietà.

E poi c’è Gaza, un grande campo di concentramento, una prigione a cielo aperto dove solo nell’ultima guerra “operazione margine protettivo“, voluta dall’ex presidente Netanyahu, hanno perso la vita 2.700 persone sotto le bombe chimiche israeliane sancite dal protocollo di Ginevra.

Il “mai più” poteva essere un’occasione per costruire trattati di pace tra popoli partendo proprio dalla città “santa”, da quella Terra in cui è arrivato un popolo che nel passato ha subito violenza e dove oggi un’intera popolazione vive sotto occupazione.
Il “mai più” poteva essere un’opportunità per dare “memoria” a tutti quei genocidi e stermini consumati nella storia, passati e recenti, che non hanno un giorno della memoria.
Il Forum poteva essere uno spazio di confronto tra le varie culture, uno spazio di discussione su che tipo di umanità tendere, sulle responsabilità e doveri dei leader per la “lotta contro il razzismo, il fascismo, l’odio, la violenza e l’estremismo” che stanno crescendo sempre di più e che coinvolgono tutti, sia chi genera questi fenomeni sia chi li subisce.
Il “mai più” è una promessa e una responsabilità. È un impegno verso il rispetto, l’accoglienza e la salvaguardia di quei diritti e valori che rendono l’essere più umano.

Invece, anche questa volta hanno vinto l’ipocrisia, il silenzio e gli interessi personali.

Il Forum è stato anche pretesto per  promuovere politiche per la lotta all’antisemitismo. Il primo ministro israeliano, Netanyahu, incriminato già per corruzione, non ha perso l’occasione per consolidare il sostegno allo Stato di Israele dichiarando: Tutti i governi devono unirsi in uno sforzo vitale contro l’Iran, lo Stato più antisemita del pianeta”.

La parola “antisemitismo” viene spesso strumentalizzata dal governo israeliano per legittimare ogni tipo di azione violenta. Nell’antica Bibbia i semiti erano i discendenti di Sem, terzo figlio di Noè, erano i popoli mediorientali inclusi gli ebrei.

E mentre i tanti  discorsi, dalla sala del Memorial, vengono ascoltati dalle tv di tutto il mondo, qui fuori, la città santa è blindata. Le strade sono chiuse al traffico e i controlli sono aumentati. Militari e ufficiali di polizia sono schierati in tutta Gerusalemme.
D’altronde il governo democratico israeliano è legittimato ad adoperare qualsiasi mezzo o forza o violenza per “la sicurezza” del paese.
E nel frattempo è stato proposto il “piano Trump” che va contro il diritto internazionale. Il piano che legittima le colonie illegali e le violazioni dei diritti umani nei confronti dei palestinesi. “L’accordo del secolo”, come è stato chiamato, non garantisce libertà e uguaglianza verso tutte le persone che vivono su quel pezzo di terra ma genera ancora più odio, oppressione e violenza.

Il “mai più” è già stato dissolto.

Maria Di Pietro

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